di Valerio Cappelli
La figlia di Cecilia reduce dall’Ernani all’Opera di Roma: «Sono matta come lei che ha il brevetto da pilota d’aereo. H cominciato a studiare canto a 23 anni, lei mi disse che pensava d’averla scampata bella. Troppi sacrifici. Ho sette tatuaggi, ne vorrei di più»
Ma da sua madre, fisicamente, cosa ha preso? «La fronte», dice Anastasia Bartoli. Sua madre è Cecilia Gasdia, che ha avuto fama e gloria come soprano lirico e ora è a capo dell’Arena di Verona. Anastasia invece è soprano drammatico (sono accomunate dall’agilità). Però non è questo il punto. Anastasia ha un look da dark lady o, come dice lei, «da motociclista da Harley Davidson».
Ha da poco finito le recite di Ernani all’Opera di Roma, dove ha cantato per la prima volta. Ha i capelli lunghi corvini, è piena di tatuaggi, le unghie finte come artigli di tigre, «il regista Ugo de Hana mi ha chiesto di dipingerle più sobrie, sul lattiginoso, cerca di essere un po’ più cinquecentesca, mi ha detto».
E poi la stoccata finale sulla sua singolarità: «Ho fatto paracadutismo acrobatico prima di studiare canto». Sua madre come la prese? «Benissimo, è matta come me e ha il brevetto da pilota d’aereo».
La lirica è un’altra storia. «Ho cominciato da “vecchia”, a 23 anni, ora ne ho 31. A Verona c’era un corso di perfezionamento sulla vocalità a cui mamma partecipava come didatta, io la vedevo poco, non avevo granché da fare, la accompagnai. Fui folgorata dalla dalla passione di quei ragazzi. Mi scattò qualcosa. Chiesi a mia madre: mi insegni a cantare? Mi rispose tranchant nel suo stile: sì, ma se non hai doti e qualità ti blocco e non andiamo avanti. Scuola severa. Da piccola ho fatto la comparsa, a Roma ero tra le sue braccia nei Pagliacci (che farò il 24 a Cagliari) con la regia di Zeffirelli, indossavamo lo stesso abito con le stelline. Avevo 4 anni, ero contenta come una Pasqua. Con la mia voce corposa non avrò mai i suoi pianissimo e i suoi filati meravigliosi. Adesso è la mia sponsor numero 1. All’epoca mi disse che l’aveva scampata bella perché questo mestiere è doloroso, i sacrifici e tutto il resto. Mi spiegò pro e contro, solitudine, corde vocali. Ma quando arriva l’applauso…».
Anastasia durante la pandemia ha cantato Macbeth a Tokyo, diretta da Riccardo Muti: «Feci per il Coronavirus quindici giorni di isolamento nella mia stanzetta d’albergo, al telefono Muti mi diede le prime indicazioni. Il maestro è severo e paterno, micidiale quando serve. Lady Macbeth ha sfaccettature psichiatriche più che psicologiche». Ha debuttato nel 2017 a Lima: «Così fan tutte, regia moderna nei bagni di un liceo, lasciamo stare…». Come fa a cantare con i tatuaggi? «Eh, li copro con fondotinta o abiti. Ne ho sette: dai nomi di ex fidanzati rimasti amici, a simboli di viaggi, sull’avambraccio destro la Fenice che risorge dalle ceneri. Vorrei averne di più».
Mai cantato all’Arena? «Ancora no. Il mio sogno è una carriera longeva, siccome ho cominciato tardi, magari arrivo fino a 70 anni. Mangio sano, sono dimagrita venti chili in sei mesi». Il paracadutismo l’ha smesso per il canto: «L’adrenalina è la stessa. E nessuno ti costringe a buttarti dall’aereo come nessuno ti spinge sul palcoscenico. Tutt’e due le cose sono a tuo rischio e pericolo». I suoi genitori si separarono che lei aveva tre anni, il padre è un dentista di Firenze. Perché come artista non ha preso il cognome di sua madre? «Ci ho pensato, per legge si può. Però mi hanno sempre massacrata come figlia di». Ha ha un altro nume tutelare sulla sua testa. «Esatto. Cecilia Bartoli. C’è sempre una Cecilia che impera sopra di me». Ha un ruolo preferito? «Elvira che ho appena cantato in Ernani è una corteggiata da tre uomini e lei decide non per il re o per lo zio a cui era promessa ma per il bandito. Se devo scegliere, Abigaille del Nabucco con la spada in mano».
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14 giugno 2022 (modifica il 14 giugno 2022 | 22:41)
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, 2022-06-14 20:44:00, Anastasia Bartoli: sono matta come lei che ha il brevetto da pilota d’aereo, Valerio Cappelli