La sentenza in commento della Cassazione 7587/2022 interviene sulla legittimità del giudizio espresso dall’Amministrazione in ordine al mancato superamento del periodo di prova di un docente. Ne estrapoliamo i punti più rilevanti.
La questione
Nella parte del contenzioso in commento che qui interessa la Corte Territoriale aveva escluso che la valutazione negativa degli anni di prova, nei confronti del docente interessato, fosse dipesa da una finalità discriminatoria ed aveva evidenziato che l’unico fattore di rischio allegato dall’appellante, in termini generici ed ipotetici, non aveva trovato alcun riscontro all’esito dell’istruttoria disposta in grado d’appello, dalla quale non era emerso l’asserito collegamento fra le maldicenze ed i giudizi negativi manifestati a priori da alcuni genitori e la decisione dell’amministrazione di recedere dal rapporto.
La normativa
Il reclutamento del personale docente della scuola è tuttora disciplinato dal d.lgs. n. 297 del 1994, richiamato dall’art. 70, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001, che, agli artt. 437 e seguenti, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevede l’obbligatorietà dell’assunzione in prova, obbligatorietà che caratterizza l’impiego pubblico contrattualizzato, distinguendolo, sotto questo profilo, da quello privato (si rinvia a Cass. n. 32877/2018 ed alla giurisprudenza ivi richiamata). La stabile immissione nei ruoli del personale scolastico presuppone la valutazione positiva espressa all’esito dell’esperimento, che è condizione necessaria per la conferma in ruolo (art.440), ed in difetto della quale il docente può essere dispensato dal servizio o restituito al diverso ruolo di provenienza (art. 439).
Non si possono stabilire a priori i contenuti della prova
La Corte richiama dei suoi precedenti in materia (Cass. n. 21586/2008) chiarendo che dall’inapplicabilità dell’art. 2096 cod. civ., che discende dalla doverosità nell’impiego pubblico contrattualizzato dell’assunzione in prova, deriva solo l’irrilevanza di vizi genetici del patto inserito nel regolamento contrattuale, atteso che il contratto individuale sottoscritto dal dipendente e dalla P.A. non può validamente stabilire i contenuti della prova, determinati dalla legge e dalla contrattazione collettiva, nei limiti in cui il legislatore ne consenta l’intervento.
Il giudizio espresso dal datore di lavoro sulla prova non è sindacabile
Per il resto, quanto alla natura del potere che il datore di lavoro pubblico esercita ed ai limiti del sindacato giudiziale, valgono i medesimi principi affermati per l’impiego privato e, pertanto, il giudizio discrezionale che l’amministrazione esprime, una volta decorso il periodo di prova, non è sindacabile nel merito né è necessario provarne in sede giudiziale le ragioni, poiché l’illegittimità del recesso è predicabile solo qualora il potere venga esercitato per finalità diverse da quelle che la prova tende ad assicurare o senza il necessario rispetto delle regole formali e procedimentali imposte dalla legge e dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 6334/2019). Anche l’obbligo di motivare il recesso non esclude né attenua la discrezionalità dell’ente nella valutazione dell’esperimento, non incide sulla ripartizione degli oneri probatori, né porta ad omologare il mancato superamento della prova al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, essendo finalizzato solo a consentire la «verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall’altro, all’effettivo andamento della prova stessa», fermo restando che grava sul lavoratore l’onere di dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell’esperimento medesimo (Cass. n. 21586/2008 e Cass. n. 19558/2006).
Per essere assunti nella scuola è condizione essenziale il superamento del periodo di prova
Altro punto importante affermato dalla Corte, in relazione al rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, è che il vizio funzionale, non genetico, del patto di prova «svolgendo i suoi effetti sul piano dell’inadempimento senza generare una nullità non prevista, non determina automaticamente la “conversione” in un rapporto a tempo indeterminato bensì, come ogni altro inadempimento, la richiesta del creditore di esecuzione del patto – ove possibile – ovvero di risarcimento del danno» (Cass. n. 31159/2018). Erroneamente, rileva la Cassazione nel caso in commento, il ricorrente sostiene che quel principio non potrebbe operare per l’impiego pubblico contrattualizzato nel quale, essendo la prova imposta per legge, che ne stabilisce anche le modalità, ogni vizio dell’esperimento, secondo l’assunto difensivo, determinerebbe nullità dell’atto di recesso con conseguente stabilizzazione del rapporto di lavoro. Al contrario, osservano i giudici, poiché la costituzione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni richiede necessariamente l’esito positivo della prova, sia in via generale (art. 17 del d.P.R. n. 487/1994) sia per lo speciale regime del reclutamento scolastico (artt. 437 e 440 del d.lgs. n. 297/1994), è solo a seguito della valutazione favorevole che si produce l’effetto della stabilizzazione del rapporto, e pertanto quell’effetto non può essere conseguito né in presenza di vizi genetici del contratto individuale, irrilevanti per le ragioni già esposte, né in conseguenza di vizi formali dell’atto di recesso o del procedimento (cfr., in motivazione, Cass. n. 31091/2018) né, infine, per l’asserita inadeguatezza delle modalità dell’esperimento. In dette ultime ipotesi, così come accade per il vizio funzionale della prova nell’impiego alle dipendenze di privati, non è utilmente esperibile un’azione volta ad ottenere l’accertamento della costituzione del rapporto a tempo indeterminato, e la tutela del dipendente resta limitata a quella risarcitoria, alla quale si affianca la possibilità di richiedere, a seconda del vizio denunciato, o la rinnovazione del procedimento e del giudizio, oppure un nuovo esperimento.
, 2022-03-10 07:48:00, La sentenza in commento della Cassazione 7587/2022 interviene sulla legittimità del giudizio espresso dall’Amministrazione in ordine al mancato superamento del periodo di prova di un docente. Ne estrapoliamo i punti più rilevanti.
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