Dal Mali fino al Perù, così viene rubata la terra ai Paesi poveri

Dal Mali fino al Perù, così viene rubata la terra ai Paesi poveri

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di Giulio Sensi

Oltre 90 milioni di ettari acquisiti dalle grandi potenze mondiali. È il «land grabbing», in pratica un furto sistematico di suolo. Il report Focsiv, petrolio e miniere al posto dell’agricoltura locale

Il Mali è uno dei Paesi africani più devastati dai cambiamenti climatici: la temperatura media è aumentata dai 3 ai 5 gradi, l’80% delle terre sono degradate e la desertificazione, come in tutto il Sahel, avanza. Nonostante questo negli ultimi anni più di 370mila ettari di terreni agricoli sono stati dati in concessione a investitori stranieri. «Non rimane molto da coltivare – racconta Romina Gobbo, giornalista freelance e consigliera nazionale di GreenAccord – ma le poche terre sono appetibili perché il sottosuolo è ricco di petrolio e altri minerali come uranio, stagno, oro, ferro, litio. La gran parte di queste risorse prende il volo e il Paese rimane poverissimo e senza una politica governativa trasparente sull’assegnazione delle concessioni agricole e militari. A questo si aggiunge l’instabilità dovuta alla presenza di gruppi terroristici legati a llIsis o ad Al Qai’da».

La popolazione si oppone fieramente: due anni fa la famiglia di Massa Koné, portavoce della Convergence Malienne contre l’Accaparement des Terres (Cmat), una piattaforma che unisce 334 organizzazioni di comunità in rappresentanza di più di 3 milioni di cittadini provenienti da tutte le regioni del Mali, ha subito una brutale aggressione da persone in tenuta militare nella propria abitazione.

Controllo

Il Mali è solo uno dei fronti su cui sta aumentando la competizione per accaparrarsi le terre fertili e le risorse minerarie. La conquista è in atto da molti anni. «La portano avanti – spiega Andrea Stocchiero, policy officer di Focsiv – attori pubblici e privati appartenenti a sistemi geopolitici potenti e che adesso sono ancora più in competizione per il controllo delle risorse strategiche. Le crisi climatiche hanno accelerato il fenomeno dell’accaparramento delle terre e la guerra in Ucraina rischia di far esplodere ancora di più la situazione insieme con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari ed energetici che sono causati anche dalla speculazione finanziaria».

I numeri del «land grabbing», raccolti dalla banca dati indipendente Land Matrix, parlano di 91,7 milioni di ettari fino a oggi acquisiti dalle potenze mondiali tramite operazioni di accaparramento concluse o in fase di negoziazione in ogni settore, compreso quello minerario. Terre di conquista sono il Perù, Paese più coinvolto con 16 milioni di ettari, seguito da Brasile e Argentina; poi Indonesia e Papua Nuova Guinea, Ucrania, «granaio d’Europa» che ha il 55% della superficie totale coltivabile, e in Africa Sud Sudan, Mozambico, Liberia e Madagascar. Gli investitori sono soprattutto i Paesi occidentali più ricchi tramite grandi imprese estrattive sostenute fondi di investimento e anche da banche pubbliche di sviluppo: Canada, Gran Bretagna, Stati Uniti, Svizzera e Giappone e subito dopo le nuove grandi economie o i Paesi emergenti come Cina, India, Malesia o Singapore che è sede di molte multinazionali. Il fenomeno è globale e mette a rischio la sovranità alimentare dei Paesi meno ricchi, togliendo terre all’economia locale e all’agricoltura familiare.

La denuncia arriva da Focsiv che ha appena pubblicato la quinta edizione de «I padroni della Terra», realizzato nell’ambito della campagna «Abbiamo riso per una cosa seria» – che da vent’anni la federazione di associazioni dedica al sostegno dell’agricoltura familiare – e con il progetto «Volti delle Migrazioni» cofinanziato dall’Unione europea. «La digitalizzazione – spiega Ivana Borsotto, presidente di Focsiv – sta rendendo più semplici le operazioni dal momento che vengono creati registri e certificazioni digitali facilmente trasferibili e perfino i social network stanno diventando uno spazio per il commercio della terra». Operazioni che non sono però sempre semplici da finalizzare.

«Dal rapporto – spiega ancora Stocchiero – emerge come ben 13 milioni di ettari su 33 accaparrati per fini agricoli non siano utilizzabili a causa di problemi tecnici, istituzionali o sociali. Spesso si creano contrasti con le élite locali e sono le comunità locali ad opporsi fieramente alla cessione di terre agli investitori. Si pensi inoltre che il 20% delle quelle acquisite sono finalizzate alla coltivazione dell’olio di palma soprattutto per la produzione di biocarburanti e questo fenomeno sta contribuendo per un quinto alla perdita di copertura forestale nelle aree. I conflitti aperti sono molti e alimentano violenze, espulsioni, latifondismo e diseguaglianze. Una piccola percentuale delle persone che abitano le terre oggetto di accaparramento dà il consenso alla vendita, sperando nelle promesse di compensazioni o opere sociali e infrastrutturali.

Promesse che il più delle volte non vengono mantenute». «Fermare questo fenomeno è possibile – conclude Borsotto – costruendo e incentivando su scala internazionale un modello produttivo non estrattivista che riconosca il diritto alla terra delle comunità che la custodiscono con cura. Un modello da costruire con buoni regolamenti europei sulla responsabilità sociale e ambientale delle imprese nelle loro catene di approvvigionamento internazionali, e raggiungendo lo 0,7% del reddito nazionale lordo per una cooperazione allo sviluppo che investa prioritariamente a favore dell’agroecologia di contadini e dei popoli indigeni, e per sostenere i difensori dei diritti umani».

3 luglio 2022 (modifica il 3 luglio 2022 | 05:20)

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, 2022-07-03 03:24:00, Oltre 90 milioni di ettari acquisiti dalle grandi potenze mondiali. È il «land grabbing», in pratica un furto sistematico di suolo. Il report Focsiv, petrolio e miniere al posto dell’agricoltura locale, Giulio Sensi

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