Via su tuttoscuola.com a una serie di appuntamenti in cui daremo consigli utili a chi si accinge a diventare dirigente scolastico. Sono consigli che nascono da più di vent’anni di scuola dove, sia come docente che come dirigente scolastica, ho potuto sperimentare bene l’uso di quella comunicazione che in lungo e in largo avevo studiato nei cinque anni, allora pionieristici, della appena nata facoltà di Scienze della Comunicazione. La facoltà del futuro, dicevano, a ragione, pur senza immaginare neppure lontanamente come si sarebbe trasformata negli anni a venire, grazie al digitale, alle nuove tecnologie ed ora al Metaverso.
Iniziamo quindi un appuntamento settimanale sull’uso della comunicazione a scuola, strumento utilissimo quando si passerà dal ruolo di docenti a quello di dirigenti scolastici: delicata transizione dove bisognerà tenere dritta la barra senza oscillare troppo. E sono infatti proprio i momenti di transizione da un ruolo all’altro quelli dove è più evidente la stoffa di un professionista. Ho visto docenti trasformarsi nel nuovo ruolo, in negativo, altri restare se stessi e costruirsi giorno per giorno in un mestiere che si impara solo facendolo. Non sarà la giacca o la scarpa col tacco a distinguere dai propri docenti, ma l’autorevolezza. Vediamo dunque come costruirla con la comunicazione, tenendo bene a mente che è dai tempi di Italo Calvino – molti ricorderanno il suo celebre articolo “Per ora sommersi dall’antilingua”, pubblicato su «Il Giorno» nel 1965 – che va avanti la battaglia per rendere comprensibile a tutti la comunicazione amministrativa.
Il nostro è un lavoro di comunicazione. Ogni atto comunicativo stabilisce una relazione sociale.
Come è noto, nel corso dei decenni si sono susseguiti vari tentativi di sburocratizzare il burocratese, Ci provò Cassese, con il il Codice di stile del ’93 per “diminuire la frattura tra cittadino e Stato, di cui si discetta, in termini altisonanti, senza porvi riparo. E per porvi riparo, bisogna cominciare anche dal linguaggio e dallo stile che gli uffici pubblici adoperano, nel comunicare con i loro clienti abituali“; ci provò la direttiva Frattini, nel 2002, della quale parleremo ampiamente nei prossimi giorni; la direttiva Baccini del 2005 che si apriva spiegando che “Il dialogo con i cittadini richiede un ulteriore passo in avanti. Nello stile e nella mentalità. Logiche e modi di esprimersi lontani dalla percezione comune sono oggi inaccettabili. Le pubbliche amministrazioni devono comunicare con veridicità e trasparenza. Devono perciò pensare, parlare e scrivere con chiarezza. Sempre”; il manuale approvato nel 2008 dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome); l’accordo quadro firmato nel 2020 dall’allora Ministra della Funzione Pubblica Fabiana Dadone e dal Presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, per favorire il buon uso della lingua italiana nella comunicazione tra l’amministrazione e i cittadini.
Innanzitutto, bisogna tenere a mente che il dovere di farsi capire passa anche attraverso i documenti che bisognerà produrre: “semplificazione e trasparenza” nella pubblica amministrazione significa anche saper scrivere testi chiari e accessibili a tutti. Complicare ciò che può essere semplice è prerogativa di chi usa male il potere che ha. I cinque assiomi fondamentali nella comunicazione, formalizzati dalla scuola di Paolo Alto, saranno utili per una comunicazione efficace. E’ possibile trovare le cinque proprietà semplici della comunicazione interpersonale nella “Pragmatica della comunicazione umana” di Paul Watzlawick, Janet Beavin e Don Jackson:
Primo assioma: non si può non comunicare, perché anche il silenzio e l’inattività sono comunicazione;
Secondo assioma: ogni comunicazione ha un aspetto “di contenuto” e uno di relazione (meta-comunicazione) che dà significato al contenuto attraverso i “sotto-messaggi”. In una comunicazione sana, l’aspetto relazionale della comunicazione arretra sullo sfondo; al contrario le “relazioni ‘malate’” sono caratterizzate da una lotta costante per defi nire la natura della relazione, mentre il contenuto passa in secondo piano;
Terzo assioma: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura della sequenza di relazione tra i comunicanti. Chi parla interviene nel processo comunicativo e lo dirige con una funzione simile a quella della punteggiatura che determina lo scorrere di un testo scritto;
Quarto assioma: gli esseri umani comunicano con il modulo sia numerico sia analogico, cioè in modo verbale e non verbale.;
Quinto assioma: tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici, se basati sull’uguaglianza o complementari, se basati sulla differenza. Quando diventa patologico, il legame complementare allarga la disuguaglianza. Bisogna, infatti, ricordare che è possibile imporre all’altro la propria “superiorità” solo se è disposto ad accettarla (e qui entra in gioco il concetto di autorevolezza).
Scriveva Tullio De Mauro: “Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire”. Chiaramente, in qualità di dirigenti scolastici, bisognerà sempre fare attenzione a due aspetti: i documenti dovranno essere efficaci sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista comunicativo.
In questo primo appuntamento, iniziamo a dare qualche indicazione di massima. Non scrivere mai più di quel che è strettamente necessario e utile. Se serviranno informazioni aggiuntive, le chiederanno. Ricordate sempre che la chiarezza della struttura logica deve essere accompagnata da una presentazione grafica chiara: bisognerà avere come obiettivo una pagina ben spaziata, con i capoversi chiaramente delineati, con un uso corretto, moderato e coerente delle possibilità che il carattere che avete scelto vi offre.
Come comunicare correttamente a scuola
Non evidenziare troppe informazioni: servirebbe solo a disorientare il lettore. Il maiuscolo va bene per indicare le date di scadenza, ma non bisogna abusarne.
Il burocratese ama fare largo uso di preposizioni e congiunzioni complesse, che appesantiscono il testo e non aiutano la comprensione. Se l’obiettivo è quello che le persone capiscano cosa si è scritto, limitare le subordinate e le proposizioni implicite, gli impliciti e le nominalizzazioni che generalmente abbondano nei testi amministrativi, trasformandosi in ostacolo per la comprensione. Per essere chiare, le frasi, secondo gli studi sul tema, non dovrebbero superare le 25 parole.
Preferire poi la forma attiva a quella passiva: è meno ambigua e aiuta chi legge a individuare immediatamente qual è il soggetto dell’azione.
Il burocratese ama l’impersonale. Non va usato. Meglio sostituirlo con una forma personale che ha per soggetto l’istituzione scolastica che rappresentate: ad esempio, invece di “s’informa” scrivete “vi informiamo”.
I verbi indicano delle azioni e le azioni richiedono dei soggetti espliciti. Nominalizzando si crea uno stile impersonale, poco efficace a livello comunicativo. Usare tempi e i modi verbali di largo uso e non formule desuete, spiegare le sigle (se usate), evitare stereotipi. Attenzione a quando si richiamano le leggi: non ci si sta rivolgendo ad avvocati ma a docenti quindi vanno citate in modo da spiegare di cosa si tratta. Per esempio , invece di scrivere “secondo l’art. … del Decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196”, indicando solo numeri, scrivere “secondo l’art. … del Decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
Al prossimo appuntamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.tuttoscuola.com/consigli-futuri-ds-come-comunicare-a-scuola/, Dirigere la scuola, https://www.tuttoscuola.com/feed/, Anna Maria De Luca*,