Come scegliere il pesce pensando anche all’ambiente

Come scegliere il pesce pensando anche all’ambiente

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di Anna Fregonara

Gli aspetti che occorre considerare per capirne la sostenibilità sono molti: impatto climatico, produzione di emissioni e rifiuti associati

Molti di coloro che cercano di mangiare in modo più sostenibile scelgono di evitare del tutto il pesce e optare per uno stile di vita vegetariano o vegano. È una questione spinosa capire se e come il pesce possa essere una scelta ecologica.

La ricerca su 41 specie

Un nuovo orientamento sul consumo più sostenibile emerge da un’analisi a livello globale pubblicata su Communications Earth & Environment: i frutti di mare sembrano essere promettenti nel soddisfare le esigenze nutrizionali con un basso impatto sul clima ponderato in base al metodo di produzione. I ricercatori hanno indagato 41 specie marine che comprendevano pesci di allevamento e selvatici, crostacei, bivalvi e cefalopodi (il gruppo che comprende polpi, seppie e calamari). Gli studiosi hanno poi incrociato i dati disponibili sulle emissioni associate alla loro produzione o cattura di queste specie e la loro densità di nutrienti e hanno stabilito un punteggio. I maggiori benefici in termini di nutrienti con le minori emissioni di gas serra si avrebbero consumando il salmone selvaggio rosa e sockeye, i piccoli pesci pelagici che vivono in superficie pescati allo stato selvatico (acciughe, sgombri e aringhe) e i bivalvi di allevamento (cozze, vongole e ostriche). Il pesce bianco, come il merluzzo la cui pesca ha un basso impatto sul clima, sarebbe tra gli alimenti meno ricchi di nutrienti. Invece i crostacei, sia d’allevamento sia pescati allo stato selvatico, e i cefalopodi risulterebbero tutti con emissioni superiori alla media, pur fornendo punteggi nutrizionali inferiori alla media.

Valore nutrizionale e sostenibilità

«L’aspetto più nuovo di questa indagine è vedere insieme due elementi: il contenuto nutrizionale e la sostenibilità in termini di emissione di gas serra per la produzione», esordisce Saša Raicevich, primo ricercatore e responsabile dell’Area per la Conservazione, gestione e uso sostenibile del patrimonio ittico e delle risorse acquatiche marine nazionali presso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). Acquistare i pesci suggeriti dallo studio significa quindi fare una spesa etica? «Il quadro presentato appare convincente a livello globale. La cattura di piccoli pelagici ha basso impatto climatico, mentre altri gruppi come i crostacei sono spesso pescati a strascico con elevati consumi. Attenzione anche ai costi climatici della cattura di pesci come tonno e spada perché, come precisano gli studiosi dell’indagine, i dati sulle emissioni non includono quelle post-produzione della filiera, generate per esempio dalla refrigerazione o dal trasporto. Anche il salmone d’allevamento ha costi energetici elevati». L’eco-consumatore non ha molte indicazioni immediate a disposizione e anche il più accorto si perde in una pletora di linee guida, associazioni, codici di condotta volontari, etichette che magari fanno riferimento ad allevamenti sostenibili o a metodi di cattura con la lenza al posto delle reti standard. «Gli aspetti a cui bisognerebbe congiuntamente guardare per capire se il pesce è sostenibile sono molti: impatto climatico, produzione di emissioni e rifiuti associati; sovrasfruttamento, una delle maggiori preoccupazioni, per il quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) stima, come riporta la BBC, che nel 2019 solo il 65% degli stock ittici era pescato a livelli biologicamente sostenibili; specie a rischio; impatto sul fondale marino; impatto di reti abbandonate che possono essere una minaccia; eventuali rilasci di residui organici che possono alterare il fondale in caso di acquacoltura», precisa l’esperto che suggerisce alcuni consigli che possono essere utili nel fare la spesa.

Come orientarsi

«Orientarsi su specie locali, privilegiando quelle che sono basse nella scala trofica (ogni anello della catena alimentare si chiama livello trofico). Questo vuol dire acquistare piccoli pelagici, come acciughe, sardine, triglie e il cosiddetto “pesce povero” spesso trascurato perché poco conosciuto, che hanno anche il vantaggio di essere tipici del Mediterraneo, con minori impatti climatici per la loro produzione. Consumare questi pesci significa avere un impatto sull’ambiente più contenuto: maggiore è la produttività da sfruttare e minore è la fatica per pescare, quindi si incide meno sugli equilibri dell’ecosistema. Optare per pesci di taglia grande all’interno della specie: anche se disponibili esemplari giovani, evitarli perché non si dà loro la possibilità di riprodursi almeno una volta, minacciando la specie stessa. Favorire infine il consumo di pesce catturato con pesca artigianale: l’impatto ambientale è inferiore perché le imbarcazioni sono più piccole rispetto a quelle industriali e privilegiano reti non trainate o lenze».

Certificazioni

Un discorso a parte meritano le certificazioni. «In attesa che l’Europa definisca un’etichettatura comune che dia informazioni univoche ai consumatori sulla sostenibilità di un prodotto alimentare, in caso di indecisione un orientamento può arrivare oggi dalla presenza di certificazioni come quelle di Marine Stewardship Council (MSC) e Aquaculture Stewardship Council (ASC), le più storiche», dice Emanuela Bianchi, tecnologa alimentare di Altroconsumo. «Non sono un dogma, tutto è perfettibile per cui si trovano anche voci contrarie secondo le quali queste certificazioni non garantiscono fino in fondo la sostenibilità dei prodotti. Il fatto, però, che esistano fa sì che ci sia la garanzia che almeno alcuni passaggi della filiera siano tenuti sotto controllo».

Allevamento e acquacoltura

«C’è da dire che l’acquacoltura non va demonizzata. Spesso viene fatta con criteri di sostenibilità interessanti e i mangimi di oggi sono sempre più strutturati in modo da non determinare differenze nella composizione della carne del pesce di allevamento e di quello selvatico», interviene Laura Rossi, nutrizionista e ricercatrice presso il Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA Alimenti e Nutrizione). Quanto al confronto fra fresco e surgelato va detto che anche se fresco può essere meglio per le caratteristiche di composizione del pesce, il surgelamento non compromette la qualità nutrizionale di proteine, minerali e Omega-3. L’importante è variare il suo consumo e mangiare una porzione da 150 g 2-3 volte a settimana».

19 novembre 2022 (modifica il 19 novembre 2022 | 16:26)

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, 2022-11-19 15:30:00, Gli aspetti che occorre considerare per capirne la sostenibilità sono molti: impatto climatico, produzione di emissioni e rifiuti associati, Anna Fregonara

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