Ci sono parole che nascono da una negazione; eppure, la loro efficacia conquista orizzonti perfino pi ampi di quelli compresi dalla parola di origine. Una di queste, destinata a conquistare spazi sempre crescenti nel nostro linguaggio, disagio.
Il senso della comodit. Cominciamo dalla parola da cui nasce, agio. Espressione che spesso usiamo al plurale per indicare l’insieme delle comodit della vita, gli agi rappresentano il benessere e il piacere che se ne ricava, sottolinea il vocabolario Treccani. L’origine semplice e illuminante e per una volta trova d’accordo quasi tutti i dizionari: la parola proviene dal provenzale aize e dall’antico francese aise, entrambe debitrici del latino adiăcens. In italiano la conosciamo bene, la parola adiacente, che vuol dire che sta accanto. Non significa vicino, vuol dire proprio che giace accanto (composta da di e iacere), tanto vero che in geometria usato per indicare due angoli consecutivi. Torniamo agli agi, in cui la vicinanza fondamentale nello stare comodi. Pensate a quando scordiamo qualcosa (il telefono in macchina, le chiavi dell’auto a casa) e ci tocca andare a recuperarla.
Cominciamo a capirci. Proprio l’assenza degli agi ci porta nel nostro disagio. Parola che nasce prestissimo nell’italiano (che ha sempre avuto una certa confidenza sul tema), tanto che il dizionario di Tullio De Mauro la attesta prima del 1250. il prezioso prefisso dis- a rendere inequivocabile questa parola per indicare la mancanza di agi e quindi della comodit. Ma la parola non si limita certo solo all’aspetto materiale: il disagio disegna con straordinaria efficacia il senso di imbarazzo, il sentirsi in una situazione d’impaccio. Una sofferenza.
Piccola digressione sul prefisso. prezioso il contributo offerto la lingua da questo prefisso dis che usiamo in moltissime parole. Per esempio distogliere, per indicare il volgere da un’altra parte o l’allontanare da un proposito, o ancora dissuadere, dispersione. Ma anche per rendere chiara e netta un’opposizione: pensate a piacere e dispiacere, oppure onore e disonore. Uno degli esempi pi interessanti discutere che letteralmente significa scuotere in diverse parti (Treccani), esempio illuminante di come un verbo possa rappresentare esattamente una situazione. Noi lo abbiamo gi incontrato raccontando la parola dissenso.
In che mondo ci troviamo. Per comprendere l’ambito raggiunto dai significati di questa preziosa parola, basta dare uno sguardo ai sinonimi. Dai principali: difficolt, imbarazzo, malessere, fastidio, impiccio, seccatura, incomodo; a quelli letterali come mancanza di agi, scomodit. A quelli che aprono nuovi fronti, come molestia (e non c’ disagio peggiore di quello provocato da una molestia). A quelli che si concentrano sul punto di vista economico come bisogno, povert, miseria, privazione, carenza, stento, indigenza. All’aspetto generale (impaccio, inconveniente) e per estensione incertezza, vergogna.
Un percorso lunghissimo. Comprensibile quindi che questa parola si sia conquistata uno spazio importante in ambito psicologico, nella sociologia e purtroppo nel racconto quotidiano della realt. La sensazione di malessere che chiamiamo disagio si manifesta in varie forme, dall’ansia, all’angoscia alla depressione. Conoscerle e riconoscerle per tempo sono passaggi fondamentali della strategia per riuscire a sconfiggerle.
Un disagio giovanile. Con la definizione disagio emotivo relazionale si comprende un insieme di comportamenti disfunzionali che non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attivit di classe e di apprendere con successo, utilizzando il massimo delle proprie capacit cognitive e relazionali (cos lo descrivono le psicologhe Monia Di Palma e Valentina Dicembrini). A giudizio di Don Luigi Ciotti un grido che denuncia, da parte dei giovani, il bisogno della giusta distanza nelle relazioni con gli adulti e che chiede di ri-visitare la nostra capacit di porci gli uni vicini agli altri.
Il rapporto con l’ambiente. La locuzione disagio sociale si utilizza per descrivere il senso di inadeguatezza dell’individuo rispetto al sistema sociale in cui inserito e lo stato di sofferenza che ne deriva. Noi ci confrontiamo spesso con le manifestazioni di questo disagio, altrettanto spesso le liquidiamo come senso di solitudine e timidezza, sottovalutando la portata del senso di isolamento che si prova e le conseguenze di sofferenza. Non ci sono agi se si convinti di non avere gli strumenti adatti a rapportarsi con l’ambiente e gli affetti che ci circondano.
Ci aiuta Freud. Nel 1929 Sigmund Freud scrive un libro, che sar pubblicato in tedesco l’anno successivo. In estrema sintesi questo saggio affronta la tensione che si crea tra le pulsioni individuali (il principio del piacere) e le leggi della societche necessariamente le limitano introducendo norme che regolano la vita in comunit cercando di assicurarne l’equilibrio. Quello che ci interessa il titolo dell’edizione italiana, apparsa solo nel 1949, Il disagio della civilt. Leggermente diverso dall’originale Das Unbehagen in der Kultur (L’infelicit nella civilt) e da quello dell’edizione inglese Civilization and Its Discontents (Civilt e le sue insoddisfazioni). Ma sicuramente il titolo italiano pi efficace.
Quello che non ci aiuta. la trasformazione di questa parola preziosa e importante nel descrivere uno stato di malessere, in un clich, banalizzandola e quindi contribuendo a diminuirne l’effetto. Pensate all’aggettivo disagiato, non c’ una periferia che non se la ritrovi come inevitabile complemento. Che risolve con una sola parola di sette lettere la fatica dover descrivere l’area di cui si parla (ci sono adeguati servizi di trasporto? Ci sono impianti sportivi e aree verdi? Ci sono biblioteche, librerie, zone di ritrovo che non siano specificatamente commerciali?). Il problema che chi ha bisogno di stereotipi per parlare di periferie, spesso non ne ha mai vista una. E questo, per la comunicazione, un vero disagio…
12 settembre 2023 (modifica il 12 settembre 2023 | 18:46)
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