Docente tutor, Bertagna: Sarà solo linizio di un vero cambiamento nellistruzione. Ecco perché non fallirà come accaduto con la Buona Scuola [INTERVISTA]

Docente tutor, Bertagna: Sarà solo linizio di un vero cambiamento nellistruzione. Ecco perché non fallirà come accaduto con la Buona Scuola [INTERVISTA]

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A partire dal prossimo settembre ci sarà una novità nel mondo della scuola, anzi due, come ha annunciato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara: arriveranno infatti il docente tutor e il docente orientatore.

Per parlare di queste due nuove figure e non solo la redazione di Orizzonte Scuola ha intervistato Giuseppe Bertagna, professore universitario a Bergamo, da poco in quiescenza, esperto di politiche scolastiche, consigliere del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, attuale direttore della rivista “Nuova Secondaria”

Con le Linee guida del dicembre scorso è stata introdotta la figura del docente tutor e del docente orientatore. Per il ministro Valditara si tratta di costruire un modello di scuola virtuoso che dovrà mettere in luce i talenti di ogni studente. Lei è d’accordo?

Certamente. E nella piena consapevolezza che siamo solo all’alba, mi auguro, di un giorno molto lungo che dovrà modificare, a poco a poco certo, ma con determinazione e condivisione sociale, i paradigmi tradizionali della nostra scuola. La scommessa è la personalizzazione degli apprendimenti, ovvero la capacitazione dei talenti di ogni studente, intesi come lievito del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, c. 2), rimuovendo gli ostacoli che lo comprimono (dispersione, demotivazione, abulia, acrasia, gerarchizzazione indebita tra attività formative, conoscenze staccate dalla vita). Un sistema che non vuole più chiedere agli studenti di adattarsi alle proprie regole precostituite, ma è competente nel contrario: adattarsi, per non perdere nessuno e per far scoprire a tutti la scholé dell’apprendere. L’orientatore è una figura da middle management per favorire questo processo. Il tutor inizia il percorso di una concezione docente che recupera la rousseaiana magisterialità pedagogica.

Saranno circa 40mila i docenti tutor con un compenso fino a 4.750 euro. La sua figura può essere accostata, con le dovute proporzioni, a quello del docente “esperto” della Buona Scuola. Secondo lei cosa si deve fare per evitare che finisca allo stesso modo?

Questi numeri perché il Pnrr ha reso obbligatoria la figura solo nel triennio delle secondarie, insieme al Portfolio per la valutazione narrativa delle competenze e per l’orientamento scolastico e professionale. Ma sembra naturale, a regime, immaginare tutor e Portfolio anche nel primo ciclo di istruzione e nei primi due anni del secondo ciclo. Servirà a questo scopo un grandissimo sforzo di formazione, aggiornamento e qualche volta di riconversione professionale dei docenti. Ma ci sono almeno tre ragioni per pensare che questa strada non si interrompa come 20 e 5 anni fa. La prima è la costituzione ex L. 79/99 della Scuola di Alta Formazione. La seconda che la rivoluzione digitale, fino a ChatGPT, e la crisi conclamata dei legami sociali intergenerazionali hanno reso ancora più urgente auspicare una relazione studente docente costante nel tempo e centrata non soltanto sulle conoscenze ma anche e soprattutto sul loro uso critico, esistenziale, formativo. La terza è un dato di fatto. Negli ultimi 10 anni tutti i comparti della PA hanno contratto il personale tra il 15 e il 25%. Lo 0,4% soltanto nella sanità, nonostante l’emergenza Covid. Il che è tutto dire. Nella scuola, nonostante l’inesorabile calo del numero degli studenti, invece, abbiamo avuto un aumento dei docenti pari al 15,4% (siamo a 925 000). Entro 15 anni avremo appena 5,5 milioni di studenti. Che si fa: si eliminano i posti in organico? Non è meglio invece riconvertire i docenti con un nuovo stato giuridico e costruire una nuova scuola, con nuove professionalità?   

Lei, in più di un’occasione, è intervenuto per definire “necessario” lo svecchiamento della classe insegnante. Secondo lei cosa occorre fare nel breve periodo?

Il periodo transitorio sarà lungo e in parte doloroso. Ma a regime, le risposte alla domanda sono solo tre. 1. Permettere ai giovani appassionati all’insegnamento di abilitarsi durante, non dopo il percorso accademico (come permette la L. 79/22). 2. Portare, come in ogni parte del mondo, la durata dell’istruzione pre terziaria obbligatoria per tutti a 12 anni, non lasciandola a 13, come fece Gentile cento anni fa. 3. Fare finalmente regolari concorsi annuali, seguiti da periodi di prova durante i quali scuola e università collaborino per la conferma in ruolo dei neofiti competenti.

Durante un confronto all’Accademia dei Lincei è emersa l’idea che gli studenti odiano la matematica per colpa della scuola. Ma è davvero così, il demerito è da attribuire soltanto alla preparazione degli insegnanti?

C’è sicuramente un problema di didattica. Non è vero che la matematica sia tale solo se astratta e formalistica. Anzi: per giungere ad essere davvero tale è chiamata ad essere un processo di apprendimento che illumina e allarga il senso problematico di ogni esperienza e vita quotidiane.

In tema di inclusione non si può non parlare della formazione dei docenti di sostegno. Il ministro Valditara ha più volte parlato di una riforma complessiva del settore. Lei che idea si è fatto, basta soltanto assumere più insegnanti per risolvere il problema?

Premesso che la situazione attuale è insostenibile (quasi la metà dei docenti è senza titolo specifico; la continuità didattica per i disabili è peggiore di quella ordinaria;  l’ingresso in ruolo sul sostegno resta ancora un mezzo per passare più rapidamente sull’insegnamento comune; la formazione dei docenti specializzati ha fortissimi squilibri territoriali e qualitativi) e premesso che nessuno ha la bacchetta magica per invertire tendenze incancrenite da decenni, distinguerei tra interventi tattici per l’emergenza (tipo quelli che il Mim  sta cercando di mettere in atto) e interventi strategici di prospettiva. Ed è su questi che manca purtroppo un dibattito approfondito e una visione condivisa. La quale non può essere che di lungo periodo. Personalmente l’ho proposta nel volume Per una scuola dell’inclusione. La pedagogia generale come pedagogia speciale (Studium, Roma 2022). Non pretendo di sicuro che possa essere l’unica. Ma ciò che mi preoccupa è che tra dieci anni, se le cose restano come sono, avremo una situazione ancora più inaccettabile. Per questo servono subito tattiche di contenimento dei problemi che non siano soltanto emergenziali, ma tappe di un organico disegno strategico di lungo periodo.  

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