di Roberto Gressi Le offese tra ex compagni di partito, la retorica delle promesse disattese. La fine di Draghi ha rinverdito un’accusa antica e rigorosamente bipartisan La fiducia tradita, il più spregevole dei peccati. Senza perdono, senza oblio, senza redenzione. L’unica moneta è il disprezzo e la vendetta. Ma accidenti se è difficile, in politica, distinguere il tradito dal traditore, visto che, come dire, l’accusa è reciproca: «Vile, sei tu che te ne sei andato». «Ipocrita, sei tu che hai cambiato linea». E giù fendenti: Giuseppe Conte contro Luigi Di Maio, Marta Fascina contro Renato Brunetta, Giorgio Mulé contro Giovanni Toti. Perché la categoria del tradimento è assolutamente democratica, attraversa destra e sinistra senza pregiudizio alcuno. Il maestro è probabilmente Lenin, che sottilmente individuò il più subdolo dei nemici del popolo: il rinnegato. Che nel suo caso fu Karl Kautsky, il socialdemocratico che «trasformò Marx in un volgare liberale». A chi il marchio del Rinnegato, se non al profilo di Luigi Di Maio? Il ministro degli Esteri, il grillino della prima ora, che ha pilotato addirittura una scissione, per tentare di salvare il banchiere dei banchieri? Per Alessandro di Battista non si tratta che di ignobile tradimento. Giuseppe Conte, pur nella rissa, non riesce a rinunciare al suo modo di duellare ottocentesco: «Di Maio non si deve permettere di minare l’onore del Movimento». E prima ancora, però, l’autodifesa: «Il Pd è arrogante. È ipocrita e infame dire che il traditore sono io e ignorare la scissione del ministro degli Esteri». Troppo fioretto, Beppe Grillo quasi si esaspera, se si devono menare le mani bisogna lasciarla a casa questa accidenti di pochette. Ci pensa lui:«Giggino ‘a cartelletta ora pensa di archiviarsi in qualche ministero…». In poche parole Luigi il Rinnegato cerca un posto di lavoro, o meglio, uno stipendio, che la politica lui così l’ha vissuta, come un mestiere, un’occasione personale, un affare. Che rischiava di naufragare ora che l’uno vale uno valeva anche per lui: troppi mandati, a casa Giggino. Giggino il Giuda, Giggino Giggetto che vola sul tetto (anche questa si è sentita), ovviamente non è rimasto in silenzio, e la controaccusa è il tradimento dei tradimenti, l’intelligenza con il nemico, l’assassinio politico di Mario Draghi sacrificato sull’altare di Putin: «Hanno fatto una scelta filorussa, per questo me ne sono andato». «Badoglio!». Il grido, chissà, forse per l’ultima volta, era risuonato, rivolto contro Gianfranco Fini, ai funerali di Pino Rauti. Ma era un grido comune, negli anni del Msi, a fronte di un intervento non gradito a un congresso o assemblea del partito, non solo locali, e sovente seguito da assalti alla presidenza. Pietro Badoglio, il traditore per antonomasia per chi restava fedele a Mussolini, l’uomo divenuto presidente del Consiglio dopo il 25 luglio del 1943. Non poteva mancare nella bacheca in questo revival del tradimento, non tanto per il merito, più che datato, ma per i toni, feroci pure considerando che ci si sta per infilare in una campagna elettorale simile a una lotta nella gabbia, da due combattono uno vive. «Riposino in pace. Non sono abituato a commentare le decisioni di chi tradisce senza motivi e prospettive politiche». Sono le parole di Silvio Berlusconi contro i compagni di un viaggio politico lungo un quarto di secolo. Mariastella Gelmini, capo delegazione di Forza Italia nel governo appena sfiduciato, Mara Carfagna, di cui il Cavaliere è stato testimone di nozze, Renato Brunetta, che si è sposato a Ravello con Berlusconi ospite d’onore. Soprattutto su Brunetta la caduta di stile più inattesa, nata per scelta non si sa quanto meditata della compagna del presidente del partito, Marta Fascina. Probabilmente Massimo D’Alema ancora si rimprovera la sua volgarità di allora, quando definì Brunetta un «energumeno tascabile», e sembrava che con quell’ultimo scivolone dovesse finire lì. Ma evidentemente una volta che si sdogana il termine traditore non ce n’è più per nessuno. La naturale conseguenza è passare a fil di spada o fucilare alle spalle, figurarsi quindi se ci scandalizza più per il linguaggio da caserma. C’è poi la pattumiera della storia. Il luogo metaforico dove finiscono tutte le nefandezze e i loro propugnatori. Copyright autori vari, ma la palma può andare a Lev Trotsky, che ci ficcò dentro i menscevichi: «Siete pietosi e isolati, d’ora in poi dirigetevi laddove più si conviene a gente come voi, nella pattumiera della storia». Il segretario del Pd, Enrico Letta, della messa all’indice per tradimento ha fatto un manifesto politico: «L’Italia è stata tradita. Il Democratico la difende. E tu, sei con noi?». Abbastanza per far infuriare Giuseppe Conte, perché le promesse di matrimonio infrante sono sanguinose anche quando ci si sposa per interesse: «È vero, Enrico. L’Italia è stata tradita quando il premier e il centrodestra hanno respinto l’agenda sociale presentata dai Cinque stelle, umiliando tutti gli italiani». E poi, giù per i rami, non c’è scampo per nessuno. Anche tra ex amici. Giorgio Mulé e Giovanni Toti si prendono a mazzate, metaforicamente parlando. «Giorgio, cercati un collegio va… che per il contributo che hai dato ti abbiamo mantenuto abbastanza», dice l’amico Toti. «Sembri un Di Battista in sovrappeso, per te si prova molta pena e nulla più», risponde l’amico Mulé. «E tu non spicchi certo per la bella presenza», lo rimbecca la senatrice Mariarosaria Rossi. Certo, non poteva stare zitto Di Battista, chiamato in causa come estremista magro: «Per insultarsi usano il mio nome, quanto mi piace stare sui (bip) a questa gente». Il dibattito si fa intenso. 24 luglio 2022 (modifica il 24 luglio 2022 | 22:42) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-24 20:43:00, Le offese tra ex compagni di partito, la retorica delle promesse disattese. La fine di Draghi ha rinverdito un’accusa antica e rigorosamente bipartisan, Roberto Gressi