Suslov: «Preparatevi al 2023. Altre armi dall’Occidente dopo i referendum e sarà guerra mondiale»

di Paolo Valentino

Dmitrij Suslov, politologo vicino al Cremlino: «Stiamo perdendo per inferiorità numerica, ma useremo le atomiche solo per deterrenza. Voto in Italia? Salvini e Berlusconi sono colombe»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — Quando Putin dichiara di essere pronto a «usare tutti i mezzi militari a disposizione» e che «non è un bluff», allude anche all’impiego di armi nucleari tattiche?
«Non come arma di prima istanza, né nel breve periodo. Da parte russa l’impiego delle bombe atomiche tattiche rimane un’arma di deterrenza. Il riferimento di Putin è uno strumento retorico per forzare l’Occidente a non aumentare anzi a ridurre l’aiuto militare a Kiev e per dissuaderlo dall’entrare direttamente in guerra, per esempio spiegando truppe nelle regioni occidentali dell’Ucraina o altrove, specialmente quando l’aumento delle forze russe costringerà le forze ucraine a ritirarsi».

Dmitrij Suslov dirige il Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia, uno dei più importanti istituti russi dove viene pensata la politica estera del Cremlino.

Perché Putin ha ordinato ora la mobilitazione parziale? Non è un’ammissione di fallimento?
«I tempi sono dettati dal successo dell’offensiva delle forze ucraine soprattutto nella regione di Charkiv e a Donetsk, dove ha complicato i piani militari russi nel Donbass. La conclusione ovvia è che la Russia non può più tenere questi territori, tantomeno continuare ad avanzare con una forza militare minoritaria. Mosca non può vincere questa guerra con un corpo di spedizione numericamente inferiore all’avversario: nella regione di Charkiv, parliamo di un rapporto di 1 a 8 a favore degli ucraini e questo ne spiega il successo. La scarsezza di personale è stata la principale debolezza russa in questa campagna e ora è chiaro che rischiamo di non poter più tenere neppure i territori rimanenti, a meno di una escalation della nostra presenza militare. La mobilitazione, sia pure parziale, è un atto obbligato, Putin l’ha evitata per lungo tempo nonostante le pressioni dei comandi militari. Ora non era più possibile».

Ma perché accompagnarla con i referendum per l’annessione dei territori di Donetsk, Lugansk, Zaporizia e Kherson?
«Per due ragioni. Primo per giustificare la mobilitazione: le persone saranno molto più motivate se sanno di combattere una guerra difensiva invece che aggressiva. Non è più un’operazione militare speciale in Ucraina, in territorio straniero, ma una guerra patriottica per difendere e proteggere la madrepatria, la sua indipendenza e integrità territoriale. La seconda ragione è il tentativo di forzare l’Occidente collettivo al tavolo negoziale. Infatti, Putin e il gruppo dirigente hanno adottato una persistente retorica che indica gli USA e la Nato parte in causa del conflitto. L’esempio più recente è stato l’intervento di Sergeij Lavrov al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La posizione ufficiale è che la Russia considera Stati Uniti e Nato avversari in questa guerra e viene ripetuta di continuo. Dopo i referendum, significherà che l’Occidente è l’aggressore contro i confini russi, cambiando la natura dello scontro. Il rischio di una Terza Guerra Mondiale aumenterà in modo potenziale. Una volta annessi i quattro territori, ogni missile occidentale che li colpisce verrà considerato una dichiarazione di guerra, con tutte le conseguenze che questo comporta. E mi chiedo se l’Occidente accetterà il rischio di un conflitto mondiale, continuando l’attuale massiccia fornitura di armi a Kiev, ovvero se accetterà di ridimensionarla».

La mobilitazione non è dall’opinione pubblica russa. In questi giorni assistiamo a proteste a Mosca e altrove.
«Non c’è protesta diffusa, nulla che sia neppure lontanamente paragonabile a quelle del 2012 su Piazza Balotnaya. I numeri sono bassissimi, massimo a doppia cifra. La vera protesta è quella di chi se ne va, perché non vuole andare sotto le armi. E qui parliamo di diverse migliaia di persone. Ma questo non è una minaccia per il sistema. Certo, non c’è dubbio che il popolo vorrebbe continuare una vita normale».

Ci sono ancora spazi di negoziato? Cosa vuole Putin?
«Putin è pronto ad accettare negoziati anche domani, alle condizioni della Russia. Ma io credo che gli scenari possibili siano due. Il primo è che andiamo a una trattativa con gli USA e la Nato, ma senza l’Ucraina, subito dopo l’annuncio di Mosca che i quattro territori sono russi. Il secondo è molto peggiore. La Russia continua la mobilitazione, che non cambierà la situazione sul terreno in una notte. Ci vorranno tre o quattro mesi perché le nuove truppe siano pienamente operative al fronte. Verosimilmente, alla fine di quest’anno o all’’inizio del prossimo la Russia lancerà la sua controffensiva. A quel punto tutto dipenderà dalla disponibilità dell’Occidente a negoziare, dallo stato di esaustione delle parti, da come l’Ucraina sopravviverà nei prossimi mesi con un’infrastruttura economica e civile distrutta, da come l’Europa sopravviverà all’inverno, dall’effetto cumulativo delle sanzioni sulla Russia. Solo allora potremo valutare la situazione».

Cosa si aspetta il Cremlino dalle elezioni italiane di domenica?
«È abbastanza chiaro che la coalizione di centro-destra vincerà. Ma non ci aspettiamo che l’Italia cambi immediatamente la sua posizione attuale sull’Ucraina, le armi e le sanzioni. C’è un “deep State” anche in Italia, una burocrazia della politica estera che lo impedirà. Neppure Trump riuscì a cambiare la politica estera americana. Vedremo l’accordo di governo. Meloni sembra più “falco” verso Mosca, Salvini e Berlusconi sono più “colombe”. Penso che i cambi eventuali saranno nei dettagli, ma non nei fondamentali».

Lei ha sempre sostenuto che la Russia non è isolata nel mondo. Ma nelle ultime settimane, anche alleati tradizionali come la Cina e l’India hanno apertamente criticato la guerra e bacchettato Putin. Qualcosa sta cambiando.
«Non è isolamento. C’è una pressione politica di Cina e India affinché la Russia metta fine alla guerra, ma non al prezzo della sua sconfitta. Xi Jinping lo vuole perché più a lungo la guerra continua, più grande sarà la pressione americana sulla Cina. Allo stesso tempo né Cina né India hanno alcun interesse in una sconfitta russa, che per loro sarebbe un disastro politico. Credo invece che lo stato attuale dei rapporti sino-russi sia una prova di sostenibilità e stabilità: a dispetto del fatto che la Cina non voleva questa guerra e la vorrebbe chiusa presto, le relazioni crescono e sono intense sul piano economico, politico e strategico».

24 settembre 2022 (modifica il 24 settembre 2022 | 15:05)

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