Dardust: «Inseguire le vette delle classifiche diventa una gabbia mortale. Mi disintossico con un disco mio»

Dardust: «Inseguire le vette delle classifiche diventa una gabbia mortale. Mi disintossico con un disco mio»

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di Andrea Laffranchi

Il suo nome vero è Dario Faini e ha rivoluzionato il suono del pop italiano di questi anni. «Duality» è l’album del produttore-autore che ha firmato successi di Elisa, Mahmood, Emma

Si può anche fermare la giostra e scendere. Dardust, il nome d’arte di Dario Faini, ha rivoluzionato il suono del pop italiano di questi anni. È stato lui in qualità di produttore a portare nelle classifiche italiane il suono dell’urban: «Soldi» di Mahmood, «Riccione» e molto più per i Thegiornalisti, la svolta di Elodie con «Andromeda» e altre hit per Mengoni,Emma, Elisa, Madame, Jovanotti… Un totale di 70 dischi di platino, la coda fuori dallo studio per chi chiedeva il miracolo del re Mida del pop. In parallelo, sempre con l’insegna Dardust, Faini ha portato avanti una carriera solista con un progetto che fonde piano solo ed elettronica e che con il nuovo «Duality» arriva al quinto capitolo.

Produttore di hit e carriera solista: come convivono le due anime?

«Quello solista non è più un progetto laterale, quest’anno ha assorbito il mio tempo all’80-90 per cento. Mi sto disintossicando dalla pressione dei numeri. Ho dato tanto a quel microcosmo, ma la necessità del dover cercare il numero 1 e i dischi di platino diventa una gabbia mortale. Non mi interessa più. Tenere quel ritmo è prosciugante. L’urban pop italiano è tossico di quel suono che ho portato come novità».

Con «Duality» separa le due anime che aveva tenuto assieme nei dischi precedenti: un doppio album che separa piano solo ed elettronica…

«Ho capito che andare agli estremi è un’opportunità. C’è anche qualcosa che arriva dai miei studi di psicologia, ad ogni disco corrisponde un emisfero del cervello, l’elettronica è la parte razionale, il piano solo l’emzione».

Nel disco elettronico si sente anche la sua voce… Arriverà a fare tutto da solo, pure cantante?

«È destrutturata, irriconoscibile, campionata in stile anni 70-80… questo è il massimo che posso fare (ride)».

La genesi della parte di piano solo?

«Ci ho lavorato con Taketo Gohara come produttore. Con lui ho fatto quello che chiedevo io da produttore agli artisti: fidarsi. Lui mi ha fatto capire che non dovevo complicare la struttura con tecnicismi compositivi o esecutivi. Sono brani semplici e puri, sono nervi scoperti».

Cosa ha buttato fuori?

«Di recente è scomparso mio padre. Dopo sei mesi oscuri mi è partita una fase di forte emotività. L’arrivo della primavera è stato un momento più magico del solito. Al piano sentivo arrivare delicatezza e malinconia, rinascita ma con la consapevolezza della caducità».

I titolo dei brani di piano solo sono pieni di riferimenti alla cultura e alla filosofia giapponese. Come mai?

«Il mio primo imprinting è stato Sakamoto. Poi ci sono i film di Miyazaki e Kitano e le colonne sonore di Joe Hisaishi. Ho seguito anche buddismo giapponese. Ma, confesso, non sono mai stato in quel Paese: ero pronto per il primo viaggio, ma il covid mi ha fermato».

La parte elettronica?

«Mi sono sfogato e se lo si ascolta in Dolby Atmos si sente ancora di più: ho pensato i suoni a 360 gradi. E credo che si senta molto la radice italiana, la melodia, che in genere nel mondo radical chic dell’elettronica è vista male»».

I 15 secondi di Tik Tok limitano la creatività?

«Nel pop sono un’influenza, qui no. Dal vivo vedo che il pubblico si emoziona anche con una fruizione più lunga».

Dal vivo come si sdoppierà?

«Un concerto con un primo atto di piano solo in cui si percepirà quasi didascalicamente nella scenografia il susseguirsi delle stagioni che è anche nel disco. Il secondo atto sarà uno switch improvviso. L’idea mi è venuta da un concerto di anni fa degli Smashing Pumpkins: la dualità di quello spettacolo mi colpì».

La sua dualità?

«Un limite che mi sono imposto per avere più risorse. Psicologicamente credo che sia un handicap, visto che viviamo un’epoca in cui tutti dobbiamo essere collocati. Io musicalmente ho addirittura tre insegnanti: piano classico, jazz e composizione…».

A dicembre accompagnerà Elisa nel suo nuovo tour con uno spazio suo e con arrangiamenti per una formazione chitarra, piano (lo suonerà lei) e quintetto d’archi.

«Siamo due maniaci dei dettagli, potremmo sfiancarci ore e ore a fare il pelo a una melodia o a un suono di una cassa. La cosa bella di questa esperienza insieme è che la stiamo prendendo in una maniera più romantica meno perfezionista . Più fluida e senza ansia da prestazione. Sarà un vero live, libero dalle sequenze, dal click , un’ode alla libertà e alla bellezza. Sarà una meravigliosa vacanza natalizia e lei mi ha chiesto di farle vedere ogni sera un horror diverso. Ho già preparato la lista».

2 novembre 2022 (modifica il 2 novembre 2022 | 20:26)

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, 2022-11-02 19:27:00, Il suo nome vero è Dario Faini e ha rivoluzionato il suono del pop italiano di questi anni. «Duality» è l’album del produttore-autore che ha firmato successi di Elisa, Mahmood, Emma, Andrea Laffranchi

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