di Monica GuerzoniSì del Senato alla fiducia: Lega, Forza Italia e 5 Stelle non votano. Draghi verso le dimissioni dopo l’intervento alla Camera Il verdetto arriva con le ombre del crepuscolo, quando la presidente Casellati declama con tono esausto i numeri della non-fiducia a Mario Draghi. Presenti 192, votanti 133, favorevoli 95, contrari 38. Il governo di unità nazionale non esiste più, affossato da Conte, Salvini e Berlusconi, che hanno puntato le loro carte sulle elezioni anticipate. Un’ora prima, uscendo da Palazzo Madama a dichiarazioni di voto ancora in corso, il premier aveva trovato la forza per rispondere ai cronisti con una battuta. Presidente, va al Colle per le dimissioni? «Per ora prendo l’ascensore». I giornalisti lo aspettano invano davanti al Quirinale. Fino a quando, col buio, arriva la notizia che Draghi vedrà Mattarella solo oggi, dopo aver annunciato a Montecitorio le sue dimissioni irrevocabili. L’obiettivo è chiaro: indicare al Paese quei partiti e quei leader che hanno rottamato il governo di unità nazionale. Brindisi e addii La rabbia di Mariastella Gelmini, che lascia Forza Italia. I sospetti di Calenda, che posta su Twitter le foto di Salvini a Mosca e di Conte e Berlusconi assieme a Putin: «Sarà un caso ma il governo più serio e atlantista della storia recente viene mandato a casa da tutti quelli che hanno sostenuto posizioni filoputiniane». L’amarezza di Letta, grande mediatore e grande sconfitto: «Giorno di follia, il Parlamento decide di mettersi contro l’Italia». La rabbia di Di Maio: «Pagina nera per l’Italia». E l’euforia di Salvini, che scarica le macerie su Conte e su Letta: «Draghi e l’Italia sono state vittime della follia dei 5Stelle e dei giochini di potere del Pd». Applausi dei parlamentari leghisti e Giancarlo Giorgetti che fa arrivare al premier il suo dispiacere personale e l’amarezza per «un governo che cade senza che il Parlamento abbia la forza di votare contro». Giornata da infarto e un epilogo che a Palazzo Chigi non avevano messo nel conto. «Draghi non andrà in Aula al buio», spiegavano ai cronisti i collaboratori dell’ex presidente della Bce, pensando che la fragile intesa con i partiti di maggioranza sarebbe stata più forte della voglia di elezioni anticipate. L’ultimo mercoledì del governo Draghi va tutto al contrario. «Sarà una buona giornata per il Paese», dichiara Salvini alle 9.30 sulla soglia di Palazzo Madama. Forse ha già scritto il finale e fa il verso a Enrico Letta: «Mercoledì mi sveglio sereno, sarà una bella giornata». Arriva Giuseppe Conte e si chiude in assemblea permanente negli uffici del M5S (ne uscirà 12 ore più tardi). Il premier prende posto sui banchi del governo, dove lo aspettano i ministri, leali e non. Cattivi presagiUn minuto di silenzio per Scalfari, poi le comunicazioni del premier. Comincia male. Parte un lungo fischio, ma è il microfono: «Credo ci sia qualcosa che non funziona». L’auspicio non è dei migliori. Draghi si schiarisce la voce, rivendica le cose fatte, si dice «orgoglioso di essere italiano» e incassa un lungo applauso, con i senatori del M5S che però restano immobili. Ringrazia il Parlamento e chiede ai partiti se hanno «il coraggio e l’altruismo» di ricostruire il patto di governo. «Siete pronti a riscriverlo?». Per quattro volte la domanda di Draghi risuona nell’emiciclo, sollevando brusii così forti che la presidente invita l’Aula al silenzio. E forse è in quel momento che Draghi capisce di essere ormai quasi solo. Il discorso è finito. Salvini è una statua di cera: bruciano i no del capo del governo su balneari, tassisti, scostamento di bilancio. Di Maio applaude entusiasta, i senatori di Lega e M5S incrociano le braccia. La seduta è sospesa, Draghi va alla Camera per consegnare il discorso al presidente Fico e nei partiti comincia la giostra. Salvini riunisce il Carroccio, Renzi interpreta la rabbia dei leghisti: «Draghi ha detto “non voglio una fiducia di facciata”, non lo avrei apprezzato se si fosse messo a fare il suk in Parlamento». Meloni e i pieni poteriAd aprire il mercato sono le forze politiche. Tutti alzano il prezzo, pongono veti e condizioni, chiedono posti di governo e sottogoverno. Giorgia Meloni fa sentire le sirene dell’opposizione: «Draghi di fatto pretende pieni poteri, sostenendo che glielo hanno chiesto gli italiani». I leghisti sono d’accordo e nel salone Garibaldi dicono ai cronisti che il premier «ha fatto un discorso per essere sfiduciato». Berlusconi invita a pranzo il centrodestra di governo ed è tra i pini e gli abeti di Villa Grande che i leader di Forza Italia e Lega stringono ancor di più il patto segreto siglato il giorno prima: elezioni, elezioni. E Conte, che fine ha fatto? Sta asserragliato con i suoi in un perenne confronto, in bilico tra sfiducia annunciata e fiducia a sorpresa. Per Di Maio parla, fuori dall’Aula, il portavoce Giuseppe Marici e respinge le «continue e gravi ingerenze della Russia nei confronti del governo italiano». E su Facebook, dal fronte opposto, Alessandro Di Battista ironizza sul capo dell’esecutivo: «Qualcuno ha il fegato di votare la fiducia al Messia?». La Lega rompeLa buvette è un alveare impazzito. Tra un caffé e un tramezzino c’è chi accredita contatti tra Salvini e Conte, ma la smentita di via Bellerio è secca: non si sentono da mesi. Il leader della Lega fa trapelare la sua ira perché Draghi ha lasciato fuori dal discorso i suoi cavalli di battaglia, come flat tax e pace fiscale. E alle due, quando parla il capogruppo Romeo, davanti al monitor scende il silenzio: «Noi ci siamo se si tratta di fare una nuova maggioranza senza M5S e ricostituire un nuovo governo». Ecco, è l’inizio della fine. Il premier ha escluso ogni ipotesi di Draghi bis e non tornerà indietro. Il leghista picchia duro. Draghi non lo lascia con lo sguardo, prende qualche appunto, poi si alza ed esce dall’Aula con il ministro Guerini. Si forma un capannello di emergenza. I ministri Franceschini, Brunetta e Speranza e il sottosegretario Garofoli convincono Draghi a tornare sui banchi del governo. Il Senato è in tempesta. La portavoce di Palazzo Chigi, Paola Ansuini, parla con i giornalisti per placare i senatori: «Draghi non ha sfidato, né attaccato i partiti, il suo intento era richiamarli alla responsabilità e tracciare il cronoprogramma delle riforme di fine legislatura». Rocco Casalino showTutto inutile, il terremoto è iniziato. Il leghista Roberto Calderoli deposita una risoluzione con cui Salvini chiede un nuovo governo senza i 5 Stelle e Pier Ferdinando Casini ne firma un’altra, sui cui ancora qualche governista-ottimista del Pd spera di ottenere la fiducia: «Ascoltate le comunicazioni del presidente del Consiglio, il Senato le approva». Alla buvette si affaccia Rocco Casalino, elegante e in forma. Il portavoce di Conte è allegro, scherza con i giornalisti, forse si vede già senatore anche lui: «Io licenziato dal gruppo alla Camera? Non è un problema, il mio contratto al Senato scade l’anno prossimo». Non ha paura di un’altra scissione del M5S? «No, perché avere dieci parlamentari in più o in meno non serve a nulla, con le elezioni cambierà tutto». Siamo quasi ai titoli di coda. Casellati concede 90 minuti di pausa, il tempo dell’ultimo derby. Si tratta, o si finge di trattare. Il tavolo di maggioranza evocato dai draghiani si restringe. Il ministro Federico D’Incà tenta l’ultima mediazione. Chiude nella stessa stanza Letta, Speranza e Conte. Il segretario del Pd e il ministro di Leu lo implorano di votare la fiducia a Draghi, ma l’ex premier non cede nemmeno quando glielo chiede Franceschini. Draghi lascia il Senato, un gruppetto di turisti lo incoraggia e lui fa «ciao, ciao» con la mano. La tensione sale, Berlusconi sente Draghi e Mattarella e anche Salvini parla col capo dello Stato. Lo strappo è ormai certo, la Lega voterà la sua risoluzione e quindi non darà la fiducia al premier. Lo stesso faranno Forza Italia e Udc. Zitti e buoni. Per Draghi è l’ora di replicare ai partiti, di ringraziare «chi ha sostenuto l’operato del governo con lealtà». Smentisce di aver mai chiesto pieni poteri e fa a pezzi superbonus e reddito di cittadinanza. La Lega applaude, il M5S decide di abbandonare l’Aula al momento della fiducia e Salvini — dopo aver brindato a Coca-Cola con i suoi nella buvette, assediato dai giornalisti — fa sapere di essere in continuo contatto con Giorgia Meloni. «Hanno già pronta la lista dei ministri», è la chiosa amara di un senatore del Pd. Parte la chiama. Lega e Forza Italia non daranno la fiducia a Draghi, i 5 Stelle sono «presenti e non votanti» e l’ultimo brivido è il numero legale. Alla fine i numeri ci sono, il tabellone si accende. Dopo 17 mesi è finita davvero. Salvini può tornare da Berlusconi a Villa Grande, questa volta per brindare a champagne. 20 luglio 2022 (modifica il 21 luglio 2022 | 00:00) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-20 22:00:00, Sì del Senato alla fiducia: Lega, Forza Italia e 5 Stelle non votano. Draghi verso le dimissioni dopo l’intervento alla Camera, Monica Guerzoni