Cosa non va nella bozza Calderoli

Cosa non va nella bozza Calderoli

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Mezzogiorno, 13 novembre 2022 – 07:17 di Mario Rusciano Il Corriere del Mezzogiorno sta dando giusto rilievo all’autonomia regionale differenziata ipotizzata dal Ministro Calderoli nella «Bozza di disegno di legge» illustrata da Paolo Grassi sul nostro giornale martedì scorso («Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art. 116, 3° comma, della Costituzione»). Il problema è cruciale: si tratta d’una riforma istituzionale destinata a fare storia. Ma non una bella storia se si risolve nella spaccatura dell’Italia. Purtroppo è cruciale al Centro-Nord e al Sud per opposti interessi; e lo si aggrava accentuando un conflitto del genere fra aree interdipendenti del Paese. Nell’intervista rilasciata a Simona Brandolini mercoledì scorso sul nostro giornale, l’economista Nicola Rossi — cui pare aderire con implicito accenno Fabio Calenda nell’editoriale di giovedì — si pone fuori dal coro di autorevoli studiosi (anche del Nord) e di altri economisti come Adriano Giannola e Gianfranco Viesti. Mentre il coro canta a voce alta, inascoltato, i preoccupanti effetti per il Sud del disegno Calderoli, Rossi ne critica sottovoce alcuni aspetti ma soprattutto rimprovera gli amministratori per l’inefficienza e l’incapacità, considerandoli responsabili dello stato del Mezzogiorno. Per altro verso, tra gl’inascoltati cantori, spicca la voce del costituzionalista Massimo Villone, Emerito della Federico II, che da tempo critica con perizia tecnica una certa idea d’autonomia regionale, non solo dell’attuale Governo. E da tempo, col «Coordinamento per la democrazia costituzionale», ha allestito un progetto di «legge costituzionale» d’iniziativa popolare, per il quale si stanno raccogliendo le firme necessarie alla presentazione in Parlamento. Ora è incombente il rischio della confusione delle idee e va fatta chiarezza senza imbrogliare le lingue. Da un lato è da condividere la posizione di Villone, secondo cui il discorso su un’autonomia regionale realmente utile e razionale deve partire dalla correzione della sciagurata riforma del titolo V della Carta. Voluta nel 2001 dal centrosinistra per arginare — nel modo peggiore — il secessionismo selvaggio all’epoca minacciato dalla Lega-Nord. Da un altro lato sono da riconoscere le colpe degli amministratori meridionali, che tutti riconosciamo. Difatti i critici (intellettuali o no) della bozza Calderoli non sono affatto contrari per principio all’autonomia regionale, anche per responsabilizzare la classe dirigente meridionale. Sono anzi talmente consapevoli dei disastri del Sud da condannarne inefficienza, inettitudine, ignoranza, vittimismo e parassitismo. Ma denunciano l’inganno che ora si nasconde nella bozza Calderoli, lesiva della parità di trattamento di tutte le Regioni italiane ai nastri di partenza. Il disegno Calderoli è semplicemente sbagliato: nella procedura e nei contenuti. 1) Sulla procedura: come si può emarginare il Parlamento prevedendo — e in modo irreversibile — che possa solo approvare o respingere l’intesa Governo-Regione? Come si può pensare che in sostanza l’intesa prevalga sulla legge, violando l’art. 116 mentre se ne afferma l’attuazione? Nel 116 il ruolo della legge è centrale. 2) Sui contenuti: è impensabile che, «prima» d’ogni legge ordinaria, non si riscriva in Costituzione la competenza esclusiva dello Stato in settori vitali per la collettività: sanità; scuola; lavoro; trasporti; energia; ambiente; infrastrutture e reti nazionali ecc. Possibile che il disastro della sanità nella pandemia non abbia insegnato alcunché? È poi altrettanto impensabile avviare una procedura legislativa senza preventiva eliminazione del criterio della «spesa storica» e senza soluzione del problema dei «livelli essenziali delle prestazioni» (Lep), che devono essere «uniformi» sull’intero territorio nazionale per non violare il principio costituzionale d’eguaglianza di tutti gl’italiani. Quando si dice il patriottismo! La bozza Calderoli mira a punire il Mezzogiorno tramite un obbrobrio giuridico. E sorprende la differenza tra l’irrefrenabile attivismo del Ministro e la debole reazione della classe politica, specie del Sud. Solo alcuni Presidenti regionali e Sindaci del Sud si fanno sentire. Sporadici gl’interventi dei parlamentari (specie non autoctoni) eletti al Sud e dei responsabili di sindacati e partiti. Tacciono ovviamente i dirigenti della fantomatica Lega-Sud amici di Salvini. Ambigua la posizione del Pd, diviso all’interno forse perché il Presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini — che aspira addirittura a diventarne Segretario — condivide le istanze delle Regioni del Nord. Il leader M5S Giuseppe Conte fa un’opposizione tiepida, pur atteggiandosi a partito di sinistra radicale e sudista. Certo Salvini, deluso dal risultato elettorale del 25 settembre e traballante nella leadership — complice, magari forzatamente, la Presidente Meloni — ha preteso per la Lega il Ministero degli Affari Regionali da destinare proprio a Calderoli, storico esponente della Lega-Nord, paladino da sempre della secessione del Nord dal resto dell’Italia. Egli porta avanti il suo disegno con la discrezione tipica di chi sta facendo un cattivo servizio all’unità del Paese e all’eguaglianza dei cittadini e dei lavoratori italiani. Per contrastarlo occorre adesso una sonora mobilitazione generale e unitaria dell’intero Mezzogiorno: persino — perché no? — uno «sciopero generale» proclamato dalle maggiori Confederazioni nazionali. La destra ha il diritto di attuare il suo programma, ma se tocca la struttura istituzionale dello Stato è tutta un’altra musica. 13 novembre 2022 | 07:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-13 06:18:00, Mezzogiorno, 13 novembre 2022 – 07:17 di Mario Rusciano Il Corriere del Mezzogiorno sta dando giusto rilievo all’autonomia regionale differenziata ipotizzata dal Ministro Calderoli nella «Bozza di disegno di legge» illustrata da Paolo Grassi sul nostro giornale martedì scorso («Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art. 116, 3° comma, della Costituzione»). Il problema è cruciale: si tratta d’una riforma istituzionale destinata a fare storia. Ma non una bella storia se si risolve nella spaccatura dell’Italia. Purtroppo è cruciale al Centro-Nord e al Sud per opposti interessi; e lo si aggrava accentuando un conflitto del genere fra aree interdipendenti del Paese. Nell’intervista rilasciata a Simona Brandolini mercoledì scorso sul nostro giornale, l’economista Nicola Rossi — cui pare aderire con implicito accenno Fabio Calenda nell’editoriale di giovedì — si pone fuori dal coro di autorevoli studiosi (anche del Nord) e di altri economisti come Adriano Giannola e Gianfranco Viesti. Mentre il coro canta a voce alta, inascoltato, i preoccupanti effetti per il Sud del disegno Calderoli, Rossi ne critica sottovoce alcuni aspetti ma soprattutto rimprovera gli amministratori per l’inefficienza e l’incapacità, considerandoli responsabili dello stato del Mezzogiorno. Per altro verso, tra gl’inascoltati cantori, spicca la voce del costituzionalista Massimo Villone, Emerito della Federico II, che da tempo critica con perizia tecnica una certa idea d’autonomia regionale, non solo dell’attuale Governo. E da tempo, col «Coordinamento per la democrazia costituzionale», ha allestito un progetto di «legge costituzionale» d’iniziativa popolare, per il quale si stanno raccogliendo le firme necessarie alla presentazione in Parlamento. Ora è incombente il rischio della confusione delle idee e va fatta chiarezza senza imbrogliare le lingue. Da un lato è da condividere la posizione di Villone, secondo cui il discorso su un’autonomia regionale realmente utile e razionale deve partire dalla correzione della sciagurata riforma del titolo V della Carta. Voluta nel 2001 dal centrosinistra per arginare — nel modo peggiore — il secessionismo selvaggio all’epoca minacciato dalla Lega-Nord. Da un altro lato sono da riconoscere le colpe degli amministratori meridionali, che tutti riconosciamo. Difatti i critici (intellettuali o no) della bozza Calderoli non sono affatto contrari per principio all’autonomia regionale, anche per responsabilizzare la classe dirigente meridionale. Sono anzi talmente consapevoli dei disastri del Sud da condannarne inefficienza, inettitudine, ignoranza, vittimismo e parassitismo. Ma denunciano l’inganno che ora si nasconde nella bozza Calderoli, lesiva della parità di trattamento di tutte le Regioni italiane ai nastri di partenza. Il disegno Calderoli è semplicemente sbagliato: nella procedura e nei contenuti. 1) Sulla procedura: come si può emarginare il Parlamento prevedendo — e in modo irreversibile — che possa solo approvare o respingere l’intesa Governo-Regione? Come si può pensare che in sostanza l’intesa prevalga sulla legge, violando l’art. 116 mentre se ne afferma l’attuazione? Nel 116 il ruolo della legge è centrale. 2) Sui contenuti: è impensabile che, «prima» d’ogni legge ordinaria, non si riscriva in Costituzione la competenza esclusiva dello Stato in settori vitali per la collettività: sanità; scuola; lavoro; trasporti; energia; ambiente; infrastrutture e reti nazionali ecc. Possibile che il disastro della sanità nella pandemia non abbia insegnato alcunché? È poi altrettanto impensabile avviare una procedura legislativa senza preventiva eliminazione del criterio della «spesa storica» e senza soluzione del problema dei «livelli essenziali delle prestazioni» (Lep), che devono essere «uniformi» sull’intero territorio nazionale per non violare il principio costituzionale d’eguaglianza di tutti gl’italiani. Quando si dice il patriottismo! La bozza Calderoli mira a punire il Mezzogiorno tramite un obbrobrio giuridico. E sorprende la differenza tra l’irrefrenabile attivismo del Ministro e la debole reazione della classe politica, specie del Sud. Solo alcuni Presidenti regionali e Sindaci del Sud si fanno sentire. Sporadici gl’interventi dei parlamentari (specie non autoctoni) eletti al Sud e dei responsabili di sindacati e partiti. Tacciono ovviamente i dirigenti della fantomatica Lega-Sud amici di Salvini. Ambigua la posizione del Pd, diviso all’interno forse perché il Presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini — che aspira addirittura a diventarne Segretario — condivide le istanze delle Regioni del Nord. Il leader M5S Giuseppe Conte fa un’opposizione tiepida, pur atteggiandosi a partito di sinistra radicale e sudista. Certo Salvini, deluso dal risultato elettorale del 25 settembre e traballante nella leadership — complice, magari forzatamente, la Presidente Meloni — ha preteso per la Lega il Ministero degli Affari Regionali da destinare proprio a Calderoli, storico esponente della Lega-Nord, paladino da sempre della secessione del Nord dal resto dell’Italia. Egli porta avanti il suo disegno con la discrezione tipica di chi sta facendo un cattivo servizio all’unità del Paese e all’eguaglianza dei cittadini e dei lavoratori italiani. Per contrastarlo occorre adesso una sonora mobilitazione generale e unitaria dell’intero Mezzogiorno: persino — perché no? — uno «sciopero generale» proclamato dalle maggiori Confederazioni nazionali. La destra ha il diritto di attuare il suo programma, ma se tocca la struttura istituzionale dello Stato è tutta un’altra musica. 13 novembre 2022 | 07:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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