Sul Corriere della Sera si dà spazio ad una riflessione posta da due docenti docenti di Lettere dell’IISS A. Greppi di Monticello in Brianza (Lecco), in cui si analizzano le prospettive di una vera interdisciplinarità a scuola fra le discipline umanistiche e quelle scientifiche.
Secondo le docenti, un primo passo utile è “quello di superare l’idea che comprensione e lettura siano appannaggio dell’insegnante di Italiano, così come logica, decodificazione di grafici e abilità informatiche lo siano dell’insegnante di Matematica“.
“Più corretto, piuttosto, ritenerle competenze trasversali, da conseguire a livelli diversi in tutte le discipline oggetto di studio“, spiegano.
Le insegnanti fanno notare che “se sulla carta questo è stato scritto da più parti, non sempre è facile adattarlo alla realtà della scuola, dove continua a dominare un’ottica prettamente disciplinare e settoriale, con la rigida divisione delle materie, che raramente dialogano in modo continuativo tra di loro, a creare un humus fertile di competenze critiche e non solo settoriali“.
E ancora: “Nelle fasi conclusive dei corsi (terza media e Maturità) c’è, è vero, il tentativo di aprire ad un dialogo interdisciplinare, ma la consapevolezza profonda delle interconnessioni dei saperi, in termini di competenze acquisiste, è ancora un obiettivo lontano. Colpa dell’estrema burocratizzazione di molte pratiche scolastiche che, ancora oggi, anzi, sempre di più, creano gabbie difficili da disserrare. Così, insegnanti e studenti si trovano a cercare agganci a volte forzati tra una materia e l’altra, quando, invece, nella naturalezza della pratica didattica i legami dovrebbero apparire evidenti“.
“Addirittura – insistono – c’è che scrive nero su bianco nei programmi finali gli snodi interdisciplinari, come se non fosse acquisita la competenza intrinseca che è ancorata a materie diverse. Un esempio per tutti: la tematica del tempo si presta a una serie di intersezioni tra letteratura, filosofia, fisica, latino e così via. Che bisogno c’è di esplicitarlo come se fosse un alto obiettivo raggiunto, se non per ossequio alla burocrazia che incasella, e imprigiona, il libero dispiegarsi delle abilità intellettuali degli studenti, capaci di ragionamenti profondi e creatività?”
La strada da prendere per queste due insegnanti è quella di riuscire “ad attuare una vera interdisciplinarità nella pratica quotidiana, per cui l’insegnante di Italiano e quello di Matematica potrebbero realmente affiancarsi nelle ore di lezione e far dialogare le loro discipline contestualmente alla lezione in classe. Ne trarrebbero ricchezza insegnanti e alunni che vedrebbero in atto ciò che si scrive sulla carta. L’Italiano in un’ottica diversa, più «scientifica», e la Matematica, più aperta e meno astratta, potrebbero attrarre le giovani menti, o, quanto meno, spostare un po’ il punto di vista”.
“È vero che in alcune scuole ciò accade -aggiungono – ma con quale fatica ed estemporaneità! D’altra parte, un approccio un po’ più scientifico alla realtà è quanto si richiede sempre di più“.
Resta poi il punto critico dell’attrazione verso la Matematica e gli studi connessi. “Auspicabile che fin dalle elementari abbia inizio un cammino didattico che avvicini alle discipline scientifiche in modo «leggero» e divertente, con l’ambizione di renderne lo studio «sexy», come la direttrice del CERN di Ginevra, Fabiola Gianotti, ha recentemente definito la Scienza“, sostengono.
Per questo bisogna “spingere a che la scelta di un tipo di scuola non venga effettuato sulla base dell’esclusione: «Non mi piace la matematica, dunque scelgo indirizzi umanistici». Piuttosto, tra le due opzioni, quella che più intriga e interessa sarà oggetto di studio approfondito, senza per questo creare il pregiudizio, o l’alibi, dell’incapacità, perché, tanto, di certe abilità non si può più fare a meno“.
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