Voti sì, voti no. Continua nella scuola il dibattito sulla valutazione. Per alcuni docenti i voti sono tutto, servono a delineare i risultati e a motivare gli studenti a studiare sodo e ad esibirsi bene. Per altri no. Il dibattito sul fatto che i voti aiutino o ostacolino l’apprendimento degli studenti è vecchio quanto lo stesso sistema di valutazione. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Caico, dirigente scolastico del liceo Michelangelo Buonarroti di Monfalcone.
Nella scuola c’è la tendenza alla polarizzazione delle posizioni. Negli ultimi mesi abbiamo assistito all’amento di esperienze di scuole, spesso licei, che hanno scelto di valutare in itinere attraverso giudizi descrittivi al posto dei voti. Quali sono le ragioni di questa tendenza, secondo lei?
“Penso che da un lato ci si è accorti che un sistema di valutazione degli apprendimenti fondamentalmente basato sulla misurazione episodica a carattere sommativo non regge più. Inoltre c’è stata una scoperta, anzi una riscoperta, di un’idea diversa di valutazione, ovvero quella di una valutazione che è essa stessa insegnamento e non un momento diverso dall’insegnamento. Un’idea questa che affonda le radici in un’antica tradizione pedagogica anche italiana che per decenni è stata tenuta nel cassetto a favore di prassi prive di fondamento pedagogico ed educativo, oltre che normativo, e che oggi potrebbe restituire professionalità agli insegnanti e il senso del passare così tante ore a scuola alle studentesse e agli studenti. Da troppi anni, purtroppo, la valutazione degli apprendimenti è vista più come un adempimento burocratico-amministrativo che come un fatto educativo volto al miglioramento degli apprendimenti, ma anche dell’insegnamento. Nei collegi dei docenti si deliberano griglie di valutazione che altro non sono che strumenti di calcolo di un voto numerico invece di riflettere insieme per cercare una convergenza metodologica sia sull’insegnamento che sulla valutazione”.
A proposito di polarizzazione. La stampa, spesso anche quella di settore, ha scelto di usare toni “da stadio” per salutare l’inizio o la fine di queste sperimentazioni, scegliendo all’approfondimento i titoli sensazionalistici. Ora, giusto per non seguire la corrente ed il gregge dei titoloni, può spiegarci cosa è accaduto al Liceo Morgagni?
“Nel Liceo Morgagni di Roma è attiva ormai da sette-otto anni una sperimentazione di un nuovo sistema di valutazione degli apprendimenti in itinere che fa a meno dei voti da 1 a 10 per esprimere i giudizi sulle prestazioni degli studenti a favore di riscontri descrittivi che hanno come scopo sostenere il percorso di apprendimento degli studenti stessi. Il Liceo Morgagni aveva deciso di dedicare a questa sperimentazione una sezione della scuola, per cui i ragazzi e le ragazze che chiedevano l’iscrizione a quella sezione sapevano in anticipo che tutti i loro futuri insegnanti avrebbero adottato questa diversa forma di valutazione. Qualche settimana fa il collegio dei docenti, forse per diatribe interne o forse una libera scelta dei singoli, ha deliberato l’interruzione di questa sperimentazione. Ma i docenti del Morgagni sono comunque liberi di adottare la tipologia di valutazione degli apprendimenti in itinere che preferiscono, per cui una studentessa o uno studente potrebbe avere sia insegnanti che mettono voti, sia insegnanti che praticano la valutazione formativa con i riscontri descrittivi in itinere. Possiamo quindi dire che è stata una sconfitta a metà per questo progetto, la cui bontà è certificata dai risultati ottenuti negli anni, e che da oggi potrebbe persino allargarsi coinvolgendo un numero maggiore di insegnanti”.
Il prof. Corsini sostiene che se consideriamo la valutazione come una strategia didattica nessuno può imporre anche al singolo docente come valutare. In altri contesti alcuni suoi colleghi sostengono che o l’intero consiglio di classe adotta la valutazione educativa oppure non è possibile che sia scelta da un singolo docente, anche se poi sappiamo che in alcuni contesti esistono singoli docenti che scelgono di non adottare i voti per le valutazioni in itinere. Qual è la realtà da un punto di vista pedagogico e normativo?
“La normativa di riferimento sulla valutazione, ovvero il D. Lgs 62/2017 e il precedente DPR 122/2009, ci dice che i voti vanno messi solo in sede di scrutinio intermedio e finale. Questi voti in realtà non sono dei valori numerici su una scala di misura, ma rappresentano dei livelli di raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi di apprendimento definiti nel curricolo della scuola. Pertanto, non c’è alcun motivo di adottare obbligatoriamente, anche per le valutazioni quotidiane, uno strumento, quello del voto da 1 a 10, che il legislatore ha indicato per la valutazione sommativa finale. Il voto come forma di espressione delle valutazioni in itinere spinge gli studenti ad uno studio opportunistico e superficiale, più orientato al risultato e alla comparazione che alla crescita personale o al piacere della scoperta e della conoscenza. Il collegio dei docenti è sì chiamato a deliberare i criteri e le modalità di valutazione e metterle nero su bianco sul Piano triennale dell’offerta formativa, ma si tratta più della necessità di una condivisione a livello collegiale dal punto di vista metodologico e didattico che della necessità di stabilire confini e strumenti rigidi entro i quali i docenti devono lavorare. Io sono per una completa sburocratizzazione della valutazione. La valutazione, come la didattica, è soprattutto relazione, scambio continuo di riscontri docente-discente. La valutazione può consentire al primo di crescere professionalmente e al secondo di crescere come persona e imparare sempre di più, meglio e più volentieri”.
In conclusione, da uomo di scuola, le chiediamo: come mai è così diffusa anche nella scuola l’idea che senza voto, cioè senza una motivazione estrinseca, non sia possibile coinvolgere gli studenti in un percorso di insegnamento-apprendimento significativo?
“Alcuni mesi fa ho tenuto un seminario online sulla valutazione formativa per i docenti di un istituto comprensivo. Ad un certo punto una professoressa ha sbottato: ‘toglieteci tutto, ma non i voti. Altrimenti come facciamo a farli studiare?’. Beh, credo che questa frase sia emblematica di un rapporto docenti-studenti che rischia di deteriorarsi. Io penso che quando uno studente o una studentessa si accingono a intraprendere un percorso di studi ricevano una promessa: la promessa che quel percorso sarà ricco di esperienze significative, interessanti, divertenti, caratterizzato dalla socialità e da un diffuso stato di benessere. Purtroppo in molte scuole questa promessa è disattesa e le ragazze e i ragazzi si ritrovano dentro logiche assurde, tutte scolastiche, per le quali bisogna soddisfare delle richieste altrui per ottenere dei buoni voti e stare al di sopra della linea di galleggiamento della sufficienza. I più fragili ne pagano le conseguenze e talvolta entrano nel girone delle diverse forme di dispersione scolastica. Pochi accettano volentieri queste regole perché hanno già acquisito dal contesto familiare il piacere o il dovere della conoscenza. La maggior parte invece si adegua, e studia in maniera per lo più mnenomica e superficiale, in funzione del voto. Ecco, io auspico nuove forme di valutazione e, a ritroso, nuove forme di didattica che invece restituiscano a chi impara il vero senso dello stare a scuola e offrano giorno dopo giorno un’esperienza di scuola significativa, appagante e realmente stimolante”.
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