Chi non lavora non va a lezione, il caso del Giappone

Chi non lavora non va a lezione, il caso del Giappone

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È passato meno di un mese dalla fine dei Mondiali di calcio ed è ancora impresso nella memoria di milioni di persone  il video virale in cui un tifoso qatariota mostra – incredulo – un gruppo di spettatori giapponesi intenti a ripulire di tutto punto le sedioline e gli spalti dai quali avevano assistito alla partita della loro squadra. Ma che strani questi giapponesi, guardateli! Sembrava dire l’autore del video che, evidentemente, non conosceva la pratica millenario dell’ o-soji.

In giapponese, la parola significa semplicemente fare le pulizie di casa, ma ricopre un campo semantico molto più ampio che va dal rispetto dell’ambiente in cui si vive, a quello per gli altri con i quali si vive, dentro e fuori casa.

Ecco perché la pratica dell’o-soji è comune in tutte le scuole giapponesi. Alla fine di ogni giornata di studio, i ragazzi, già a partire dalla scuola elementare, trascorrono una mezz’oretta in compagnia di stracci e ramazze per ripulire i luoghi in cui hanno lavorato.

Nella scuola giapponese, dunque, non ci sono collaboratori scolastici che si occupino delle pulizie? Lo Stato, così, risparmierebbe vessando gli studenti, costringendoli a lavorare dopo lo studio? Niente di tutto questo, anzi. Gli operatori con il compito di pulire gli ambienti scolastici ci sono eccome, solo che per tradizione ai ragazzi e alle ragazze viene insegnato, sin dalla più giovane età, che è corretto occuparsi della pulizia del luogo in cui si vive ogni giorno. Così come è educato fare la fila, essere rispettoso degli altri, avere cura delle proprie e altrui cose. La scuola giapponese appare, dunque, come una palestra di civiltà che insegna, sin da piccolissimi, quelle che noi chiameremmo oggi competenze di cittadinanza attiva.

Come ha scritto Giulia Pompili sul Foglio qualche tempo fa, c’è qualcosa di marziale, in un’istruzione di questo tipo, ma è una marzialità che è rigore, cioè educazione. Ed è tipica della forma giapponese, che ha eretto l’etichetta e il rigore, appunto, essenza stessa della sua diversità.

Insomma, quello che in molti altri Paesi farebbe inorridire studenti e famiglie, in Giappone è parte integrante di un sistema di valori che annovera l’educazione, il rispetto, le buone maniere quali assi portanti di un modo di intendere i rapporti con gli altri e con l’ambiente.

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