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Incontriamo don Giuseppe Costa, autore di “Girovagando tra cronache ed eventi. Quarant’anni di giornalismo”, una raccolta di articoli che sono best practices per chi vuole apprendere il mestiere di giornalista, “l’espressione di un quarantennale cammino fatto di curiosità, eventi ed incontri soprattutto con persone che oltre ad aprirti il loro cuore all’amicizia ti hanno teso una mano di aiuto”, scrive don Costa. “Ai tanti giovani che affollano i corsi di giornalismo, alla ricerca di un futuro posto di lavoro sempre più arduo e raro, va forse detto che il giornalista di ogni giorno non è l’uomo dello spettacolo e dell’immagine, ma quello di una professione da costruire con buoni studi e con altrettanta pratica. Va anche raccontato della dura ferialità di un dovere quotidiano, da coniugare sì con la novità di un prodotto che si rinnova ad ogni dispaccio d’agenzia, ma soprattutto con parole che si chiamano coscienza, responsabilità sociale e obiettività”.
Scrivere o far scrivere è stato per anni il suo lavoro quotidiano da giornalista e da editore. Qual è la sua visione del giornalismo?
“La mia visione è quella di un giornalismo dalla forte dimensione sociale e politica: il giornalismo è nato, sia nel contesto europeo che americano, quando sorgevano le prime democrazie, le prime battaglie per i diritti umani. Il ruolo di servizio sociale è stato evidente sin dall’inizio, è nel DNA del giornalismo. E’ un principio che per me persiste anche oggi. E da ciò si conferma l’importanza della presenza dell’Ordine dei Giornalisti e delle scuole di giornalismo, a garanzia dell’identità del giornalismo: senza un apprendimento di norme e di stile – che poi ognuno coniuga con la propria esperienza e con i propri maestri – non ci si può avventurare nella professione. Un giovane che vuole fare giornalismo deve mettersi nella condizione di prepararsi. Vuol fare l’inviato? Non basta viaggiare: deve imparare a leggere la realtà, ad usare un linguaggio specifico che attenzione la politica, la gastronomia, i costumi, la cultura…da qui l’importanza dei settori nel giornalismo”.
Il suo libro racconta anche un poco la sua vita. Sacerdote dal ’74, ha sempre affiancato giornalismo, educazione e sacerdozio…
“Nel 1991 ero totalmente immerso nel mondo giornalistico cattolico e con me anche Il Bollettino Salesiano era cresciuto. Proprio quell’anno il Rettor Maggiore mi propose di insegnare alla Facoltà di Scienze della Comunicazione che intanto era stata aperta presso l’Università Pontificia Salesiana. Lo stesso anno a fine novembre 1991 partii per gli Stati Uniti allo scopo di conseguire un Master di valore accademico presso la Marquette University dei Gesuiti a Milwaukee, sede della più antica scuola di giornalismo cattolico d’America. Ben presto imparai che valeva la pena sopportare il freddo del Lago Michigan in cambio della conoscenza del mondo universitario americano con stage a Notre Dame (lndiana), Catholic University (Washington) e Stanford University (Palo Alto). Conobbi poi con il mio advisor e maestro William Thorn i media americani con tutti i loro dinamismi. […] Tornato in Italia alla fine del 1994 mi fu chiesto di insegnare all’Università ma al tempo stesso di dirigere come direttore editoriale la Società Editrice Internazionale di Torino”.
Un’esperienza nella quale incontrò grandi autori…
“Sempre incoraggiato da don Egidio Viganò mi tuffai con ‘coraggio e speranza’ in quel lavoro creando nuove collane di varia e narrativa, sperimentando nuovi libri di didattica scolastica ed incontrando soprattutto autori come Sergio Zavoli, Vittorio Messori, Giovanna Joli, Joli, Melo Freni, Ilario Fiore, Demetrio Volcic, Cataldo Naro, Pietro Borzomati, Francesco Traniello, Giorgio Cracco, Lelia Cracco Ruggini, Solfaroli Gianluca Camillocci, Rosa Poggio ed altri sempre accompagnati da esperti come Marco Garena. […] La morte del Rettor Maggiore don Egidio Viganò con il seguito cambio della governance salesiana, proprietà della Sei, portò a decisioni diverse sul futuro dell’editrice ed io fui invitato a insegnare a tempo pieno alla Salesiana di Roma. Qui come professore straordinario di teoria e tecnica del giornalismo e di editoria rimasi fino al 2007 cercando di trasferire quanto avevo appreso nella pratica giornalistica e in America. lnsegnai anche per tre anni all’Università di Catania (Facoltà di lingue Comunicazione internazionale) e Luiss di Roma (Corso di giornalismo religioso). Ritornai a tempo pieno all’editoria nel 2007 presso la Libreria Editrice Vaticana. Vi rimasi per dieci anni. Conoscere da vicino i papi Benedetto XVI e Francesco, condividerne pareri e sentirne opinioni editoriali e soprattutto tradurre in libri per il mercato editoriale internazionale è stata per me una grande sfida che oggi posso dire d’aver vinta a servizio della Chiesa. Sono stati anni di grande attività internazionale con contatti e contratti fra i più alti ai quali l’editoria può aspirare. E il mestiere di giornalista? Beh, mi è rimasto tra le mani. Libri, relazioni, incontri. Una infinità di “pezzi” dalle cronache più varie che ho riportato in questo libro. Certo qui mancano gli articoli del Bollettino Salesiano facilmente rinvenibili in biblioteche o in siti salesiani. La raccolta in ogni caso è l’espressione di un quarantennale cammino fatto di curiosità, eventi ed incontri soprattutto con persone che oltre ad aprirti il loro cuore all’amicizia ti hanno teso una mano di aiuto”.
I giovani. Nel suo libro, lei scrive: “Protagonisti o succubi? Non è facile dare una risposta netta: la frammentarietà della situazione giovanile in una realtà sociale di transizione rende pressoché impossibile ogni generalizzazione e descrizione obiettiva. Il contesto sociale in cui i giovani si muovono, specie quelli tra i quindici e vent’anni, li condiziona e al contempo li stimola”
“I giovani di oggi, specialmente i nativi digitali (come si diceva una volta) usano con facilità le tecnologie ma spesso in modo non legato alla conoscenza degli oggetti analizzati. Spesso vivono solo una parte dell’informazione, data dal sentimento, ma non dalla razionalità, da uno studio approfondito di confronto con la realtà per arrivare alla verità. Gli articoli che l’editore mi ha chiesto di mettere insieme hanno una vocazione educativo pedagogica verso i giornalisti, non per limitarli ma per esaltarne il ruolo sociale. Sono articoli nati da un atteggiamento interiore, da parte mia, volto al cercare notizie costruttive e positive. Mi sono sempre esercitato”.
Lei cita Giovanni Paolo II: di fronte alla logica del “tutto e subito” e dell’“usa e getta” consumistico il Papa ha spesso ricordato un testo della Gaudium et Spes: “L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Cosa può fare la scuola?
“Bisogna ripartire nel dare ai nostri giovani punti di riferimento veri. La vita ha un’alfa e un’omega ed in mezzo uno spazio dove spendere i propri talenti, dove far fruttificare le proprie tendenze positive per contribuire alla costruzione della società. Gli episodi di violenza nelle scuole, che leggiamo nelle cronache, sono posti in atto da ragazzi che non hanno la possibilità non solo di realizzare ma neanche di pensare ad un progetto di vita. Pur avendo avuto tutto, sono mancati loro quei riferimenti necessari per sviluppare le finalità umane e personali necessarie per costruire la democrazia”.
Colpa dei genitori?
“In parte sì, perché in molti casi, in anni lontani molti hanno lasciato il proprio ruolo educativo: essere genitori è un fatto impegnativo, di dialogo, di costruzione, di verifica”,
Sempre citando Papa Giovanni Paolo II, lei scrive che un terzo principio è dato dal diritto all’affermazione e al protagonismo dello stesso giovane cui va data fiducia da parte degli educatori mentre un quarto principio viene dalla stessa definizione che il Papa al numero 137 di “Varcare la soglia della speranza”, attribuisce alla giovinezza. Cosa possono fare i docenti?
“Tanto. La scuola è un incubatore, un settore dove l’esperienza, il laboratorio possono dare sensazioni e conoscenze positive. La scuola ha però bisogno di più dedizione, di una maggiore collaborazione tra genitori e docenti, di una valorizzazione degli insegnanti. Spesso i genitori si scagliano contro i docenti difendendo i figli a spada tratta senza aver neanche verificato i fatti”.
C’è una linea di continuità tra l’essere giornalisti e l’essere insegnanti?
“Il giornalista è sicuramente anche un insegnante quando sa riferire la verità dei fatti e se sa distinguere i fatti dalle opinioni. Il ruolo del giornalismo è sempre importante anche se deve essere chiaro che non tutta l’informazione è giornalismo”.
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