«Diario di guerra», la via della chiarezza su scenari complessi

«Diario di guerra», la via della chiarezza su scenari complessi

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di Aldo Grasso

Su temi così sensibili, il carosello delle opinioni genera solo confusione e travisamenti: i toni accesi non fanno che rafforzare le convinzioni che già abbiamo

Ancora qualche osservazione sul servizio pubblico. Giovedì sera è andata in onda una densa trasmissione di Enrico Mentana, il suo «Diario di guerra» in versione settimanale, dopo che per cento giorni aveva seguito quotidianamente gli sviluppi dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Su temi così sensibili, il carosello delle opinioni genera solo confusione e travisamenti: i toni accesi non fanno che rafforzare le convinzioni che già abbiamo e che stancamente sbandieriamo. Mentana ha scelto un’altra strada: descrivere il complesso scenario di guerra facendosi accompagnare da pochi inviati (Paola Mascioli, Luca Steinmann), dai preziosi servizi di Francesca Mannocchi e dai commenti di Dario Fabbri, di indiscutibile competenza.

L’altra sera, per esempio, ho capito con chiarezza il ruolo della Transnistria, lo stato fantasma russofilo, o quello dell’exclave russa di Kaliningrad, messa in ginocchio dall’embargo occidentale (un tempo la città apparteneva all’impero prussiano e si chiamava Königsberg, città natale di Immanuel Kant, un filosofo così metodico che i suoi concittadini regolavano gli orologi al suo passaggio). È un programma dove si parla di geopolitica, di strategie militari, di decisioni politiche internazionali, tanto da ridimensionare non poco i programmi vocati alle beghe nostrane (per esempio, non capisco come una giornalista di lungo corso come Lilli Gruber sprechi tanto tempo con un politico modesto come Giuseppe Conte e i suoi travagliati corifei). Ecco, un programma del servizio pubblico me lo immagino così: un punto di vista molto chiaro (così lo spettatore sa a cosa riferirsi, anche in disaccordo), un’informazione puntuale e partecipata (è pur sempre una guerra, con morti, distruzioni, carestie e non se ne vede la fine), una vocazione quasi didascalica. Per ragioni di completezza: «Diario di guerra» non va in onda sulla Rai.

24 giugno 2022 (modifica il 24 giugno 2022 | 21:21)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-06-24 19:22:00,

di Aldo Grasso

Su temi così sensibili, il carosello delle opinioni genera solo confusione e travisamenti: i toni accesi non fanno che rafforzare le convinzioni che già abbiamo

Ancora qualche osservazione sul servizio pubblico. Giovedì sera è andata in onda una densa trasmissione di Enrico Mentana, il suo «Diario di guerra» in versione settimanale, dopo che per cento giorni aveva seguito quotidianamente gli sviluppi dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Su temi così sensibili, il carosello delle opinioni genera solo confusione e travisamenti: i toni accesi non fanno che rafforzare le convinzioni che già abbiamo e che stancamente sbandieriamo. Mentana ha scelto un’altra strada: descrivere il complesso scenario di guerra facendosi accompagnare da pochi inviati (Paola Mascioli, Luca Steinmann), dai preziosi servizi di Francesca Mannocchi e dai commenti di Dario Fabbri, di indiscutibile competenza.

L’altra sera, per esempio, ho capito con chiarezza il ruolo della Transnistria, lo stato fantasma russofilo, o quello dell’exclave russa di Kaliningrad, messa in ginocchio dall’embargo occidentale (un tempo la città apparteneva all’impero prussiano e si chiamava Königsberg, città natale di Immanuel Kant, un filosofo così metodico che i suoi concittadini regolavano gli orologi al suo passaggio). È un programma dove si parla di geopolitica, di strategie militari, di decisioni politiche internazionali, tanto da ridimensionare non poco i programmi vocati alle beghe nostrane (per esempio, non capisco come una giornalista di lungo corso come Lilli Gruber sprechi tanto tempo con un politico modesto come Giuseppe Conte e i suoi travagliati corifei). Ecco, un programma del servizio pubblico me lo immagino così: un punto di vista molto chiaro (così lo spettatore sa a cosa riferirsi, anche in disaccordo), un’informazione puntuale e partecipata (è pur sempre una guerra, con morti, distruzioni, carestie e non se ne vede la fine), una vocazione quasi didascalica. Per ragioni di completezza: «Diario di guerra» non va in onda sulla Rai.

24 giugno 2022 (modifica il 24 giugno 2022 | 21:21)

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