I dati di Eurostat – o meglio della sua sezione dedicata a didattica, istruzione e diritto allo studio più in generale, parlano chiaro: oltre il 75% dei ragazzi e delle ragazze di etnia Rom di età compresa tra i 9 ed i 18 anni disattende le lezioni. Le ragioni, così come quanto accadeva in Italia durante la promulgazione delle norme circa l’obbligatorietà dell’istruzione elementare nel tardo ‘800, sono legate all’impiego dei ragazzi e delle ragazze come manodopera e le crescenti – preoccupanti – difficoltà integrative con cui si debbono confrontare docenti e studenti.
Spesso persistono gravi ritardi, nella scuola primaria, nelle competenze di base, quali lettura, comprensione del testo (dato che in Italia spaventa gli analisti indipendentemente dallo status dello studente) e scrittura, ovvero rielaborazione del pensiero critico. Contrasti evidenti, affermano gli annali delle istituzioni europee, figurano nel dialogo, spesso solo formalmente istituzionale, tra scuola come soggetto educativo e le famiglie di etnia Rom. I dati peggiori si registrano – proporzionalmente alla popolazione Rom – in Italia, Romania, Bulgaria e Slovacchia.
Povertà e miseria. Il caso di Romania e Bulgaria mette in pericolo il diritto allo studio come libertà acquisita
Se prima della pandemia i bambini Rom europei avevano difficoltà con la scuola, il coronavirus ha peggiorato ulteriormente la situazione. Una delle comunità più svantaggiate d’Europa, molte famiglie Rom vivono in quartieri angusti con scarso accesso ai dispositivi elettronici, condizioni difficilmente favorevoli all’apprendimento a distanza. Uno studio in Romania ha rilevato che solo il 3% dei bambini rom ha partecipato a lezioni online durante il blocco iniziale del paese, rispetto al 12% anche tra altri gruppi considerati con difficoltà od emarginati.
La pandemia, e i suoi effetti di disadeguamento, hanno messo in luce un problema di vecchia data: in tutto il continente, i giovani Rom europei vengono privati dell’istruzione, in particolare durante i primi anni che secondo gli esperti di sviluppo sono cruciali per il successo a lungo termine del processo educativo. In Bulgaria, sede di una delle più grandi comunità Rom d’Europa, solo il 64% dei bambini Rom ha un’esperienza – seppur limitata e circoscritta – con la scuola materna, rispetto al 94% dei loro coetanei bulgari, secondo uno studio sull’istruzione dei Rom in 11 paesi europei, condotto da European Agenzia dell’Unione per i diritti fondamentali (FRA).
Tale divario persiste in gran parte dell’Unione Europea, con l’Ungheria l’unica eccezione degna di nota. Un recente sondaggio, condotto da Caritas Romania, con circa 400 bambini che frequentano i “centri di apprendimento” delle organizzazioni che forniscono supporto scolastico agli studenti provenienti da gruppi emarginati, ha mostrato che solo il 3% dei bambini Rom ha partecipato a lezioni online durante il periodo marzo-giugno confinamento ed il dato impatta in maniera significativa il decorso della vicenda.
Ed in Italia? I dati di Mim e dei suoi reports
Il ministero dell’Istruzione e del Merito, presso un’apposita sezione dedicata su proprio portale web, reca una nota relativa all’Integrazione degli studenti “Rom, Sinti e Caminanti”. I dati sono risalenti al 2015 e fanno riferimento ad un elevato tasso dispersivi suddiviso per genere, più incidente per le studentesse piuttosto che per i coetanei maschi. I dati attualmente disponibili si basano su un report ISTAT del 2017, che fa luce sull’integrazione della popolazione Rom e simili in quattro comuni tipo: Napoli, Bari, Catania e Lamezia Terme, tutti nel Mezzogiorno, area italiana presso la quale il sentimento di ostilità è più forte e comune tra la popolazione autoctona. La Fondazione ISMU, collaborando attivamente con il Mim, ha stilato un rapporto utile a comprendere il livello integrativo della popolazione scolastica Rom specie dopo l’emergenza sanitaria, data le enormi difficoltà per costoro ad accedere alla DAD data la penuria di risorse, strumenti, tecnologie.
Il quotidiano “Redattore Sociale” ha dichiarato, in riferimento a tali dati, che “Gli alunni rom sinti e camminanti iscritti nei diversi ordini e gradi di scuola sono diminuiti del 5,6% dal 2007/2008 al 2013/2014 (riduzione più sensibile nelle scuole d’infanzia e primaria). In totale sono 11.657 (erano 12.342 nell’a.s. 2007/2008) anche se il dato è in leggero aumento rispetto all’anno precedente quando si contavano 11.481 iscritti”.
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