Cuccureddu: «Preparo il campo per i ragazzini. Vorrei scoprire il nuovo Del Piero»

Cuccureddu: «Preparo il campo per i ragazzini. Vorrei scoprire il nuovo Del Piero»

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di Elvira Serra

Alghero, l’ex campione della Juventus e la foto fatta dal figlio diventata virale: «Gli incontri più emozionanti? Quelli con Pelé e con Sivori, il mio idolo». Amarcord: «Sogno le mie vecchie partite». L’orgoglio: la stella allo Stadium di Torino

«Cuccu», ma fa sempre lei quel lavoro?

«No, qualche volta anche mio figlio. Ma io mi diverto! Quando ero bambino giocavo sul fango, per strada. Adesso per molti genitori senza il sintetico sembra che i figli non possano giocare. E invece impari di più: uno stop su questo campo ha rimbalzi diversi. E comunque il nostro è bello morbido, sabbioso».

La traccialinee sembra una carriola con il coperchio. Come funziona?

«Ah, fa benissimo il suo lavoro: stendiamo il filo prima sull’area, poi sulle linee laterali, quindi si traccia e si passa sopra con la calce. Se non piove, dura due settimane. Sabato dovevo farlo perché giocavano i miei esordienti, che hanno 10-11 anni: il nostro campo è regolamentare, ma loro giocano a nove».

Tutto questo succede nella sua scuola «Apd Antonello Cuccureddu 1969»: l’anno dell’esordio in Serie A.

«In due anni ero passato dal Fertilia alla Torres al Brescia alla Juventus. La prima partita in maglia bianconera la giocai proprio in Sardegna, contro quel Cagliari di Gigi Riva che a fine stagione avrebbe vinto lo scudetto. Il giorno dopo un giornale titolò “figlio cattivo”, perché avevo segnato il gol del pareggio. Ma io giocavo per vincere, sempre, anche quando dopo dodici anni lasciai la Juve per la Fiorentina e mi ritrovai ad affrontare i miei ex compagni».

Come fu il salto a Torino?

«Tanti sardi mi aiutarono, io avevo appena vent’anni. Il primo che conobbi e con cui sono rimasto amico è Scanu, il parrucchiere che aveva il negozio vicino allo stadio. Ma anche con i compagni mi sono trovato subito bene: Cabrini, Benetti, Gentile… Con lui uscivamo sempre, prima di sposarci».

E sua moglie è sarda o «continentale»?

«Mia moglie, Ivana Mazzi, è toscana. L’avevo conosciuta nel ristorante dove andavamo a mangiare, lei era lì con amici. Non capisce nulla di calcio, credo sia venuta a una sola partita in tutta la mia carriera, e forse è stata una delle mie fortune. Ma se l’immagina se tornavo a casa dopo aver perso e mi toccava litigare sulla prestazione?».

Gli incontri che l’hanno emozionata di più?

«Mi sono emozionato molto con Pelé in Canada. E poi con Sivori in Argentina, nel 1978: era il mio idolo. Nella mia Club House, qui ad Alghero, ci sono tutte le foto: il debutto in Nazionale con Giacinto Facchetti, quella con Paolino Rossi, gli scudetti…».

Dopo, allenò anche un giovanissimo Del Piero.

«Sì, nella Primavera della Juve. Che ragazzo straordinario…».

Sta cercando un nuovo Del Piero nella sua scuola?

«Ancora non l’ho trovato, ma si nota già da piccoli quando hanno quel talento in più e bisogna seguirli e accompagnarli. Dalla prossima stagione, comunque, vorrei far decollare un progetto che coinvolge la Juventus. Qui di fianco a me c’è l’Alghero che è gemellata con il Cagliari Calcio».

Quali regole impone?

«La scuola prima di tutto: se uno va male a scuola sta in panchina. E poi, seconda regola, gioca solo chi si allena. Ai genitori suggerisco, se i ragazzini non studiano, di togliergli per punizione il telefonino o il computer o la bicicletta, ma non lo sport, che è scuola di vita: altrimenti gli viene la depressione».

E i genitori-allenatori li incontra mai?

«Devo dire che sono tutti molto rispettosi, e poi io i loro figli li faccio ruotare sempre. Ma quando qualcuno esagera faccio una domanda semplice? Ma tu nella vita hai giocato al calcio? No. E allora guarda e ascolta. E nessuno protesta».

Se va a Torino a vedere una partita paga il biglietto?

«Eh, se dovessi comprare il biglietto significa che il mondo è crollato».

9 marzo 2022 (modifica il 9 marzo 2022 | 21:53)

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Pietro Guerra

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