Col naso all’insù

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Era l’ora più calda del pomeriggio, il condizionatore ronzava a livelli che facevano di me un complice di Putin e in tv si parlava di fine del governo, fine della pace, fine del clima temperato, fine del lavoro e pandemia senza fine.

Arrivato agli incendi e al fungo killer, mi sono alzato dal divano per sgranchirmi la coscienza e ho visto due bambini accanto alla finestra con il naso all’insù. Mio figlio e la sua cuginetta, undici anni in totale. L’occasione di carpire i loro discorsi senza essere notato era troppo ghiotta e mi sono avvicinato trattenendo il respiro.

«Sai che esistono macchine che non hanno il guidatore?», diceva lei. «Un giorno ne vorrei tanto una anch’ io».

«Invece a me piacerebbe una macchina da guidare», ha risposto lui. «Però non una che cammina in strada come quella di mamma e papà. Io voglio che la mia macchina cammini in cielo, perché in cielo c’è più spazio».

Poi sono rimasti zitti, con l’espressione assorta e seria che hanno i bambini quando fantasticano.

Non ho potuto fare a meno di pensare che stavano facendo qualcosa che a noi non riesce più: immaginavano il futuro. Come ha scritto una delle persone più sensibili che conosco, Luca Barbarossa, «non si può vivere e far crescere i nostri figli con la paura costante della fine». Si diventa vecchi quando ci si focalizza solo sulle fini e non più sugli inizi. Ma se qualcosa finisce, significa che qualcos’ altro sta sicuramente cominciando. E per coglierlo basterebbe alzare il naso all’insù.

Il Caffè di Gramellini vi aspetta qui, da martedì a sabato. Chi è abbonato al Corriere ha a disposizione anche «PrimaOra», la newsletter che permette di iniziare al meglio la giornata. La si può leggere qui.

Chi non è ancora abbonato può trovare qui le modalità per farlo, e avere accesso a tutti i contenuti del sito, tutte le newsletter e i podcast, e all’archivio storico del giornale.

20 luglio 2022, 07:09 – modifica il 20 luglio 2022 | 07:11

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-07-20 05:14:00,

Era l’ora più calda del pomeriggio, il condizionatore ronzava a livelli che facevano di me un complice di Putin e in tv si parlava di fine del governo, fine della pace, fine del clima temperato, fine del lavoro e pandemia senza fine.

Arrivato agli incendi e al fungo killer, mi sono alzato dal divano per sgranchirmi la coscienza e ho visto due bambini accanto alla finestra con il naso all’insù. Mio figlio e la sua cuginetta, undici anni in totale. L’occasione di carpire i loro discorsi senza essere notato era troppo ghiotta e mi sono avvicinato trattenendo il respiro.

«Sai che esistono macchine che non hanno il guidatore?», diceva lei. «Un giorno ne vorrei tanto una anch’ io».

«Invece a me piacerebbe una macchina da guidare», ha risposto lui. «Però non una che cammina in strada come quella di mamma e papà. Io voglio che la mia macchina cammini in cielo, perché in cielo c’è più spazio».

Poi sono rimasti zitti, con l’espressione assorta e seria che hanno i bambini quando fantasticano.

Non ho potuto fare a meno di pensare che stavano facendo qualcosa che a noi non riesce più: immaginavano il futuro. Come ha scritto una delle persone più sensibili che conosco, Luca Barbarossa, «non si può vivere e far crescere i nostri figli con la paura costante della fine». Si diventa vecchi quando ci si focalizza solo sulle fini e non più sugli inizi. Ma se qualcosa finisce, significa che qualcos’ altro sta sicuramente cominciando. E per coglierlo basterebbe alzare il naso all’insù.

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20 luglio 2022, 07:09 – modifica il 20 luglio 2022 | 07:11

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, Massimo Gramellini

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