Cosa impariamo dalla questione dei dirigenti scolastici lombardi posti in pensione forzata

Cosa impariamo dalla questione dei dirigenti scolastici lombardi posti in pensione forzata

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Un’altra triste pagina sulla scuola è stata scritta, una pagina che però ci dice e ci insegna molto, una pagina oserei dire illuminante.

Recentemente, l’Ufficio scolastico regionale della Lombardia ha licenziato e pensionato, dall’oggi al domani, ben diciassette Presidi, ad anno scolastico avviato, a causa di un mancato visto della Corte dei Conti sui contratti posti in essere proprio dall’Usr della Lombardia. E’ la legge si dirà. La Corte dei Conti è stata costretta ad applicarla; probabilmente, come leggo dai giornali, anche per un difetto di istruttoria da parte dell’Usr stesso.

Siamo forse di fronte ad un pasticcio burocratico o siamo di fronte a burocrati e contabili che non hanno a cuore la scuola, così almeno pare. Tuttavia forse dietro tale scelta vi è di più ovvero il senso e il significato che oggi la scuola rappresenta per i politici e gli amministratori pubblici ovvero esclusivamente un centro di spesa.

E’ il caso di dire il velo di Maya si è alzato in tutto e per tutto. Ad essere colpiti sono tutti, anche i presidi, i dirigenti. Facile licenziare nella scuola, non ci troviamo di fronte ad un’impresa i cui profitti e risultati possono facilmente emergere da un bilancio autentico o da un return on investment, situazioni in cui toccare il management diventa rischioso.

Nella scuola si spende sul capitale umano e il ritorno dell’investimento è spesso insondabile. Non si riduce alle sole eccellenze che ottengono risultati scientifici anche magari internazionali o al numero di coloro che si iscrivono a prestigiose facoltà con brillanti risultati, dati che emergono dalle indagini di altisonanti centri studi.

Consiste prioritariamente nella formazione di generazioni che con la cultura acquisiscono la possibilità di sviluppare una personalità indipendente, capace di senso critico e di filtrare i messaggi di una informazione sovrabbondante e frastornante, consiste nella formazione di menti, mi si permetta la forzatura, su cui cresce lo sviluppo economico sano di un paese, consiste nella formazione di identità che parteciperanno attivamente alla crescita sociale e culturale di una nazione e altro ancora. Tutti elementi qualitativi difficilmente esprimibili in termini statistico-matematici al modo di un bilancio di esercizio.

A questo punto e in questo quadro è stato possibile facilmente emettere un provvedimento senza preavviso, con una semplice mail, che, peraltro, appare irrispettoso della dignità personale oltre che impattante su importanti progetti innovativi dei singoli Istituti che rischiano di fermarsi. Immediatamente e giustamente si sono alzate condivisibili proteste.

Cito a mo’ d’esempio il flash mob organizzato all’Istituto Comprensivo di Rudiano, in provincia di Brescia, per protestare contro il pensionamento della dirigente scolastica E.L. a cui hanno partecipato genitori, studenti, docenti e amministratori, fra cui diversi sindaci. Iniziative lodevoli che però sollevano delle domande direi legittime.

Infatti, analoghe proteste non si sono viste quando ad essere sostituiti sono stati i colleghi precari che annualmente subiscono una sorte in qualche modo simile, anch’essi spesso licenziati senza preavviso con un impatto sulla formazione degli studenti significativo, oltre che sulla propria dignità individuale ed emotiva.

Le autorità in questi casi non si vedono, salvo che in rare e sporadiche occasioni. I genitori, i sindaci non si fanno sentire, non si vedono flash mob. Io sono uno dei tanti insegnanti di un liceo della provincia di Bergamo che ha visto la propria preside, la professoressa G.A., fagocitata dalla burocrazia irriverente e kafkiana, una preside coinvolta in alcuni importanti progetti e ho provato amarezza per la decisione presa.

Aggiungerei inoltre che l’atteggiamento contabilistico, burocratico e insensibile che guida scelte così radicali non è di oggi. Questa è solo la punta dell’iceberg. Che l’elemento quantitativo, statistico e meccanico sia prevalente rispetto agli elementi qualitativi dei processi scolastici non è di oggi, forse però è la prima volta che ci si scaglia contro i dirigenti, contro i decisori dei processi e questo ci sorprende.

E’ qualcosa che interrompe la consuetudine, non siamo più in “un sistema” che si scaglia solo contro, e anche qui mi si permetta la forzatura, i più deboli, a cui paradossalmente ci siamo tristemente abituati.

Si è rotto qualcosa. Il filosofo tedesco Martin Heidegger usava in questi casi il concetto illuminante di “cozzo interruttivo” che si riferisce alla situazione in cui un oggetto si rompe e non è più utilizzabile come si fa usualmente, ciò ci sorprende, ma ci fa capire il senso dell’oggetto.

Siamo di fronte anche in questo caso ad un “cozzo interruttivo”, ad un fatto inusuale, sorprendente, che ci fa capire e che rende ancora più evidente e trasversale la marginalità della scuola e di tutto, ma proprio tutto, il suo personale. Il velo di Maya è stato strappato, possiamo vedere chiaramente i processi in atto, ma non siamo stati noi a strapparlo, come auspicava Schopenhauer, lo ha fatto lo Stato stesso.

Auspico che si lavori insieme per difendere la scuola senza inutili divisioni, peraltro superate dalla storia e dai fatti ora narrati.

Marco Navarri

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