Da ragazzino vidi Pompei e scoccò la scintilla. La National Gallery è come un pezzo dItalia

Da ragazzino vidi Pompei e scoccò la scintilla. La National Gallery è come un pezzo dItalia

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di Luigi Ippolito

Gabriele Finaldi, 57enne storico dell’arte, dirige la celebre galleria della capitale britannica dal 2015: Qui l’ingresso gratuito, fa la differenza

dal nostro corrispondente
LONDRA — L a pi importante galleria d’arte londinese parla italiano: perch a dirigere da anni la celebre National Gallery c’ Gabriele Finaldi , il cui padre era un nostro connazionale mentre la madre era anglopolacca. E lui ha sempre conservato le radici, personali e culturali, ancorate in Italia: ha frequentato le scuole tra Napoli e Piacenza, prima di tornare a Londra — dove era nato 57 anni fa — per completare gli studi al prestigioso Dulwich College, un liceo che ha annessa una delle maggiori collezioni di pittura della capitale britannica. proprio l che nasce l’interesse per l’arte del giovane Gabriele Finaldi: prima attorno alla figura di Rembrandt, per poi ampliarsi verso altri aspetti della storia della pittura. Giusto trent’anni fa entra quindi alla National Gallery come curatore per i dipinti italiani e spagnoli e, dopo essere stato per anni vicedirettore del Prado a Madrid, torna a Londra nel 2015 alla guida del museo-gioiello di Trafalgar Square.

un privilegio essere qui, fra queste opere studiate fin da ragazzo, dice Finaldi mentre fa da guida nelle stanze maestose della National Gallery: si fa aprire una porta ancora gelosamente sigillata, e schiude la Nativit appena restaurata di Piero della Francesca, che stata poi esposta a partire da dicembre. Abbiamo voluto creare come una cappella, spiega, attorno al dipinto del maestro rinascimentale. E l’altro suo vanto recente l’acquisto di una importante tela del Veronese: Se si vuole studiare bene l’arte italiana — sottolinea — bisogna venire qui. Due su tre dei dipinti su tavola esistenti di Michelangelo sono nella nostra collezione.

Ed inevitabile notare come questo filo conduttore che porta da Londra al nostro Paese sia legato proprio alla sua storia personale: C’ questo elemento — conferma lui —. Come italiani, parte della nostra eredit e della nostra identit legata al linguaggio artistico: la pittura, l’architettura, l’urbanistica, fanno parte di ci che consideriamo essenziale all’italianit. Basta visitare qualsiasi citt o villaggio in Italia e subito sono evidenti il genio per l’urbanistica, le elegantissime piazze: si va al duomo come alla chiesa parrocchiale e subito si trovano sculture interessanti, opere d’arte che parlano di un certo humus specificamente italiano di cui mi sento naturalmente erede. Un humus che lui ha assorbito fin da ragazzino, quando ricorda le visite agli scavi di Pompei o al museo di Capodimonte, a vedere le collezioni borboniche napoletane.

Ed una attenzione particolare al patrimonio italiano che ha portato con s a Londra. Alcune volte — sorride — ho detto che la National Gallery bisogna considerarla quasi come una specie di ambasciata alternativa dell’Italia: un pezzo d’Italia che finito qui nel centro di Londra. I quadri italiani della collezione sono davvero molto importanti, cominciando da Giotto e Cimabue, passando per Leonardo, Michelangelo e Raffaello e arrivando a Caravaggio e Canaletto: la massa critica di opere italiane in questi pochi metri quadrati di Trafalgar Square veramente notevole. Poi c’ la possibilit di realizzare progetti: si lavora bene con i colleghi italiani e con altre istituzioni che vogliono celebrare l’arte italiana. Sono tutte buone circostanze per creare attivit attorno alla storia artistica italiana.

Tra le mostre da lui realizzate sui nostri pittori Finaldi ricorda quella su Michelangelo e Sebastiano del Piombo, che stata molto significativa, un’altra su Mantegna e Bellini, e ultimamente quella su Artemisia Gentileschi, purtroppo di breve durata a causa della chiusura imposta dalla pandemia. Ma ovviamente nella sua formazione ha contato tanto poter essere a Londra: molto importante segnalare che qui le collezioni sono gratuite: questo vuol dire che puoi venire di frequente, e questo quello che facevo da ragazzo. Venivo ad ascoltare le conferenze, a conoscere la collezione anche durante la pausa pranzo dalla scuola: confesso che saltavo qualche lezione per andare a vedere qualche mostra….

In questi anni, dal suo osservatorio alla National Gallery, Finaldi stato anche testimone dei cambiamenti della capitale britannica, dagli anni Ottanta a oggi: Da allora Londra diventata una citt molto pi internazionale — dice —. Si pu fare l’esempio del cibo e della gastronomia: questa era una citt povera da quel punto di vista, ma a partire dagli anni Ottanta e Novanta diventata una capitale anche gastronomica. Dico questo solo per dare un esempio di una maggiore internazionalizzazione, dovuta anche a una crescita molto significativa del turismo. E poi qui c’ il senso che l’offerta culturale deve diventare pi visibile per attrarre il turismo, ma anche per creare un senso del posto.

Tuttavia questo processo di internazionalizzazione e di apertura ha conosciuto una battuta d’arresto con la Brexit, e Finaldi non lo nega: La percezione che questo Paese si volesse allontanare dai suoi vincoli europei ha avuto un effetto sulla maniera in cui si vede l’Inghilterra. Dal punto di vista delle istituzioni abbiamo fatto di tutto per mantenere i nostri contatti, il nostro network, con grande appoggio e amicizia da parte delle nostre istituzioni sorelle in Europa. Ma c’ un impoverimento culturale, anche se Londra comunque da questo punto di vista rimane una grande capitale, la cui offerta resta ricchissima.

Finaldi si trova benissimo alla national Gallery, ma forse qualche volta un pensiero al nostro Paese lo sfiora: I musei italiani sono meravigliosi — si schermisce — e in Italia ci sono eccellenti direttori. Ma se uno avesse l’opportunit di dare un contributo a un museo bijou, allora sarebbe la galleria Poldi Pezzoli a Milano. Ma intanto a Londra c’ tanto lavoro da fare, soprattutto ora che la National Gallery va verso il suo bicentenario: stanno lavorando per il 2024 a una grande mostra su Van Gogh e nel 2025, assieme al Metropolitan di New York, a una mostra su Siena nel Trecento: Torniamo alle origini dell’arte europea — conclude Finaldi — con Duccio, Simone Martini e i pittori senesi. Anche nel bicentenario si torna alle radici italiane.

19 gennaio 2023 (modifica il 19 gennaio 2023 | 22:38)

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