Inviato da Claudia Ignazzi – Giorni fa, mentre leggevo un libro di un noto psichiatra italiano, mi sono soffermata sull’espressione “cibo per algoritmi”, utilizzata da un giornalista bielorusso, il quale aveva previsto che noi esseri umani avremmo corso il rischio rischio di diventare, appunto, cibo per algoritmi.
Sono un’insegnante precaria e come tantissimi altri insegnanti italiani mi ritrovo a non avere nessuna assegnazione per l’anno scolastico appena partito. Non userò questo spazio per lamentarmi, pur avendone tutte le ragioni, ma per riflettere su un sistema di reclutamento supplenti che oserei dire paradossale e, volendo metterla sul sentimentale, avvilente e svilente.
Sappiamo benissimo che da alcuni anni a questa parte il Ministero ha propeso per un sistema algoritmico nell’individuazione delle supplenze, mi correggo dei supplenti, persone in carne ed ossa che coprono le cattedre vuote, persone che contribuiscono non poco al funzionamento del sistema scolastico e che accettano , spesso, contratti che solo una gran passione per questo lavoro puo’ consentire. Un esercito di non titulaires, come li chiamano in Francia, che permette che ogni anno la macchina scuola si avvii… ero tentata dal terminare la frase con “nel migliore dei modi possibili” ma mi astengo perché no, non lo è.
Vado alle evidenze e a quegli aspetti del sistema nomine che ritengo difficilmente accettabili se si abbraccia un ragionamento che metta in primo piano la considerazione per le figure professionali e l’efficienza del sistema in questione.
Punto numero uno: chiedere agli aspiranti di compilare una domanda contenente le loro preferenze in anticipo rispetto alla pubblicazione dei posti disponibili mi sembra scorretto, è come entrare in un ristorante dove non ti è dato consultare il menù, tuo malgrado scegli quello che ti piacerebbe, confidando nel grado di preparazione del cuoco e nella capacità del ristorante di offrire un menù vario, per poi sentirti dire dal cameriere che tutto quello che vuoi o è esaurito oppure c’era nel menù, ma in quello dell’anno prima. Rimangono però delle briciole di pane, tante briciole di pane. Chi sarebbe entusiasta di entrare in un ristorante che funziona così?
Punto numero due: l’algoritmo. Davvero fatico a comprendere perché l’algoritmo nel secondo turno di nomine debba ripartire da dove si è fermato per completare le cattedre non coperte, perché? Vorrei mi fosse data però una risposta che si rifaccia ai principi di giustizia e meritocrazia. Se l’algoritmo non torna indietro ma va avanti e scorre, scorre fino in fondo alla graduatoria per poi, solo allora, risalire, succede che i primi della graduatoria, quelli con i punteggi più alti, avranno possibilità remotissime di essere ripescati perché tra il punto in cui si è fermato l’algoritmo e i primi posti in graduatoria ci sono spesso centinaia di candidati, tra i quali quelli che otterranno la cattedra con punteggi bassi. Ed è qui che sta l’assurdità: a che serve quindi il punteggio? A che serve avere anni e anni di esperienza con tanto di aggiornamenti e studio per ottenere ulteriori competenze aggiuntive se poi il punteggio è relativo?
Eppure nonostante queste macroscopiche contraddizioni del sistema, i supplenti resistono stringono i denti, si adattano, anno dopo anno.
Ma come si puo’ avere una scuola di qualità se una parte consistente del personale lavora stringendo i denti, adattandosi a delle regole che cambiano in continuazione? Si puo’ insegnare bene in uno stato di incertezza regolare? In uno stato in cui senti di essere un numero e non un capitale umano che va tutelato e la cui dignità deve essere un esempio per le nuove generazioni? Nella mia carriera ventennale ( ho svolto gran parte del mio lavoro in scuole paritarie) ho capito che il primo degli insegnamenti, che si sia insegnante, genitore o dirigente, è l’esempio, pertanto mi chiedo che tipo di esempio diamo ai giovani accettando un meccanismo che non riconosce, o solo a momenti, le nostre competenze. Vogliamo veramente diventare cibo per algoritmi, vogliamo veramente andare verso la creazione di una società disumanizzata ?
Io so che non voglio avallare questo sistema, so solo che per me l’insegnamento ha un valore inestimabile e chi ne ha le doti ha il diritto dovere di trovare una situazione adeguata, anche dal punto di vista economico perché, diciamolo chiaro e tondo, lo stipendio è esso stesso gratificazione, riconoscimento per un lavoro svolto con professionalità e responsabilità. Passione per un lavoro non significa accettare tutto, anzi. Questo è l’insegnamento che ho tratto dall’esperienza nella scuola.
La mia speranza è che gli insegnanti davvero si rifiutino di essere ancora cibo per algoritmi, che i sindacati,tutti, riconoscano l’urgenza di cambiare una procedura che scontenta un po’ tutti, è evidente, viste e considerate le innumerevoli lamentele che si possono leggere un po’ ovunque.
Nell’attesa di una convocazione accettabile dalle GI, perché convocazioni che mettono in palio ore residue ( 4-6 settimanali) a 40 km da casa, oppure 5 ore divise in 5 giorni non sono accettabili a mio avviso, mi prenderò il tempo per capire il da farsi, il che include anche l’abbandono di un percorso che ho tanto amato ma che presenta delle criticità su cui non posso e non voglio sorvolare.
Mi trovo spesso a ripetere che tutto ciò che non è reciproco è in fondo inutile. Le mie energie, la mia consapevolezza, le competenze acquisite (non considerate dal Ministero, visto che sono la numero 3 in una graduatoria di 500 posizioni) e quelle che potrò acquisire mi traghetteranno probabilmente verso nuovi lidi. Spero che l’amaro in bocca lasci presto il posto al gradevole gusto di un lavoro rispettato e tutelato.
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