Il proclama del Colibrì: «La mia vita mi piace, non voglio cambiarla. Me la tengo così com’è». È un Colibrì Marco Carrera, alias Pierfrancesco Favino, che pure attraversa tragedie emotive e tempeste sentimentali e in quel momento sarebbe vicino alla svolta. Ed è un Colibrì l’intero film di Francesca Archibugi, presentato alla Festa del cinema di Roma e protagonista nella prima settimana di uscita di un’ottima performance al box office. Tenero ed elegante come l’uccello dalle piccole ali che usa tutte le sue energie per tenersi sospeso a mezz’aria, senza né avanzare né retrocedere.
Archibugi punta al massimo, senza mezze misure. Ogni attore cerca il colpo di genio. Ci sono temi importanti come il disturbo mentale, il male di vivere, il dolore non condivisibile, i confini incerti del tradimento, la coscienza del destino. La narrazione supera il semplice flashback o il semplice andamento rapsodico. Storia atonale, aritmica, come un battito cardiaco, ritratto di ordinary people in un arco di tempo molto lungo, quattro generazioni all’incirca. Al centro, un uomo lieve, incapace di incidere, le sue donne, le sue indecisioni, i suoi errori. Le immagini si incastrano l’una all’altra in un tutt’uno che porta a un viaggio cronologico aspro come gli eventi che fanno il racconto e le riflessioni in chiave di analisi antropologica che l’accompagnano.
Un dramma borghese-antiborghese «alla Moravia». Un flusso di coscienza «alla Scola», attraversato da una vena di follia. Il tracciato di un’esistenza trattenuta. Marco Carrera (Pierfrancesco Favino) è prima un giovane promettente e poi un uomo (e un nonno) gentile e responsabile nonostante la propensione al gioco d’azzardo. Tiene agli affetti, non vuole far male alle persone che ha intorno. Le sfiora soltanto, in quel beau monde di buoni studi, ville al mare, genitori opprimenti e distratti (l’ingegnere che gioca con i trenini e costruisce case in miniatura Sergio Albelli e l’architetto attivista Laura Morante).
Marco non vuole soffrire e far soffrire. Si tiene distante dal dolore, che invece lo travolgerà. Due fratelli, la disperata Irene (Fotinì Peluso) e l’ambiguo Giacomo (Alessandro Tedeschi). Da adolescente si innamora di Luisa Lattes, ebrea italo-francese con cui condivide le vacanze (Bérénice Bejo), e la idealizza come una Beatrice dantesca. Diventerà un bravo medico, sposerà un’hostess di origini balcaniche, Marina Molitor, scampata come lui a un disastro aereo (Kasia Smutniak), ma non l’amerà mai fino in fondo, subendone anzi le bugie e gli sbalzi d’umore. «Sì, è vero, ti ho tradito. Ma tu hai fatto di peggio. Mi hai sempre creduto», gli urla contro lei. «Con te non sono mai stata felice».
Marco e Luisa, nella bolla di un’utopia d’amore, si incontreranno per tutta la vita, forti di un patto che taglia fuori il sesso, come se questo escludesse il tradimento e non producesse sconquassi. Il Colibrì avrà una figlia dolce e bisognosa d’affetto, Adele (Benedetta Porcaroli), poi ragazza madre avventurosa alla cui figlia Marco dedicherà l’attenzione che non è riuscito a dare ad Adele. Completano il gioco dei caratteri lo psicanalista Nanni Moretti, e l’amico jellatore, l’innominabile Duccio Chilleri (Massimo Ceccherini).
La trama non è tutta qui. Molto altro succede, in chiave di melodramma strappalacrime e romanzone esistenziale. Fin troppo, a sottolineare lo sforzo che Francesca Archibugi compie per restare fedele alla matrice letteraria, il bel libro di Sandro Veronesi (che compare in un cameo) edito da La Nave di Teseo, vincitore del Premio Strega nel 2016. Carrera riordina l’archivio della madre architetto e allo stesso tempo cerca di riordinare la sua vita spettinata. Si fa superare dagli eventi, tentando di dominarli: sciupa i buoni sentimenti che nascono dalle sue relazioni. È un antieroe resiliente e un po’ ottuso. Favino usa una recitazione implosiva, usando i mezzi toni per rendere le ricorrenti passività del personaggio. Il montaggio di Esmeralda Calabria e la fotografia di Luca Bigazzi sono elementi decisivi per il bilanciamento del film. Meno riuscito invece l’invecchiamento dei protagonisti: bastava accennarlo, come con i capelli bianchi di Nanni Moretti, invece che rimarcarlo fino all’ultima ruga.
IL COLIBRÌ di Francesca Archibugi
(Italia-Francia, 2022, durata 126’)
con Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Sergio Albelli, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini
Giudizio: *** su 5
Nelle sale
22 ottobre 2022 | 07:45
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