di Maria Serena Natale
Difendono il primato dell’ordinamento nazionale rispetto alle norme comunitarie, aprono le porte agli ucraini in fuga ma le chiudono per i migranti «altri». E sui diritti dicono: «Decidiamo noi»
«Qui si fa la storia. Qui la libertà combatte la tirannia. Qui è in bilico il futuro di tutti noi». 15 marzo 2022, terza settimana di guerra, Kiev circondata. Il premier polacco Mateusz Morawiecki arriva in treno con il vicepremier Jaroslaw Kaczynski e i leader ceco e sloveno Petr Fiala e Janez Janša, prima visita di capi di governo stranieri nella capitale ucraina dall’invasione del 24 febbraio. Oltre alla solidarietà dell’Europa, nell’atto del viaggio e nelle parole affidate a Twitter Morawiecki esprime una visione del mondo che implica appartenenza e che nell’aggressione russa trova una linea di separazione irrevocabile, esistenziale, tra chi sposa una causa con convinzione e chi esita, chi si schiera e chi si smarca, chi crede e chi no.
Una postura intransigente che dalla crisi bellica ricava visibilità e prestigio — anche in Italia si comincia a guardare diversamente a quella parte d’Europa — ma che da ben prima dell’emergenza a livello nazionale si estende a tutti gli ambiti della vita civile, non solo in Polonia. Sul treno per Kiev viaggia un’avanguardia di quella destra che nel Centro-Est beneficia del credito storico maturato nell’opposizione alla dominazione comunista, specificità che dal 1989 in poi ha consentito a nazionalisti e conservatori d’intestarsi il ruolo quasi esclusivo di custodi della riconquistata libertà.
Modelli a confronto
«Agli amici» di Polonia e Repubblica Ceca aveva fatto riferimento lo scorso ottobre nel video-messaggio agli ultranazionalisti spagnoli di Vox Giorgia Meloni, che dal 2020 a Bruxelles è presidente dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), partito dove Fratelli d’Italia siede con le destre centro-orientali, nordiche, balcaniche, oltre che con Vox e i transfughi tedeschi di AfD confluiti in Lkr, e nel quale fino alla Brexit rientravano anche i Tories britannici. Soggetti non omogenei, aggregati intorno ai principi della Dichiarazione di Reykjavik del 2014: democrazia parlamentare e Stato di diritto, libertà individuale, sovranità nazionale, proprietà privata, bassa tassazione, libero mercato, devoluzione dei poteri. Forze che in molti casi si sono allontanate dall’euroscetticismo quando non dall’aperto antieuropeismo delle origini per approdare a posizioni critiche ma ancorate al progetto comunitario, tanto da rivendicare oggi una comune matrice conservatrice ed europea ponendo dall’interno della Ue l’interesse nazionale a pilastro dell’azione dei governi. Al di là di manifesti e alleanze in un Europarlamento dove conservatori e liberali si spalmano su uno spettro compreso tra i Popolari primo partito e i sovranisti di Identità e Democrazia, da qui occorre partire per individuare una convergenza identitaria su quell’«europeismo conservatore» che potrebbe innescare il salutareeffetto di sistema invocato da Maurizio Ferrera in un recente editoriale sul Corriere. Di conservatorismo non ce n’è uno solo.
Conservazione e reazione
La prima differenza si consuma sul crinale tra conservazione vera e propria, che mira a preservare ordini socio-valoriali aggiornandoli alle sensibilità del presente, e reazione, che pur di affermare sé stessa non esita a invertire il senso di marcia della storia attraverso letture revisioniste del passato o smantellamento di costruzioni date per acquisite esasperando le fratture sociali. La distinzione risale alla nascita del conservatorismo moderno, quando all’ombra della Rivoluzione francese si formò intorno a personalità come il visconte de Chateaubriand e il filosofo britannico Edmund Burke un movimento intellettuale di resistenza al radicalismo regicida che non negava il cambiamento ma lo ammetteva solo per passaggi graduali e obiettivi non utopistici. A questo approccio si sarebbe poi contrapposto lo spirito reazionario e post-napoleonico dei nostalgici convinti di poter tornare all’Ancien Régime.
Oggi le destre di governo nel Centro-Est continuano a intrecciare reazione e conservazione restando invischiate nella contraddizione fondamentale tra liberalismo e autoritarismo, sovranismo e integrazione. La versione al potere in Polonia dal 2015 con i nazional-populisti di Diritto e giustizia e quella rappresentata dal liberale ceco Petr Fiala, ex rettore dell’Università Masaryk, con il suo Partito Democratico Civico condividono un percorso che affonda le radici nella resistenza anti-sovietica (PiS in un filone di Solidarnosc, l’ODS nel Forum Civico di Václav Havel), una forte caratura religiosa (non scontata in Paesi ex comunisti), la difesa del primato dell’ordinamento nazionale rispetto alle norme comunitarie che nel caso polacco ha portato allo scontro frontale con le istituzioni europee.
La componente etnica
Manca della componente etnica che è invece costitutiva della democrazia illiberale perseguita dal nazionalista Viktor Orbán in Ungheria, ex alleato di ferro di Varsavia ora rinnegato per la mai interrotta relazione privilegiata con Mosca. L’orbanismo fa leva sull’orgoglio frustrato della Grande Ungheria, va a ripescare strumentalmente la mutilazione territoriale del Trattato del Trianon e trasforma le minoranze ungheresi tagliate fuori dai confini ridisegnati dopo la Grande guerra in popolazioni sorelle. Per Varsavia e Praga l’aspetto etnico aleggia sui controlli ai confini e l’opposizione alla redistribuzione dei richiedenti asilo provenienti da culture «altre» — porte spalancate agli ucraini in fuga dalla guerra di Putin ma confini chiusi ai migranti da Asia, Africa e Medio Oriente. È però un etnicismo a fini di consenso interno più che connaturato a un’idea di nazione. Dopo la secolare lotta del popolo polacco per vedersi riconosciuto il diritto all’integrità territoriale e ad un’entità statuale, rovesciata la dominazione sovietica, il nemico additato dagli ultraconservatori di Kaczynski è piuttosto l’istituzione comunitaria che mina le prerogative della sovranità: sul significato della libertà, sui diritti delle donne e della comunità lgbt, sulla stretta del potere esecutivo nei confronti di quello giudiziario «decidiamo noi».
Indipendenza a qualsiasi costo, che sia l’isolamento o l’esclusione dai finanziamenti, almeno a parole. Questione di sicurezza nazionale. Come sostenere la natalità in un Paese che invecchia e registra uno tra i tassi di fertilità più bassi d’Europa (1,39 nel 2020, in Italia siamo a 1,24). Fallito lo schema Famiglia 500+ che prevedeva 500 złoty (circa 110 euro) al mese per ogni figlio dopo il primo o per figli unici nei nuclei a basso reddito, nel 2021 il governo ha lanciato la Strategia Demografica 2040 che punta a «rafforzare la famiglia e rimuovere gli ostacoli alla genitorialità» attraverso forme di lavoro flessibile e orari ridotti sia per le donne incinte che per i genitori di bimbi fino a quattro anni, tutele legali contro discriminazione e licenziamenti, estensione del congedo parentale.
Rigenerazione morale
Difesa a oltranza di principi non derogabili, a Praga diventa saldissima collocazione nella compagine euro-atlantica. Da settimane il governo ceco affronta le proteste di frange dell’ultradestra unite ai comunisti nella richiesta di aprire al dialogo con la Russia sulle forniture energetiche per l’inverno. Subentrato nel 2021 al milionario populista dallo strapotere mediatico Andrej Babiš, il premier Petr Fiala presiede il consiglio direttivo del think tank Pravý břeh, Riva destra, che si propone come riferimento per un universo conservatore in cerca di rifondazione ideologica. Una destra che, passata l’ubriacatura per la fine della Guerra fredda, scopre di essersi data basi puramente economiche privilegiando l’individualismo a scapito dei valori della collettività. Un processo andato di pari passo con l’evoluzione di società consegnate al libero mercato senza una parallela elaborazione culturale.
La rigenerazione anche morale del patto sociale è obiettivo tanto del mondo che gravita intorno a Pravý břeh che della vecchia guardia dei polacchi fedeli a Kaczynski e al suo decennale progetto di una Quarta Repubblica eticamente rinnovata, contrapposta alla visione liberale e laica di un’opposizione che gioca una partita tutta interna alla destra. Realtà dove il richiamo al pensiero conservatore di Roger Scruton attinge direttamente al sostegno prestato in prima persona, nel decennio 1979-89, dal filosofo britannico che si poneva nella scia di Burke alle attività culturali clandestine dei dissidenti del blocco sovietico, soprattutto nell’allora Cecoslovacchia. Di Scruton Meloni ha citato nel discorso alla Camera un passaggio sull’«ecologia esempio vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato e chi verrà dopo di noi».
Le domande sull’Europa
Tra i punti programmatici dei Conservatori e Riformisti Europei si legge: «Fare meno, ma meglio. Cooperazione sì, super Stato no». Riferimento a un modello di sviluppo dell’Unione europea in chiave intergovernativa e non federale. Quell’«Europa dei popoli» evocata da Fratelli d’Italia. La prima domanda alla quale dovrà rispondere con chiarezza una destra conservatrice che voglia porsi come forza attiva e propositiva in Europa è questa: la Ue del futuro dovrà ampliare o ridurre le competenze condivise, allentare i vincoli e limitare la funzione di traino a una cerchia ristretta di capitali o rafforzare la compattezza per procedere tutti alla stessa velocità con effetti diretti sui singoli Paesi in termini di Stato di diritto e rispetto di standard comuni? Risposte dalle quali dipenderà anche la traiettoria di qualsiasi nuovo allargamento sull’asse orientale. Proprio in attesa di vedere sciolti questi nodi è stata convocata il 6 ottobre a Praga, presidente di turno del semestre Ue, la prima riunione della Comunità politica europea estesa su iniziativa della Francia di Emmanuel Macron a 44 Paesi, in pratica l’intero continente escluse Russia e Bielorussia. Un format multilaterale ancora vago nelle regole e negli intenti ma che risponde a un’urgenza: ristabilire l’Europa al centro di un sistema di alleanze diplomatiche, economiche e strategiche che rappresenti per i Paesi extra Ue un’alternativa immediata alla morsa di Mosca.
DESTRE IN EUROPA. Origini, numeri, volti
La nascita del conservatorismo moderno risale a personalità come il francese François-René de Chateaubriand e il britannico Edmund Burke: un movimento intellettuale che non negava il cambiamento, ma lo ammetteva solo per passaggi graduali
10 Paesi europei
Con governi di destra o di centrodestra, per la maggior parte coalizioni: Italia, Polonia, Ungheria, Svezia, Croazia, Grecia, Cipro, Lituania, Slovacchia, Paesi Bassi.
Peter Fiala
Ex rettore dell’Università Masaryk, 58 anni, è il leader del Partito Civico Democratico (liberal-conservatore) e dal 17 dicembre 2021 presidente del governo Ceco
Conservatori e riformisti
È il nome del gruppo al parlamento europeo dove siedono Fratelli d’Italia, le destre centro-orientali, nordiche e balcaniche, gli spagnoli di Vox, i tedeschi di Lkr e dove confluivano, prima di Brexit, i Tories
Mateusz Morawiecki
Manager ed economista, 54 anni, è primo ministro della Polonia dal dicembre 2017. Il suo è il partito di estrema destra Diritto e Giustizia
18 novembre 2022 (modifica il 18 novembre 2022 | 08:16)
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, 2022-11-18 07:17:00, Difendono il primato dell’ordinamento nazionale rispetto alle norme comunitarie, aprono le porte agli ucraini in fuga ma le chiudono per i migranti «altri». E sui diritti dicono: «Decidiamo noi», Maria Serena Natale