Eppure ci sarebbero alcune cose chiare e fattibili per migliorare il rendimento scolastico dei nostri ragazzi. Provo a farne un elenco: ridurre drasticamente il numero di alunni per classe, vietare, almeno a scuola, almeno sino alla prima superiore, l’uso di qualsiasi marchingegno informatico; fare in modo che i docenti svolgano con maggiore serenità il proprio lavoro. Tre punti ineludibili, qualora si voglia fare della scuola un luogo in cui apprendere proficuamente.
Partiamo dal primo punto e chiariamo cosa, secondo noi, significhi “drasticamente”: giusto sarà quel numero di studenti che, in ogni classe, consenta una comunicazione circolare, che passi tra tutti i componenti del gruppo e che venga indirizzata e coordinata dall’insegnante.
In alcune situazioni si potrà arrivare a quindici studenti, in altre non dovranno essere più di cinque, a seconda delle difficoltà che pone il contesto. La cosa fondamentale è che ogni alunno abbia diritto di parola e che anche chi è timido, svantaggiato dall’estrazione socio-culturale, in difficoltà per qualsiasi motivo non si senta mai escluso dal gruppo. Soprattutto, l’adulto dovrà dar ascolto a tutti e rispondere ad ogni richiesta; cosa fattibile soltanto in una classe numericamente ridotta.
Secondo punto: divieto nell’uso a scuola dei media digitali, almeno sino al secondo anno di scuola superiore. Basta informarsi e leggere le ricerche dei neuroscienziati rispetto all’effetto devastante dei media digitali sullo sviluppo dei più giovani. Basta chiedersi come mai la distrazione si sia impadronita della maggior parte dei nostri ragazzi, basta chiedersi come mai le diagnosi di dislessia, disgrafia, discalculia siano in continuo aumento. Una volta la “grande distrattrice” e la “cattiva maestra” era la televisione; non ho bisogno di dimostrare quanto essa fosse meno invasiva di uno smartphone.
Terzo punto: fare in modo che i docenti svolgano con maggiore serenità il proprio lavoro. Lo sviluppo di questo punto non è difficile, ma piuttosto lungo. Mi limiterò all’essenziale. Visto che tanti nostri politici e tutti i ministri dell’istruzione (pubblica, liscia o meritevole) sono convinti che la scuola sia importante per il Paese, si cominci con il mantenere la fatidica promessa degli stipendi europei; poi si snellisca l’inutile lavoro burocratico, un vero e proprio esoscheletro che è cresciuto a dismisura negli anni; si punti ad una seria preparazione professionale dei docenti, senza angariarli con le più strampalate “metodologie didattiche”; non li si tenga in cattedra sino a 67 anni e si preveda la possibilità per tutti di anni sabbatici che interrompano la faticosa routine dell’insegnamento e consentano un reale aggiornamento.
Va da sé che qui non si sta abbozzando l’ennesima riforma della scuola italiana (in un ventennio ne abbiamo avute cinque!). Si vuole piuttosto mettere in luce cosa alla scuola servirebbe davvero e stigmatizzare l’ennesima trovata (questa volta a firma Valditara), che, in ossequio alle esose richieste del PNRR e dell’Europa, vuole introdurre, al fine di migliorare il percorso scolastico, la figura del tutor e del docente orientatore. In questi giorni ne abbiamo sentito parlare piuttosto confusamente; le stesse circolari ministeriali fanno parziale chiarezza sull’argomento.
Si comprende che 40.000 docenti, tutor e orientatori, supporteranno gli studenti di circa 70.000 classi dell’ultimo triennio; i primi stanziamenti ammontano a 150 milioni di euro. Recentemente il ministro Giuseppe Valditara ha chiarito che per i docenti tutor ci saranno 4.750 euro per l’attività curricolare (ha dimenticato di dire che la cifra oscillerà tra un minimo di 2.850 e un massimo di 4:750 e che le cifre sono lordo Stato); invece per l’attività extra curricolare pomeridiana, sono stati stimati 3 mila euro ulteriori. Come faranno i tutor a svolgere la loro attività in orario curricolare? E a chi verranno affidate le attività pomeridiane? Riportiamo le parole del ministro, che dice trattarsi di “una grande sfida, perché vuol dire che nel pomeriggio i ragazzi avranno la possibilità di approfondire e studiare con degli insegnanti che saranno appositamente pagati nell’ambito del coordinamento dei tutor, d’intesa con tutti gli altri docenti della classe, per personalizzare l’insegnamento”. Quando si dice non aver il senso della realtà! Gli insegnanti “del pomeriggio” dovranno agire “d’intesa” con il tutor e con tutti gli altri docenti della classe; se si prendono sul serio queste parole vuol dire che un intero consiglio di classe dovrà coordinarsi con il tutor e che l’insegnante “del pomeriggio” dovrà coordinarsi con tutor e consiglio di classe. Pur essendo favorevole al lavoro cooperativo, ne vedo le difficoltà nella cornice iper-burocratica e sgangherata delle nostre scuole.
Porto un esempio: ai tempi dell’organico aggiuntivo accadde nella mia scuola quello che penso sia accaduto anche altrove. Insegnanti senza classi, che si sentivano deprivati e catapultati nella “serie zeta” docente, passavano il tempo a lamentarsi che non avevano niente di preciso da fare. Mi venne l’idea di coinvolgere una collega della mia stessa materia nel faticoso compito di seguire le “tesine” per la maturità. Concordammo i criteri e poi le affidai il pacco di bozze di tesine da seguire e correggere.
Il risultato fu che dovetti ingegnarmi per non offendere la collega e non consegnare ai miei studenti lavori corretti in modo assai discutibile. Insomma, vista la forte differenza di età, preparazione professionale, conoscenze culturali tra insegnante ed insegnante o si passa ad altro modo di lavorare, in cui il confronto aiuti il più debole a rafforzarsi o “l’agire d’intesa” è una frase senza senso comune.
Torniamo ai numeri: ogni tutor dovrà occuparsi di trenta-cinquanta studenti, che spesso non saranno suoi allievi. Come potrà avere un occhio più acuto ed attento rispetto agli insegnanti della classe che li seguono con continuità e ne vedono le prestazioni scolastiche giorno dopo giorno? Per giunta il tutor dovrà comunque fare il suo lavoro di insegnante e ad oggi pare chiaro che non siano previsti esoneri.
Alle diciotto ore di insegnamento ne dovrà aggiungere altre (quante non è detto), naturalmente dopo essersi fatto carico di una “formazione” in cui gli verranno svelati gli arcani del “tutoraggio”. Insomma, al momento le idee sono vaghe e i docenti – pare – piuttosto sospettosi. Tant’è che il ministro Valditara ha aggiunto un altro stimolo: verrà riconosciuto a chi svolgerà le attività di docente tutor e orientatore un punteggio aggiuntivo ai fini della mobilità e delle graduatorie interne, punteggio che sarà da definirsi in sede di contrattazione integrativa.
Non raccontiamoci “favole”: tutor e orientatori li vuole il PNRR. Ciò che servirebbe davvero alla scuola sono tutt’altro che le ennesime “figure”, che potrebbero funzionare soltanto se dotate di poteri taumaturgici.
Invece, i tre punti con cui abbiamo iniziato questo articolo, pur sembrando utopistici, sono tutti realizzabili. Darebbero buoni risultati, liberando, in un certo arco di tempo, la scuola dai miti che attualmente la affliggono: il mito delle riforme “a costo zero”, il mito tecno-burocratico, il mito dell’insegnamento come dedizione assoluta e senza ricompensa concreta e infine il mito degli “esperti”, si chiamino essi animatori tecnologici, orientatori o tutor.
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