Il Quirinale è pronto a richiamare i partiti a esprimere pubblicamente le loro posizioni. Ma dal Colle ancora nessuna ipotesi: non entra nel gioco politico Da un paio di giorni a Montecitorio si rincorre la voce secondo cui il presidente della Repubblica avrebbe detto a Mario Draghi: «Qualunque cosa succeda, tu da Palazzo Chigi non ti muovi… Ci siamo capiti?». Una intimazione che non rientra nel lessico di Mattarella, un uomo per il quale la cultura della complessità (e questa è una fase estremamente complessa) si unisce a quella della mediazione (che non prevede un pressing così brutale). È insomma una frase «inverosimile», sbottano al Quirinale, arricciando il naso. Non hanno tutti i torti, se non altro perché questo premier ha dato prova di voler decidere da solo, e senza tutori, il proprio destino. Lo ha dimostrato nella conferenza stampa di martedì: «Per me non c’è governo senza il Movimento 5 Stelle e non c’è un governo Draghi altro che l’attuale». Un modo per tagliare corto sulla sua disponibilità a imbarcarsi in una catena infinita di negoziati, tra diktat e ultimatum , per garantirsi la sopravvivenza politica sino alla fine della legislatura. Se oggi, come annunciato ieri, gli eccitati e divisi senatori di Giuseppe Conte decideranno di astenersi o uscire dall’Aula al momento del voto di fiducia sul decreto Aiuti, toccherà a Draghi decidere il da farsi. Potrebbe fingere che non sia successo nulla davanti a una simile ferita alla coalizione di unità nazionale nata un anno e mezzo fa sotto la sua guida? Manderebbe disinvoltamente alle ortiche la propria credibilità e intransigenza, accontentandosi di una maggioranza (ci sarebbe comunque) senza quello che prima della scissione di Luigi Di Maio era il primo partito uscito dalle elezioni del 2018? O salirebbe senza indugio dal capo dello Stato per dimettersi? Sul Colle sono ovviamente pronti a qualsiasi ipotesi possa materializzarsi, ma si trincerano dietro un riserbo assoluto. Scelta comprensibile, che rientra nel gioco delle parti, impegnate fino a notte fonda in dure trattative. Che si fondano su un punto fermo, conosciuto da tutti: anche per Mattarella questo è l’ultimo governo della legislatura. E, considerato che è stato lui a tenerlo a battesimo come estrema risorsa per affrontare le emergenze del Paese, ne è stato a tratti il Lord Protettore. Ora, aspettarsi che Mattarella lasci trapelare gli scenari che ha in mente per superare un eventuale showdown, è assurdo. Perché in tal modo entrerebbe pure lui nelle dinamiche politiche. Si può solo dare per possibile che, nell’ipotesi di un Draghi azzoppato dalla prova della fiducia a Palazzo Madama, il presidente lo rinvii alle Camere. Ma — si badi — non come prova d’appello della coalizione per ricucire in extremis un tessuto che sia stato appena strappato, quanto per costringere i partiti ad assumersi solennemente le proprie responsabilità davanti al Paese. Esprimendo pubblicamente le rispettive posizioni, senza i mascheramenti tattici e i rilanci continui cui abbiamo assistito. Poi, nel caso, Mattarella avvierà le consultazioni con le forze politiche e, numeri alla mano, prenderà una decisione. Sulla quale grava un punto interrogativo: chiedendo un nuovo sacrificio a Mario Draghi? 14 luglio 2022 (modifica il 14 luglio 2022 | 08:45) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-14 08:15:00, Il Quirinale è pronto a richiamare i partiti a esprimere pubblicamente le loro posizioni. Ma dal Colle ancora nessuna ipotesi: non entra nel gioco politico, Marzio Breda