di Paolo Ferri*
Per non perdere la sfida e i fondi delPnrr non basta migliorare l’infrastruttura. La Dad ha fallito perché non eravamo preparati a sfruttare le potenzialità del digitale per integrare e collaborare anche senza essere in presenza
*Università degli Studi Milano Bicocca
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la «digitalizzazione» della società italiana e quella della scuola sono correttamente individuate come: «un abilitatore trasversale ad ampio spettro» (Pnrr, p. 50). Con buona pace dei nostalgici quella digitale è un’infrastruttura strategica per il sistema formativo italiano la cui implementazione è necessaria per ridare competitività a tutta la nostra società. Secondo il Digital Economy and Society Index dell’Unione europea, infatti, il «capitale umano» in Italia è tra i meno formati d’Europa in termini di cittadinanza digitale attiva. Siamo al 25° posto e con un tasso di popolazione che possiede competenze digitali avanzate pari solo al 22%. Tuttavia, l’infrastruttura digitale della scuola, ancora ampiamente da completare è necessaria ma non sufficiente.
Il calo delle performance scolastiche
Lo dimostrano i dati recenti di due report – uno della Commissione Europea e uno dell’Ocse dedicati entrambi all’impatto del Covid-19 sui risultati scolastici in Europa (The impact of Covid-19 on student learning outcomes across Europe, 2021 e How learning continues during the Covid-19 Pandemic, 2022). Dai dati emerge in maniera molto evidente la forte diminuzione anche in Europa dei risultati scolastici durante la pandemia, misurati attraverso i test Ocse-Pisa. E’ necessario notare come il deficit di apprendimento maggiore non dipenda esclusivamente dal forzato passaggio in digitale delle relazioni di apprendimento. Questo calo generalizzato nelle performance scolastiche è, infatti, muti-fattoriale e causato da cinque fenomeni correlati: a) la riduzione del tempo di insegnamento e di apprendimento; b) la diminuzione della frequenza del contatto sociale individuale tra gli allievi e con gli insegnanti; c) la (scarsa) capacità degli insegnanti e degli studenti di adattarsi all’insegnamento/apprendimento digitale; d) la (scarsa) capacità delle famiglie di supportare, anche emotivamente, i figli durante i lockdown; e) le condizioni socio-economiche delle famiglie stesse.
La motivazione allo studio in Dad
In primo luogo le politiche di «chiusura delle istituzioni scolastiche» durante i lockdown del 2020 e del 2021 sono state molto differenziate trai vari stati europei ed è evidente che paesi come l’Italia o la Romania che nel 2020 hanno dovuto o voluto chiudere le scuole per metà dell’anno scolastico hanno performance nei test di apprendimento peggiori rispetto a paesi che come Francia e Germania hanno ridotto la «perdita» del tempo scuola a circa ad un terzo. A questo si aggiunga il fatto che, ovunque, la diminuzione del «contatto sociale» tra pari e con i maestri e i docenti, oltre ad un incremento dello stress, ha forzatamente fatto venir meno parte della motivazione allo studio. Tutte le dinamiche dell’apprendimento informale, legate per lo più alla presenza a scuola o alle relazioni di tra coetanei sono cessate. La tecnologia ha permesso di «mantenere il contatto» ma ovviamente non ha potuto sostituire la relazione diretta e lo «spazio condiviso della scuola» inteso come spazio fisico di socialità e comunicazione.
Le lezioni trasmissive
Un altro fattore determinante il peggioramento delle performance scolastiche che emerge delle ricerche internazionali dell’Ue e dell’Ocse, e forse quello più preoccupante, è l’ampliarsi del divario nei risultati scolastici tra le famiglie socio-economicamente svantaggiate, povere e/o migranti e quelle abbienti. I lockdown e la pandemia, hanno infatti colpito di più chi non aveva a disposizione un dotazione digitale adeguata, chi non possedeva una casa dotata di spazi adatti a permettere ai figli di collegarsi on-line tranquillamente, con una banda internet veloce e senza disturbi esterni. A questi fattori in Italia se ne deve aggiungere un altro: la maggior parte degli insegnanti, circa i due terzi, hanno «erogato» lezioni trasmissive in diretta streaming o registrate – dati della Società Italiana di Ricerca Didattica (Sird, 2020). Gli insegnati, per carenza di formazione e strumentazione, non hanno, cioè, sfruttato a pieno le potenzialità di integrazione e collaborazione intrinseche nei media digitali che potevano mitigare gli effetti della mancata interazione in presenza.
Le sfide della cittadinanza digitale
Ci auguriamo che il ritorno alla presenza, speriamo definitivo, non coincida però con l’abbandono di alcune buone pratiche digitali apprese così durante la pandemia. Oggi la didattica non può che essere «aumentata digitalmente» e questo in primo luogo per motivo di giustizia sociale distributiva. E’ la scuola che deve insegnare ai nostri figli ad affrontare le sfide della cittadinanza digitale, non esiste altra agenzia sociale che possa sostituirsi a lei, pena un ulteriore incremento delle già grandi dispari opportunità di apprendimento ed emancipazione sociale che affliggono tanti territori del nostro Paese.
18 marzo 2022 (modifica il 18 marzo 2022 | 16:03)
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, 2022-03-18 15:18:00, Per non perdere la sfida e i fondi delPnrr non basta migliorare l’infrastruttura. La Dad ha fallito perché non eravamo preparati a sfruttare le potenzialità del digitale per integrare e collaborare anche senza essere in presenza, Paolo Ferri*
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