Elisabetta Condò, la docente accoltellata dallo studente lo scorso 29 maggio, ha scelto di rompere il suo silenzio. In una lettera indirizzata a La Repubblica, esprime il suo dolore, la sua frustrazione, e propone una riflessione sull’importanza dell’educazione e del ruolo della scuola nella società.
Dopo l’accaduto, l’insegnante rivela di aver lasciato l’ospedale quattro giorni dopo l’incidente, ma le sue ferite sono tutt’altro che guarite. Le rimangono gravi ferite al braccio, alla testa e il dolore è intenso. È prevista una lunga fisioterapia e un supporto psicologico.
L’insegnante sottolinea la mancanza di scuse da parte della famiglia dell’alunno e critica l’avvocato per aver minimizzato il suo dolore fisico. Lei insiste che la valutazione del ragazzo dovrebbe essere lasciata ai professionisti – psichiatri, educatori e magistrati – al di fuori dell’eco mediatica.
L’insegnante passa a condividere i suoi pensieri sulla scuola, insistendo sul fatto che la scuola è un luogo di accoglienza e inclusione. Tuttavia, la scuola opera in un contesto sociale competitivo e violento. Critica la marginalizzazione della cultura, dell’arte e del sociale in un contesto che privilegia le tecnologie rispetto ai progetti di teatro, affettività, volontariato e cooperazione.
Infine, l’insegnante ricorda un dialogo con lo studente che l’ha aggredita. Lui, un aspirante ingegnere, vedeva la storia come inutile per la sua carriera futura. Lei ha cercato di far capire che la scuola non ha solo un fine utilitaristico, ma mira a formare cittadini consapevoli e partecipi della società. Il suo messaggio finale è un appello alla comprensione e all’empatia nella speranza che altri educatori possano raggiungere dove lei non ha potuto.
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