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Connessi al mare nostrum

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l’editoriale
Mezzogiorno, 17 marzo 2022 – 09:23

di Leonardo Palmisano

In questo mese scarso di guerra, da quando si è aperta una frattura di sangue tra ieri e oggi, è tornato nel dibattito politico il Mediterraneo. È bello che si torni a parlare della centralità strategica del Mare nostrum, dopo che lo abbiamo sfamato per decenni con i corpi dei migranti partiti dal Maghreb. Chi ha studiato la storia sa che è solo grazie allo studio degli accadimenti mediterranei se Fernand Braudel coniò il concetto di longue durée. Quella lunga durata che fa impallidire oggigiorno l’idea di secolo breve coniata da un altro studioso di levatura mondiale, Eric Hobbsbawn. Qui son nati i fatti che hanno trasformato per sempre il mondo: la polis, i tre più importanti monoteismi e il fascismo; la democrazia, le religioni più credute e l’archetipo della dittatura contemporanea. Possiamo sostenere senza sbagliare che il Mediterraneo è la cerniera tra lo spirito della politica democratica e il fervore della religiosità. Sarà per questo, forse, che tutte le autocrazie – dalla Roma imperiale alla Germania hitleriana, dalla Turchia di Erdogan alla Siria di Al Sisi – hanno teso a protendersi sul mare per soffocare gli aneliti democratici che lo agitano. Sarà per questo che le crociate e le avanzate islamiche hanno attraversato il Mediterraneo da nord a sud e viceversa. Anche le democrazie, a dire il vero, si sono contese questo specchio di acqua salata. Di recente la Francia, quando ha soppresso Gheddafi con una decisione unilaterale che ha posto fine alle ambiziose rivoluzioni dei gelsomini.

Tuttavia, come con il flusso delle onde, il nostro mare ogni tanto s’acquieta e ci restituisce il silenzio della pacificazione degli animi. In questo momento il Mediterraneo, lo ha ricordato non più di qualche ora fa il comandante in capo delle forze Nato, è nuovamente parte dello scenario globale di guerra. Qui basi, porti e aeroporti. Da qui decollano aiuti diretti agli ucraini. Anche da qui, dal porto di Taranto, si tende a stoppare l’avanzata russa nel recinto delle democrazie.

Per questi motivi è davvero singolare che ad occuparsi di Mediterraneo, con un meeting istituzionale nei giorni scorsi, sia stata la città di Firenze e non, come sarebbe dovuto essere, Taranto o Brindisi o Bari. La possibilità di uscire dal terreno dei conflitti per entrare nella mediazione diplomatica deve partire dal Sud, perché da noi sarebbe ancor più disastroso l’impatto di un allargamento bellico e perché da noi è più facile riconoscere l’intreccio antropologico presente in questa guerra. Non soltanto perché abbiamo contezza storica della complessità interreligiosa. Non soltanto perché abbiamo cognizione della devastazione militare, dal momento che il Mediterraneo ha belligeranze in corso da Annibale in poi. Ma soprattutto perché qui il terreno morale dell’accoglienza dell’altro si fonde al ricordo doloroso dell’emigrazione. Arriveranno profughi che andranno a fondersi con noi. Arriveranno bambini. Arriverà il futuro. Accogliere il futuro, così va declinato il nostro dovere di meridionali. Accogliere il futuro nella pace e per il disarmo, magari con una serie di conferenze. E magari con delle conferenze tripartite: su Bari, per un dialogo costante tra religioni; su Brindisi, per il compito che svolgono le Ong; su Taranto, vera capitale europea nel Mediterraneo, per la pace come motore della trasformazione sociale nel nuovo millennio.

17 marzo 2022 | 09:23
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, 2022-03-17 08:24:00, ,

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