Cultura della vergogna: ecco perché anche gli eroi omerici avrebbero messo la mascherina col Covid

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di Marco Ricucci*

Una riflessione sul senso della «shame culture» come fondamento del vivere civile: da Omero a Platone fino ai giorni nostri

La vergogna è un potente sentimento umano, che non solo regola e dirige i nostri comportamenti individuali, ma anche qualifica intere comunità tanto antiche quanto moderne. Non bisogna andare così lontano nel tempo, per trovare due concetti quali «cultura di colpa» e «cultura di vergogna», che di solito vengono spiegati a scuola, quando si leggono in classe le eterne imprese degli eroi omerici. L ’antropologa Ruth Benedict , nel 1944, applicò questa concezione allo studio sugli immigrati giapponesi che vivevano negli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale, finanziato dal Servizio Informazioni Militari che voleva saperne di più sulla mentalità del nemico nipponico. Ne scaturì nel 1946 il celebre saggio Il crisantemo e la spada , nella quale vennero concettualizzati, in una prospettiva sociologica, l’opposizione shame culture e guilt culture. Fu poi lo studioso inglese Eric Dodds a trasmutare e applicare questa categoria allo studio dell’epos omerico, trovandovi straordinarie affinità. Achille, Agamennone, Ettore erano eroi che perseguivano la gloria (kleos: il nome Cleopatra vuol dire infatti «gloria del padre»!), nel combattere una guerra con onore (timé) e coraggio (andreia), ma non in modo autoreferenziale, cioè non avevano coscienza e consapevolezza allo stato individuale, ma era ciò che la comunità in cui erano contestualmente inseriti tributava loro. Segno tangibile del riconoscimento pubblico e condiviso era il gheras, ovvero il «dono», cioè la parte del bottino che la comunità dava al proprio capo in base al grado di riconoscimento di gloria, onore, coraggio che il capo possedeva in quanto tale. In altri termini, si trattava di pubblica stima: appare quindi ovvio capire che non bastava il sentimento interiore, ma occorreva il giudizio degli altri.

Infatti, come direbbe ogni bravo docente di italiano in una lezione di epica classica in un biennio, la schiava Briseide, il gheras dato da tutto l’esercito ad Achille, è l’equivalente equivalente alla timé, cioè al pubblico riconoscimento del fatto che egli è stato un guerriero pieno di kleos e andreia, gloria e coraggio. Quando Agamennone toglie al Pelide la schiava fa un «oltraggio», di fatto negando al rivale quest’onore e tale negazione è come disconoscere ciò che il gheras rappresenta e significa per la dimensione pubblica della comunità. Questa dimensione pubblica nel rapporto dialettico tra individuo eroico e comunità forma le gerarchie sociali e qualifica i comportamenti pubblici motivandoli e dando senso: perché – si domanda Achille – qualcuno dovrebbe lottare se fossero «nella stessa stima (o nello stesso onore) il vigliacco e il prode?» (Il. IX, 319). Nella società omerica, date queste brevi premesse, ciò che muove la morale pubblica è il rispetto di un codice ritenuto essenziale e fondante dalla comunità, ovvero, un po’ anacronisticamente, dalla pubblica opinione. Questo codice di valori eroici genera una sorta di timore che una determinata azione venga disapprovata dalla comunità, dagli altri, rispetto alla mancata soggettività dell’individuo-eroe che trae linfa vitale solo da questo pubblico riconoscimento. Da qua, appunto, nasce la vergogna che l’eroe omerico prova quando non è in grado di essere all’altezza della pubblica stima (si tenga conto che la parola timé vuol dire sia onore sia stima).

Come scrive Eva Cantarella, studiosa ed editorialista del Corriere, nel saggio Norma e sanzione in Omero ripubblicato in una nuova edizione nel 2021: «Se anche, infatti, come più volte rilevato, la società omerica era essenzialmente una shame-culture, in quanto tale caratterizzata dalla prevalenza dei modelli positivi sui divieti, è anche vero infatti che la shame-culture è un modello ideale di cultura, che pertanto non esiste mai allo stato puro. Nessuna società, in altri termini, è solo ed esclusivamente una “cultura di vergogna”. Anche là dove il meccanismo della proposizione dei modelli domina sulla imposizione dei divieti, esistono sempre, con diversi livelli di diffusione, anche delle imposizioni negative. E anche nella società omerica, infatti, esistono divieti e minacce di punizioni (nella specie, collegati alla credenza nell’intervento punitivo divino) propagandato e diffuso, così come i modelli positivi, dalla poesia epica».

Il senso della vergogna tipica del mondo evocato dalle parole alate di Omero poi cambia nel corso della civiltà greca: nell’omonimo dialogo platonico, il sofista Protagora narra il celebre mito di Prometeo che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini che vivevano come bestie, ma che grazie alle «tecniche» acquisirono la competenza necessaria per la vita (perì ton bion sophian). Ma solo con la scienza e la teoria non si campa: gli uomini non avevano senso pratico. «Allora – come scrive Platone – Zeus, per salvarli dalla rovina, mandò Ermes a portar loro aidos (vergogna) e dike (giustizia) affinché costituissero ordinamenti delle città e vincoli di philia (amicizia) che li tenessero insieme. Hermes pose la domanda se doveva distribuire aidos e dike soltanto ad alcuni, come succede per le technai come la medicina, oppure a tutti. Zeus gli rispose di darle a tutti, perché senza aidos e dike non potrebbe esistere la comunità politica (politeia)».

La vergogna, dunque, non ha nulla a che fare, almeno nella società greca, con la morale pubblica nel senso moderno, o nell’accezione comune. O quasi. E’ bello però rileggere le pagine antiche per capire, un po’ di più, chi siamo noi oggi: siamo un po’ diversi, eppure tutti noi diciamo «Ti devi vergognare!» quando qualcuno fa qualcosa contro i fondamenti della convivenza civile. Me lo ricordo, quando qualcuno, nei primi tempi della pandemia, rimproverava chi non indossava la mascherina, che è un dovere civico, quando è necessario, per il bene della comunità politica, cioè di noi tutti cittadini (politai) del terzo millennio, del villaggio globale.

*professore di Italiano e Latino presso il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Milano e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Milano

17 maggio 2022 (modifica il 17 maggio 2022 | 23:51)

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, 2022-05-17 22:18:00, Una riflessione sul senso della «shame culture» come fondamento del vivere civile: da Omero a Platone fino ai giorni nostri , Marco Ricucci*

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