scenari
di Federico Fubini28 set 2022
Il «sentiero stretto» è una metafora del centrosinistra, quando Pier Carlo Padoan era ministro dell’Economia e la Banca centrale europea finanziava generosamente i deficit di tutti i Paesi dell’area. Sembrano passate diverse ere geologiche della politica italiana, da allora. Ma guardate meglio. Ora che la Bce ha smesso di estendere sempre nuovi aiuti, per il governo più a destra della storia repubblicana sarà dura trovare una formula più calzante.
Scilla e Cariddi
Forse, mettendo Omero al posto di Padoan, potrebbe dire che si trova tra Scilla e Cariddi. Da una parte le promesse di coalizione di un allargamento della “flat tax” per gli autonomi (costo: almeno tre miliardi), di un taglio del costo fiscale del lavoro e quelle dei partiti della futura maggioranza sulle pensioni. Dall’altra rendimenti del debito a dieci anni saliti in questi giorni ai livelli più alti dal 2012, spinti all’insù anche dalla tempesta innescata sui mercati dal maxi-pacchetto di assurdi tagli alle tasse in deficit del nuovo governo Tory a Londra. Da una parte c’è anche la pressione politica per indennizzare ancora famiglie e imprese per l’esplosione dei costi dell’energia, dall’altra parte però l’avvicinarsi del giorno in cui le regole europee sui conti non potranno essere più del tutto ignorate.
Da una parte infine una recessione indotta dalla guerra di Vladimir Putin e ormai ben visibile sui radar (ieri lo ha ricordato anche Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia); dall’altra una Bce che, malgrado tutto, continua la sua stretta monetaria accelerata e valuta persino di non ricomprare più titoli di Stato quando scadranno quelli che aveva comprato anni fa. Per l’Italia vorrebbe dire dover trovare nel 2023 investitori privati disposti a comprare nuovo debito italiano per circa 25 miliardi in più.
Qualunque governo fosse uscito dalle elezioni o anche quello di Mario Draghi — non si fosse votato proprio ora — si sarebbe trovato davanti a molti degli stessi problemi. Ma ora toccherà quasi certamente a quello di Giorgia Meloni farci i conti, con la complicazione supplementare delle varie promesse elettorali in deficit e di una coalizione già rissosa prima di mettersi in viaggio.
I conti del 2023
Proprio l’offerta di nuovi titoli di Stato da piazzare sui mercati l’anno prossimo è la questione chiave. In apparenza tecnica, ma nella sostanza determinante di quanto costerà il debito e di quanto saliranno i tassi sull’intera economia italiana. Qui i conti sono presto fatti: nell’ipotesi (verosimile) che il nuovo governo spenda subito una decina di miliardi in aiuti contro il caro-energia, il deficit del 2023 tenderà in automatico verso l’obiettivo ufficiale del 3,9% del prodotto lordo (Pil). Significa dover collocare titoli di Stato per circa 80 miliardi l’anno prossimo, per la prima volta da anni senza molta assistenza dalla Bce.
Ma non è tutto: fra sconti sulle accise sul carburante, sconti Iva sulle bollette e crediti d’imposta per le imprese, i sussidi attuali per il caro-energia costano al bilancio pubblico circa 40 miliardi all’anno. Scadono a ciclo continuo e dunque non sono nei conti, in attesa che siano rinnovati o meno dal prossimo governo. Ma mantenere quei sussidi significa dover collocare sui mercati nuovi titoli per circa 150 miliardi nel 2023 (inclusi quelli che la Bce non ricompra più), proprio ora che gli interessi salgono e gli investitori sono già innervositi dal precedente di Londra.
Mantenere quei sussidi senza trovare risparmi su altre voci del bilancio significa anche spingere il deficit verso il 6% del Pil nel 2023: lontanissimo dal 3% che verrà richiesto da Bruxelles l’anno seguente, nel 2024.
L’incastro con l’Europa
La situazione è dunque delicata, anche perché l’interazione con le istituzioni europee nel frattempo ha avuto un’evoluzione. Le regole di bilancio per adesso sono sospese ancora per un anno. Ma l’inflazione molto alta spinge la Bce ad alzare i tassi con così tanta decisione che ha dovuto mettere a punto un nuovo “strumento” per proteggere i Paesi più fragili da un aumento eccessivo del costo del debito. È il cosiddetto “Transmission Protection Instrument” (Tpi), da noi noto come “scudo anti-spread”. Può scattare se i rendimenti italiani salgono troppo o pericolosamente in fretta, ma non è gratis: prima il governo si dovrebbe mettere d’accordo con la Commissione Ue su un piano di riduzione del deficit e riforme in linea con quelle del Piano di ripresa (per esempio, sull’impopolarissima legge di concorrenza). In sostanza la nuova maggioranza di destra-centro dovrebbe accettare, perché la Bce tenga lo spread sotto controllo, di attuare misure che gradualmente tolgano risorse dall’economia o almeno non ne aggiungono altre. Dovrebbe accettare di fermare o ridurre certi sussidi per il caro-energia e rinunciare al grosso delle promesse elettorali.
Non sono scelte facili, per una maggioranza che ha il senso chiaro della pancia del Paese. Lo sono ancora meno nel pieno di una recessione. Ma governare l’Italia è sempre stato uno sport estremo: più ancora che uscire vivi da una campagna elettorale.
Iscriviti alla newsletter “Whatever it Takes” di Federico Fubini. Dati, fatti e opinioni forti: le sfide della settimana per l’economia e i mercati in un mondo instabile. Ogni lunedì nella tua casella di posta.
E non dimenticare le newsletter L’Economia Opinioni”
e “L’Economia Ore 18”
.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-09-29 05:20:00, I rendimenti dei Btp hanno toccato i massimi dal 2012, la Bce perseguirà nella stretta monetaria:perché i margini di manovra sul disavanzo si riducono. Il passaggio della legge di bilancio, Federico Fubini