di Elisabetta Andreis
Servirebbero almeno 400 educatori, ma agli appelli delle comunità non risponde nessuno. Nel 2021 hanno chiuso cinque strutture, altre tre nei primi mesi del 2022. «Ondata di rabbia giovanile, non riusciamo a reggere l’urto»
Aumenta la devianza giovanile, c’è necessità urgente di un’azione educativa forte sul territorio. Ma paradossalmente, proprio adesso, mancano gli educatori. Introvabili. Ne servirebbero almeno quattrocento, in Lombardia. Agli appelli per la ricerca di personale non risponde però nessuno. Risultato: le strutture socio-educative per minori chiudono. L’anno scorso hanno tirato i remi in barca cinque comunità e, nei primi mesi del 2022, già tre. Adesso rischiano di aggiungersi alla lista un’altra realtà della cooperativa sociale Arimo e una de La Grande casa.
Reinserimento sociale a rischio
«La situazione è critica in particolare in quelle pochissime strutture che accolgono sistematicamente ragazzi provenienti dal circuito penale», avverte Silvio Premoli, docente in Cattolica e Garante comunale per i diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza. «Diverse decine di adolescenti arrestati e destinati dai giudici a un percorso di recupero nelle comunità vengono rimandati nelle loro case mentre si aspetta un collocamento per cui ci vorranno mesi. Il tempo d’attesa è raddoppiato negli ultimi due anni e questo aumenta il rischio di recidiva», sottolinea Paolo Tartaglione, presidente di Arimo e referente Infanzia, adolescenza e famiglie del Coordinamento comunità d’accoglienza Lombardia (Cnca). In altri casi per mancanza di posti, i ragazzi vengono dirottati in Emilia, Piemonte o anche più lontano, rendendo più difficile poi il reinserimento sociale a fine percorso.
Vita da precari
Ma perché gli educatori sono diminuiti così drasticamente? I fattori che incidono si riconducono a tre macrotemi. Il contratto spesso precario e mal retribuito è il primo punto, ed è un gatto che si morde la coda. «A Milano il Comune da luglio alzerà a 93 euro giornalieri il contributo pubblico alle rette, ma è ancora insufficiente — fa notare Liviana Marelli, membro esecutivo nazionale del Cnca e presidente della cooperativa La Grande casa —. Per mantenere minimi standard di cura e retribuire in modo adeguato gli educatori dovrebbe essere di circa 120 euro, considerando gli alti costi di gestione dei ragazzi in comunità».
I laureati in Scienze dell’educazione
Secondo punto, il vincolo legale che obbliga ad assumere nelle comunità solo laureati in Scienze dell’educazione. I numeri dei laureati (320 e 430 rispettivamente all’Università Cattolica e alla Bicocca) sono già pochissimi rispetto al bisogno. E la possibilità di migrare nelle scuole con i concorsi e la Mad (Messa a disposizione) ha dato il colpo di grazia: centinaia di operatori di comunità hanno lasciato per prendere servizio nelle scuole primarie, medie e superiori: «L’unica soluzione sarebbe una deroga regionale che consenta di incaricare anche operatori con lauree differenti», ipotizza Tartaglione. Terzo punto, gli educatori sono demotivati. «La crescente carica di rabbia dei giovani mette in ginocchio il loro operare, complice anche una narrazione sfavorevole e cupa che guarda a questi ragazzi come un unico branco pauroso — nota Simone Feder della Casa del Giovane di Pavia —. Impossibile reggere l’onda d’urto di un disagio così forte senza ottime esperienze sul campo. A Scienze dell’Educazione si fanno troppo poche ore di tirocinio dentro le comunità».
Il doposcuola nei cortili Aler
Per don Claudio Burgio, cappellano del carcere Beccaria e referente della comunità Kayròs, bisognerebbe introdurre per legge quote di operatori che hanno avuto un passato difficile: «Magari ex ospiti delle stesse comunità o persino reduci dal carcere che hanno fatto percorsi virtuosi e sanno come prendere i ragazzi da contenere. Risulterebbero adulti credibili». A San Siro, dove il sacerdote è molto attivo, hanno appena lanciato il loro progetto «Abc del quartiere» Luisa Zecca, docente in Bicocca, e Melissa Miedico, docente in Bocconi, a loro volta esperte della zona. E parte oggi la loro campagna di crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal basso per finanziare un «doposcuola street style» guidato da educatori nei cortili delle case popolari. Infine, lancia un appello generale l’assessore comunale alle Politiche sociali Lamberto Bertolè: «L’educatore — afferma — non è un lavoro di serie B, anzi. È prezioso e strettamente necessario a questa città».
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27 aprile 2022 (modifica il 27 aprile 2022 | 08:17)
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, 2022-04-27 06:20:00, Servirebbero almeno 400 educatori, ma agli appelli delle comunità non risponde nessuno. Nel 2021 hanno chiuso cinque strutture, altre tre nei primi mesi del 2022. «Ondata di rabbia giovanile, non riusciamo a reggere l’urto», Elisabetta Andreis