di Alberto Pinna
Il processo ai quattro giovani perla presunta violenza sessuale nei confronti di una studentessa italo-norvegese e di un’amica. Il medico in aula: «Le lesioni sulle gambe compatibili con una violenza ma anche con un trauma sportivo»
Tempio Pausania «Non le ho mai usato violenza. Lei era consenziente». Parla per la prima volta ed è poco più che un sibilo la voce di Francesco Corsiglia; nell’aula del Tribunale si fa silenzio per quattro minuti. L’amico di Ciro Grillo (figlio di Beppe), Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, non senza imbarazzo ma deciso, curvo sotto un giaccone verde, lo sguardo un po’ verso i giudici e un po’ nel vuoto, scandisce lentamente: «Nessuna violenza». E ripete:«Nessuna».
Le sue dichiarazioni spontanee, accanto agli avvocati Antonella Cuccureddu e Gennaro Velle, non erano previste. Silvia (nome di fantasia), la ragazza italo-norvegese lo accusa: «È stato il primo. Ha abusato di me nel letto e poi nella doccia». Corsiglia si difende: «Nessun abuso e dopo il rapporto sessuale sono andato in un’altra stanza e mi sono addormentato. Non so nulla di quel che è accaduto in seguito». E persino si scusa: «Non ho potuto essere presente alle udienze perché studio in Spagna. Ma oggi sono voluto venire per dire che sono innocente».
C’è ancora confusione su quella mattina del 17 luglio 2019. Avevano ballato fino a notte fonda, non si trovava un taxi e così Silvia e la sua amica Roberta (altro nome fittizio) hanno accettato di continuare a far festa con i quattro amici genovesi, appena conosciuti, seguendoli nella villetta di Beppe Grillo al Piccolo Pevero in Costa Smeralda. Spaghetti e vodka all’alba, l’incubo della violenza sessuale di gruppo per Silvia che lo dice ai genitori una settimana dopo, al rientro a Milano: visita medica e tutto annotato dalle dottoresse della clinica Mangiagalli di Milano, le stesse che hanno testimoniato nell’udienza di ieri. Convocati come testi anche i proprietari del B&B nel quale le ragazze alloggiavano e i due istruttori di kitesurf con i quali Silvia aveva parlato poche ore dopo i fatti.
Daniele Ambrosini e Maika Pasqui, gestori del B&B, avevano riferito ai carabinieri (e hanno confermato ieri) che le ragazze, rientrando, apparivano «serene e felici», anche se alla stampa avevano invece raccontato che erano «turbate». Marco Grasovin (kitesurf), ha invece riferito che Silvia gli ha parlato della violenza subita dicendogli che l’avevano costretta a bere. Dettaglio che fa dire alla sua avvocata, Giulia Bongiorno, che «emerge l’elemento decisivo per poter parlare di violenza, cioè la costrizione».
Un quadro contraddittorio, che tale sembra rimanere anche dopo le testimonianze dei medici della Mangiagalli di Milano. Per la psicologa Laila Micai il comportamento di Silvia e le sue reazioni erano e sono in linea con quelli «che manifestano persone vittime di stupro». La ginecologa Marta Castiglioni ha visitato la ragazza 9 giorni dopo l’asserita violenza, «troppi per rilevare segni di violenza sessuale». Il medico legale Vera Gloria Merelli, infine, ha affermato che le lesioni all’avambraccio e alle gambe «sono compatibili con violenza sessuale, ma possono essere attribuibili anche a traumi da attività sportiva».Il processo non è che ai primi passi. Devono essere sentiti più di 30 testimoni. Il tribunale ha fissato nei prossimi 5 mesi tre udienze: l’8 febbraio, l’8 marzo, il 12 aprile. Toccherà poi a pm, parti civili, ai 7 difensori. Difficile che la sentenza possa essere pronunciata nel 2023.
16 novembre 2022 (modifica il 16 novembre 2022 | 23:19)
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, 2022-11-16 22:33:00, Il processo ai quattro giovani perla presunta violenza sessuale nei confronti di una studentessa italo-norvegese e di un’amica. Il medico in aula: «Le lesioni sulle gambe compatibili con una violenza ma anche con un trauma sportivo», Alberto Pinna