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Quale risonanza hanno in me queste emozioni? Come educo l’alunno all’autocontrollo e al rispetto per l’altro, e come posso prevenire e gestire le situazioni di stress in classe? A queste domande cercheranno di fornire una risposta i relatori della conferenza intitolata “La formazione psicologica degli insegnanti, una necessità attuale”, aperta alla partecipazione degli operatori della scuola, oltre che agli psicologi e psicoterapeuti, e che si terrà il 26 aprile a partire dalle ore 20 presso la Sala Paolo Pozzo presso il Museo Diocesiano di Mantova.
L’evento si svolgerà in presenza sia online ma avrà una diffusione nazionale poiché si potrà partecipare a distanza attraverso la rete internet da un link dedicato. Gaetano Cotena, psicoterapeuta, docente di scienze umane presso il Liceo G. Galilei di Ostiglia, in provincia di Mantova e autore del libro “Insegnare senza farsi male”, nel corso della serata entrerà nel dettaglio di questa tematica, evidenziando gli strumenti della psicologia necessari alla funzione docente e rispondendo alle domande dei partecipanti. Saranno presenti per introdurre la tematica anche l’assessore alla cultura del Comune di Mantova, Serena Pedrazzoli e la referente per l’Ordine degli psicologi e psicoterapeuti, Rossana Elena Cal.
Professor Gaetano Cotena, si sentiva la necessità di un confronto pubblico sulla formazione psicologica dei docenti?
“E’ sempre più evidente soprattutto in questo periodo storico, lo scollamento tra le richieste che vengono fatte ai docenti – di educare l’alunno all’autocontrollo, alla gestione dell’emotività, alla espressione adeguata dei propri bisogni, al benessere emotivo – e l’attuale sistema di selezione e di formazione degli insegnanti, che non seleziona e non forma i docenti sulla base di competenze emotive, psicologiche e relazionali necessarie alla gestione dell’emotività propria e altrui. Le attuali metodologie didattiche infatti e il periodo storico che stiamo attraversando sollecitano in classe sfumature emotive e patologie psichiche con cui il docente deve relazionarsi ogni giorno senza una adeguata formazione psicologica che gli consenta di porsi nei confronti della fragilità emotiva e delle sollecitazioni in classe come un adulto stabile di riferimento non per curare ma per stare in relazione con queste sollecitazioni in una modalità funzionale al benessere del docente e degli alunni. Da gennaio 2023 a oggi abbiamo avuto 145 suicidi e negli ultimi due anni gli accessi per comportamenti suicidari al pronto soccorso dell’ospedale Bambino Gesù di Roma sono aumentati del 75 per cento, con un’età media di circa 15 anni. Ha inciso certamente il Covid ed è inoltre aumentato negli ultimi due anni il numero di richieste di consulenze neuropsichiatriche, che non riguardano i suicidi ma altre patologie psichiche come ansia, disturbi alimentari, autolesionismo e si è passati da 155 richieste in un anno, prima del Covid, a 1824, dopo il Covid”.
Perché ci si taglia? Cosa spinge i ragazzini agli atti di autolesionismo?
“Per la difficoltà di esprimere e controllare il proprio disagio emotivo. Posso sentire in questo modo quello che altrimenti non riesco a dichiarare a me stesso. Spesso c’è anche una rabbia non esternata verso l’esterno e che è rivolta verso sé stessi. Alla base degli agiti suicidari spesso non c’è un problema psichiatrico grave, spesso sento parlare di fragilità, ma si dice poco su che cosa consista questa fragilità. E’ la difficoltà a chiedere aiuto ma soprattutto è la percezione di non riuscire a far fronte alle richieste e alle aspettative che provengono dall’esterno, relative alla performance, all’immagine, alla forza. Questo vissuto è acuito dalla scarsità di legami di appartenenza e dalla mancanza di direzione e di futuro che gli adolescenti sentono”.
I giovani forse non riescono a vedere una speranza nel futuro.
“Sì, esiste questa difficoltà che è oggettiva nel periodo storico che stiamo attraversando. Ma quella che la rende a volte causa di patologie psichiche è la solitudine con cui la paura per il futuro viene vissuta. Perché la paura dentro la solitudine diventa angoscia”.
Non é sempre stato così?
“Ci sono sempre stati questi casi, con la differenza che nel nostro periodo storico le principali reti di supporto come la famiglia e gli amici e i contesti di appartenenza vacillano e i legami rappresentano per la nostra psiche una risorsa fondamentale per fare in modo che non ci si ammali. La paura del futuro non è per se stessa fonte di patologia ma lo diventa in un periodo storico in cui sempre di più mancano i riferimenti relazionali e di appartenzenza”.
Ecco il ruolo della scuola
“La scuola è il luogo in cui bambini e adolescenti trascorrono molte ore della giornata e non si può continuare a pensare che il ruolo degli insegnanti e del mondo scolastico non abbia un ruolo preponderante nella prevenzione del disagio psicologico. Vanno quindi dati alla scuola tutti gli strumenti per favorire il benessere emotivo e per fare prevenzione. La psicologia deve entrare nel mondo della scuola in diverse forme”
Quali?
“Primo, introdurre uno sportello psicologico in tutte le scuole”.
Non c’è già?
“Nonostante ci sia una legge che consente l’introduzione di uno sportello psicologico in tutte le scuole purtroppo non tutte le scuole ne sono fornite”
Dove lo sportello c’è, nei fatti serve molto?
“Rappresenta un importante punto di riferuimento per gli alunni e per gli insegnanti”.
Cosa serve ancora?
“Serve poi introdurre la psicologia per gli alunni in tutte le scuole. Interventi che espolorino e diano ai ragazzi una conoscenza approfondita del mondo emotivo. Non parlo di due ore all’anno ma di interventi continuativi all’interno delle classi per esplorare alcuni temi fondamentali della nostra psiche che gli alunni e le alunne non vedono l’ora di recepire. Per esempio: che cos’è la tristezza? Che cos’è la gioia? E la rabbia? Qual è la mia parte di responsabilità nelle situazioni conflittuali? Come cerco i riconoscimenti dagli altri? Provocando? Istigando? O manifestando in modo adeguato il mio bisogno? Su queste competenze gli psicologi sanno come lavorare, come permettere agli alunni di fare delle riflessioni su loro stessi senza che lo psicologo si ponga in modo paternalistico.
L’esperienza e la professionalità del professionista psicologo permettono di creare un ambiente nel quale i ragazzi possano riflettere su di loro in età adolescenziale perché farlo a 15 anni non è come farlo a 40 o a 50 quando i meccanismi disfunzionali si sono già incancreniti e richiedono quindi più tempo per essere modificati”
Ma non basta
“Occorre poi formare gli insegnanti. Se gli interventi degli psicologi sono limitati ad alcuni momenti preziosi in cui trasferire delle conoscenze e delle competenze per l’alunno, è necessario che il docente conosca alcuni aspetti relazionali ed emotivi della psicologia che gli permettano di ricreare in classe un ambiente che riesca a non nuocere a chi per esempio manifesta rabbia, ansia, paura o noia, nel quale le emozioni possano essere dichiarate e non agite perché tutto quello che riusciamo a dichiarare a noi stessi e all’altro è meno probabile che venga agito. L’intimità emotiva è un’esperienza possibile anche in una classe e penso che non sia possibile parlare di benessere emotivo a scuola lasciando solo alla grande buona volontà degli insegnanti la possibilità di creare in classe un ambiente accogliente che permetta la condivisione dell’emotività. Ma c’è bisogno di fornure ai docenti una formazione adeguata su queste tematiche. Senza confondere le professioni e senza confondere la cura con l’educazione, penso che il docente debba quantomeno conoscere che cos’è un attacco di panico, che cos’è l’anoressia, che cos’è l’autolosionismo e quali parole possono nuocere ad uno studente o una studentessa che ne soffre, ma questa formazione devono farla psicologi e psicoterapeuti”.
Infine?
“Servono le supervisioni di gruppo per gli insegnanti. Il docente entra in classe con tutta la sua storia che incontra le trenta storie che gli si parano di fronte ogni mattina e che sollecitano le sue reazioni automatiche. E’ necessario quindi che il docente conosca e riconosca quali sono le situazioni o i comportamenti degli alunni che suscitano in lui risposte automatiche o troppo intense che spesso sono quelle inadeguate a risolvere le situazioni di stress in classe o che hanno un prezzo troppo alto per la relazione emotiva. Non si può pensare a una professione come quella del docente, che passa attraverso la relazione inevitabilmente, senza immaginare delle supervisioni che permettano al docente di riflettere su che cosa sta accadendo in una relazione educativa che non sta funzionando o in cui un docente fa fatica”.
E’ una strada praticabile?
“I quattro punti che ho appena indicato richiedono un maggiore spazio agli psicologi e alla psicologia all’interno del mondo della scuola. Se abbiamo un problema al cuore o ai polmoni non abbiamo dubbi. Se c’è un problema collegato alla gestione delle emozioni e un disagio psicologico diffuso dobbiamo rivolgerci innanzi tutto alla psicologia. Ci sono i suicidi, gli attacchi di panico, l’anoressia e i giovani passano molto tempo a scuola. Il problema è psicologico ed è per questo che il ruolo degli psicologi e degli psicoterapeuti nelle scuole dev’essere al centro. Va dato più spazio all’utilizzo della psicologia nelle scuole. Questo me lo dicono gli studenti di Scienze umane tutti i giorni”.
Che cosa le dicono?
“La domanda che mi fanno tutti i giorni è questa: come mai quello che studiamo qui sulle emozioni, sulla relazione, sul conflitto, sulla gestione dell’emotività non si studia in tutte le scuole?”
E lei come risponde?
“Io non so rispondere a questa domanda ma penso che abbiano tutti i buoni motivi per porsi questa domanda”
Comunque ci troviamo di fronte all’ennesimo onere per gli insegnanti…
“No, si tratta solo di dar loro alcune conoscenze e competenze sulla base delle quali non sono stati selezionati e formati ma che sono necessarie alla prevenzione del burnout e di situazioni relazionali stressanti in classe per l’alunno e per il docente. Le validissime metodologie – penso al Circle Time –che vengono spiegate ai docenti e che viene richiesto ai docenti di spiegare stimolano negli alunni e nel docente stesso anche un’emotività che va contenuta, accolta e gestita. Quando siamo bambini o ancora adolescenti mettiamo dentro quello che l’altro sigificativo dice e pensa di noi o il modo in cui sta con la nostra emotività. Questo richiama alla necessità del docente di prestare una grande attenzione a quello che dice e a come lo dice quando il bambino o l’adolescente è spaventato, arrabbiato, annoiato o in ansia. E questi processi dell’educazione sono inconsci, il che significa che sono molto potenti. E’ per questo che una formazione specifica, psicologica agli insegnanti è fondamentale. Ma dev’essere svolta da psicologi e psicoterapeuti”.
Gli psicologi sono interessati a entrare nelle scuole?
“Quanto dico io incontra certamente il parere favorevole della comunità degli piscologi. Sentono in questo periodo storico l’importanza di intervenire e di avere un ruolo centrale in collaborazione con tutte le altre figure che ruotano intorno alla prevenzione del disagio giovanile. I dati sono sotto gli occhi di tutti”.
Qual è secondo lei la fascia di età o ordine di scuola in cui si dovrebbe intervenire subito se si dicesse fare una scelta?
“I suicidi sono la seconda causa di morte tra i 10 e i 24 anni. Mi risulta difficile identificare un ordine o grado di scuola che necessiti più degli altri, anche perché ove l’intervento non è fatto direttamente, per esempio sul bambino, si può lavorare sulla cultura psicologica della famiglia e degli insegnanti, oltre che naturalmente sul bambino. Penso che il personale scolastico e i pedagogisti e gli psicologi possano e debbano lavorare insieme con l’unico interesse di prevenire il disagio psicologico che caratterizza questo periodo storico”.
, https://www.orizzontescuola.it/cosa-faccio-se-sono-un-docente-e-ho-davanti-un-alunno-arrabbiato-spaventato-ansioso-intervista-allo-psicoterapeuta-cotena/, Cronaca, ,