Complotto o solo un «Gioco»? Il romanzo di Giovanni Floris

Complotto o solo un «Gioco»? Il romanzo di Giovanni Floris

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di WALTER VELTRONI

Nel libro (Solferino) tra indizi letterari e soliti sospetti un viaggio in una vorticosa caccia al colpevole ma anche un apologo carico d’amore per il sapere. La prima presentazione il 12 ottobre a Roma

Il libro di Giovanni Floris Il Gioco, edizioni Solferino, mi ha fatto pensare a un’immagine che porto nel cuore da venti anni. Ero, con padre Alex Zanotelli, a Korogocho, una baraccopoli alla periferia di Nairobi, Kenya. C’erano centinaia di bambini seduti in uno spiazzo di polvere rossa dominato da una immensa discarica. Uno di loro, come fosse un portavoce, camminava in su e in giù cantando una filastrocca. Ogni tanto inalava della gomma fusa da una bottiglia di plastica rotta e poi riprendeva un ritornello che finiva sempre con la stessa frase: «Education is the key». Quel bambino, in uno dei luoghi di maggiore sofferenza del mondo, diceva che solo attraverso la scuola lui e i suoi coetanei ne sarebbero venuti fuori.

Lo strano romanzo di Floris forse vuole dirci la stessa cosa. Non saprei definirlo, come genere. Certamente dovrebbe essere rubricato tra i «gialli», perché questo è il passo del racconto e perché la struttura narrativa è fondata su due archetipi del genere: la tensione al disvelamento della ragione degli avvenimenti e il costante succedersi di colpi di scena.

Ma Il Gioco è anche di più. In fondo è un saggio sul valore della formazione come strumento di emancipazione. È una disperata difesa del ruolo della scuola e della cultura come forma essenziale di libertà e di riscatto.

Siamo in un quartiere della periferia, dal nome evocativo di «Torre Bruciata». In una scuola dove insegnano professori che convivono con la prostrazione di un ruolo sociale ormai svalorizzato e il senso del dovere che la missione educativa porta con sé.

Sparisce una ragazza, un giorno. Una delle tante alunne di quella scuola, niente di particolare. Ma di particolare, invece, c’è il contesto dentro il quale si agitano i protagonisti. In questa storia i personaggi sono tutti classificabili per coppie: due insegnanti, due investigatori, due squinternati, due studenti. I due ragazzi, Momo e Francesca, sono i peggiori della classe e hanno tutte le caratteristiche per essere sospettati. In primo luogo perché bullizzavano Rossella, la studentessa scomparsa. Lo facevano come fosse normale, un codice naturale di relazione fondato sulla convinzione che, in fondo, le parole non contino nulla: «Professò, che poi adesso è tutto bullismo… le avesse dato una capocciata capirei», dice Francesca.

E Momo che è nero, ma a metà, come tende a sottolineare ogni volta, ha fatto battute sulla propria simpatia per l’Isis. Uno più uno fa due e i solerti investigatori, una donna di nome Nilde perché la famiglia voleva rendere omaggio alla Iotti e un vecchio smaliziato poliziotto di destra frequentatore di trame e servizi, pensano di avere il colpevole a un passo. Nero, bullo, quasi analfabeta, coatto e per di più sostenitore dell’Isis. Momo è un «fatto apposta» per finire in galera.

Ma non è lui ad aver fatto sparire dalla scuola e dal presente Rossella. Inizia così il vero Gioco. Con la g maiuscola, si badi bene. Perché non è una competizione tra bambini, né un puro passatempo. È il gioco come intrigo, come sfida di cervelli, come messa alla prova della intelligenza strategica dei singoli.

E il libro di Floris, a questo punto, diventa ancora altro. Assume il carattere di una vera e propria «caccia al tesoro». Un regista occulto semina di indizi concatenati la ricerca del tesoro che in questo caso è la vita e la salvezza di una ragazza della periferia romana. Briciole di pane per ritrovare e ritrovarsi, come in Hansel e Gretel: «Aspetta, Gretel, che sorga la luna: allora vedremo le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa». O come in Pollicino: «Lui era sicuro del fatto suo: andar dietro ai bricciolini di pane seminati lungo la via, e ritrovare la direzione della casa».

Però gli indizi, nella storia di Floris, non sono fatti di mollica di pane ma di citazioni letterarie. Partendo dal Gordon Pym di Edgar Allan Poe e passando per Baudelaire, Mallarmé, Duchamp, Calvino, Elsa Morante, Lewis Carroll, Sigmund Freud, Gadda, Remarque… Il regista del Gioco si diverte a far muovere i protagonisti della ricerca di Rossella portandoli in luoghi e situazioni legate a una citazione, spesso nascosta. E così facendo, in fondo, esercita una funzione educativa. Anche sui due ragazzi, che con i libri avevano sempre litigato. Floris fa dire a uno dei personaggi, il professor Romano: «Sta formando Momo e Francesca, sta facendo vivere loro la letteratura. Non solo in una prospettiva cronologica, ma anche tematica: la ricerca, la coscienza, la conoscenza… Un vero e proprio percorso formativo a più dimensioni… E Il Gioco è proprio questo…».

Nelle pagine del volume si affolla di tutto: il viaggio in una Roma che è, insieme, la statua di Giordano Bruno e un covo della banda della Magliana, il riferimento alla grande confusione creativa del 1977, l’hikikomori post pandemia, la droga vissuta come normalità dai ragazzi, la distanza tra realtà e sua percezione. Lontano, quasi un rumore, si sente il vociare del circo mediatico, disposto a seguire, come uno tsunami impazzito, ogni refolo di vento, anche quelli prodotti pour cause e più lontani dalla realtà.

E poi c’è il complottismo, malattia infantile della conoscenza. Quella singolare propensione a pensare che nulla sia mai com’è, ma tutto sia frutto di un disegno occulto e sapiente degli Illuminati, della massoneria, dei poteri finanziari.

Sembrano atteggiamenti da irridere, ma nessuno si è accorto di poche righe del rapporto Censis del 2021: «La variante cospirazionista, tendente alla paranoia, ha contagiato il 39,9 per cento degli italiani… e il 10 è convinto che l’uomo non sia mai arrivato sulla luna».

I complotti esistono, il libro lo dimostra, ma il complottismo, come teoria esplicativa del reale, no.

Leggo il libro di Giovanni Floris, avvincente fino all’ultima pagina, come un appello in difesa della scuola. Figlio di una mitica professoressa, citata nei ringraziamenti, e padre di studenti, l’autore ci mette in guardia dai rischi di «fine della scuola». Così riassunta in una pagina del libro, in forma di minaccia: «Sì, professore, la fine della scuola. E l’inizio di un impero. L’impero di chi la scuola la vende, la produce. Online… Algoritmi».

Il Gioco è un libro giallo. C’è un mistero da scoprire. Ma è anche un apologo carico di amore per il sapere e per la sua trasmissione.

La scuola è vecchia, incapace di fornire strumenti per capire il presente. Ma senza formazione condivisa esiste solo la solitudine sociale e civile.

A proposito, il significato di Korogocho, in lingua kikuyu, è «caos».

Senza sapere resta il caos.

Il Gioco
ci vuole dire proprio questo: «Education is the key».

Gli incontri con l’autore

Giovanni Floris presenterà «Il Gioco» il 12 ottobre alle 18 a Roma alla Feltrinelli di Galleria Esedra con Daria Bignardi e Marino Sinibaldi (modera Laura Gobbetti); il 20 alle 18.30 all’Auditorium Casa delle Culture di Velletri (Roma); il 28 alle 18 alla Libreria Palazzo Roberti a Bassano del Grappa (Vicenza)

7 ottobre 2022 (modifica il 7 ottobre 2022 | 21:13)

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, 2022-10-07 19:23:00, Nel libro (Solferino) tra indizi letterari e soliti sospetti un viaggio in una vorticosa caccia al colpevole ma anche un apologo carico d’amore per il sapere. La prima presentazione il 12 ottobre a Roma, WALTER VELTRONI

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