David Puente: «La guerra ai falsari di Internet e al mio sosia americano»

David Puente: «La guerra ai falsari di Internet e al mio sosia americano»

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di Stefano Lorenzetto

Il capo del fact-checking di quotidiano online «Open»: «Le bufale divertono o indignano, perciò il web le diffonde. Cominciai dalla foto di un koala»

Debunker? Cacciatore di bufale? Tracciatore di fake news? Fact-checker? Investigatore? Blogger? Informatico? Come debbo chiamarla? «Fact-checker è la qualifica che preferisco». Traduzione: redattore incaricato del controllo di dati e informazioni. In realtà David Puente è vicedirettore di Open, testata web edita dalla società a impresa sociale fondata da Enrico Mentana (da 12 anni anche direttore del Tg La7) con lo scopo di valorizzare i giovani tagliati fuori dal giornalismo. Puente coordina altri quattro colleghi che insieme a lui formano la sezione Fact-checking di Open, dal 2021 riconosciuta dall’Ifcn (International fact-checking network) del Poynter institute, con sede in Florida.

Per la legge del contrappasso, il capo dei fact-checker si vede costretto a correggere ogni giorno soprattutto le notizie false circolanti sul proprio conto. Ecco le più diffuse: è un produttore televisivo; ha lavorato per la spagnola Sabbah Media, per la Cnn e per la Abc; ha coperto l’Africa e il Medio Oriente; ha seguito il presidente Bill Clinton; ha vinto quattro Emmy award. Tutte informazioni che non riguardano lui, bensì un suo omonimo statunitense con il quale, per somma sventura, condivide la stessa statura da corazziere: 1 metro e 90. «Mando segnalazioni quotidiane a Google perché la smetta di indicizzare contenuti che mi riguardano, Wikipedia inclusa, ma riferiti al giornalista che ha nome e cognome uguali al mio», sospira. Ha persino meditato di firmarsi David Alejandro Puente Anzil, ma gli è sembrato che suonasse come il fantozziano Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare. È Il grande inganno di Internet, per usare il titolo del saggio scritto da Puente (l’italiano, non l’americano) e pubblicato da Solferino.

Ho letto che sta studiando l’arabo.

«No, lo studia “l’altro”. Io sto imparando il russo da mia moglie Anna, ucraina, laureata in filologia, ora iscritta a Lingue e letterature straniere all’Università di Udine. Sua nonna è nata in Russia».

Vedo che intervistò Fidel Castro.

«Ci sarebbe mancato solo quello! Però me la sarei potuta cavare. Sono di madrelingua spagnola e italiana, nato in Venezuela 40 anni fa. Mio padre César, peruviano, all’Universidad de Los Andes di Mérida era docente di matematica, la stessa materia insegnata da mia madre Mariarosa Anzil. Nel 1990 previde la crisi che avrebbe travolto il Venezuela e preferì trasferire la famiglia a Tarcento, in Friuli, il paese della mamma. Trovò impiego in una fabbrica di mobili».

Ha lavorato per Casaleggio Associati?

«Vero, dal 2007 al 2011. Roberto Casaleggio fu il mio mentore. Molto serio, professionale, esigente. Ti stressava, ma riconosceva i meriti. E ti rispettava. Se qualche parlamentare indulgeva nel complottismo, dava ragione a me».

Aveva a che fare con i politici?

«Gestivo l’immagine di Antonio Di Pietro e dell’Italia dei valori. Tipo particolare, l’ex magistrato. Combattivo in pubblico, padre e nonno genuino in privato. Mutava a seconda delle situazioni».

Interagiva con Davide Casaleggio?

«Non abbiamo legato molto. È totalmente diverso dal padre. In lui non ho mai visto le capacità del genitore».

Lei era nella task force voluta dal premier Giuseppe Conte per la pandemia.

«Ma non per la caccia alle bufale. Davo consigli per la comunicazione al sottosegretario Andrea Martella. Inascoltati».

È consulente della Polizia postale.

«A volte mi chiede aiuto su attività informatiche. Altre volte sono io a segnalare, da cittadino, possibili reati online, dai siti pedofili ai traffici della malavita».

Come ha conosciuto Enrico Mentana?

«Al Festival del giornalismo di Perugia, nel 2017. Ero solito comunicare con lui su Facebook attraverso Messenger. Rispondeva sempre. Un giorno lo informai che mi sarebbe piaciuto collaborare a Open. Mi scrisse: “No, tu vieni a dirigere la sezione Fact-checking”. Fui il primo a essere assunto. Un salto nel buio».

Perché dice così?

«Ero responsabile per i mercati spagnolo e latinoamericano di una società di Colonia che vende domini. Lavoro sicuro, commissioni elevate. Dal punto di vista economico non feci un affare».

Quando iniziò a inseguire le bufale?

«Nel 2014. Notai sul web la foto di un koala dai denti spaventosi. Ero convinto che fosse un animale grazioso, pacifico. Infatti riuscii a risalire all’immagine originale: la dentatura era normalissima. Avevo visto un fotomontaggio».

Galeotto fu il marsupiale erbivoro.

«Poi incappai come un fesso in una truffa. Un sito offriva programmi informatici gratis in cambio dell’iscrizione a una newsletter. Solo che le condizioni erano scritte in bianco su fondo bianco. Pensai a un bug informatico. Invece serviva a occultare una clausola: 100 euro annui di quota. Anziché pagare, indagai. La società, priva di titolare, aveva sede nelle Cayman, paradiso fiscale. Ricevevo diffide su diffide per posta. Decisi che dovevo evitare ad altri lo stesso incubo».

Da quali indizi partite nelle inchieste?

«Dalla “regola delle 5 w” del giornalismo anglosassone: who, what, where, when, why, chi, che cosa, dove, quando, perché. Basta che manchi uno di questi elementi e c’è da insospettirsi. Regola aggiuntiva: estraniarsi dalle opinioni personali. A me il leghista Lorenzo Fontana, neoeletto presidente della Camera, non sta simpatico. Ma questo non mi ha impedito di smascherare un video montato ad arte dal quale pareva che definisse “animali” i bimbi non europei. Falso».

Non è paradossale che per smentire Internet usiate Internet?

«Che altro dovremmo usare? Grazie alla Rete siamo riusciti ad avere risposte rapide e attendibili sul Covid-19 dai Centers for disease control and prevention e dalla Food and drug administration».

Leggo su «Open»: «No! Uno studio non ha dimostrato che l’mRNA dei vaccini “si innesta nel genoma umano”».

«Confermo. Gli scienziati ammettono di aver forzato la natura in laboratorio, ma scrivono chiaramente che da solo l’evento non può prodursi nell’uomo».

Lei quante vaccinazioni ha fatto?

«Tre. E ho avuto il Covid in forma lieve. Per la quarta sentirò il mio medico».

Ma Internet è una fortuna o una sciagura per l’informazione?

«E me lo chiede? Poniamo che un giornale pubblichi una foto taroccata. Come farei senza la Rete a scoprire se è nuova o vecchia, se è vera o falsa, se riguarda un terremoto o un bombardamento?».

Il termine bufala come nasce?

«Già nel 1866 il Vocabolario della Crusca riportava la locuzione “menare altrui pel naso come una bufala”. Ma pare che a Roma vi fossero ristoratori imbroglioni che servivano la carne di bufala spacciandola per la più pregiata carne di vitella».

Come mai crediamo alle bufale?

«Ci piacciono. Fanno ridere o indignare. Confermano i nostri pregiudizi, quindi tendiamo a diffonderle».

Vedi la cacarella collettiva di Gubbio.

«Il 21 ottobre leggo questa storia del pasto a base di pesce crudo, con 40 intossicati in preda alla diarrea. Rintraccio un post del ristorante che già la smentiva 15 giorni prima. Idem l’associazione che aveva organizzato il pranzo. Ma le pare che l’Usl non avrebbe chiuso il locale?».

Altre leggende metropolitane?

«La più longeva è quella delle scie chimiche rilasciate dagli aerei, che sono invece frutto di condensa. Vapore acqueo, insomma. Ma ora furoreggiano quelle di QAnon, gruppo politico di estrema destra, secondo il quale una setta satanica vorrebbe scardinare l’ordine mondiale e l’unico a opporvisi sarebbe l’ex presidente Donald Trump. Sono messaggi diffusi dal forum 4chan. L’assalto al Campidoglio è nato così. Ed è per questo che Edgar Welch, 28 anni, nel 2016 irruppe con un fucile nella pizzeria che secondo questi pazzi sarebbe stata la base di una rete di pedofili del Partito democratico».

Davvero Bill Gates fabbrica zanzare?

«Alcune fake news hanno presupposti reali. Falso che ne produca 30 milioni in Colombia; vero che in una conferenza del 2009 abbia liberato per scherzo un nugolo di zanzare prive di patogeni, al fine di smuovere i presenti sulla lotta alle malattie trasmesse da questi insetti».

Mi sfugge il nesso Microsoft-malaria.

«Sfugge pure a me. Gates è molto attivo sul fronte dei vaccini. Secondo i no vax lo fa per inocularci un microchip con cui controllerà i cervelli, ovvio».

Osama bin Laden sarà davvero morto?

(Ride)
. «Io non ho visto la salma. Ma constato che avvistavano Adolf Hitler in Argentina e davano Lady Diana per viva, come Moana Pozzi, tanto da essere ritratta in divisa militare al fianco di Trump».

Sulla Luna l’uomo c’è andato sì o no?

«Sì. Però i cospirazionisti fanno girare un video mutilato in cui l’astronauta Buzz Aldrin risponde alla domanda di una bambina: “Perché nessuno è più andato sulla Luna dopo tutto questo tempo?”. La risposta è: “Perché non ci siamo stati…”. Hanno tagliato il resto della frase: “Per mancanza di soldi”».

Come spiega che larga parte della stampa non segua il suo esempio?

«Le manca il tempo: la velocità batte la prudenza. E si fida troppo delle fonti».

L’hanno mai accusata di essere un extraterrestre o un agente della Cia?

«Un marziano non ancora. Dicono che sarei pagato dal finanziere George Soros, che con la sua Open society foundations si riprometterebbe di dominare l’umanità. Ora se c’è un tizio che non sopporto, che non mi piace come persona, è proprio Soros. Sono l’ultimo al mondo che vorrebbe avere qualcosa a che fare con lui. E lo stesso dicasi di Mentana».

Riceve molte querele?

«Mai. Solo minacce sui social, su Whatsapp, su Telegram. Ho dovuto denunciare un pazzo che ha postato un video con scritto: “Ecco dove sarai sepolto”».

24 novembre 2022 (modifica il 24 novembre 2022 | 22:48)

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, 2022-11-24 22:53:00, Il capo del fact-checking di quotidiano online «Open»: «Le bufale divertono o indignano, perciò il web le diffonde. Cominciai dalla foto di un koala», Stefano Lorenzetto

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