Due milioni di donne straniere ma manca il lavoro. Sono penalizzate due volte

Due milioni di donne straniere ma manca il lavoro. Sono penalizzate due volte

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di Paolo Riva

In Italia sono due milioni e mezzo. Ismu e il progetto europeo Grase contro gli stereotipi. La difficolt di farsi riconoscere le qualifiche, i contratti peggiori rispetto alla media. Le risorse del Pnrr, la chiave della formazione

Per le donne straniere, lavorare in Italia significa subire una doppia penalizzazione. Perch sono donne e perch sono straniere, spiega Chiara Tronchin della Fondazione Leone Moressa. Il nostro Paese ha storicamente tassi di occupazione femminile al di sotto della media occidentale e riserva agli stranieri condizioni di lavoro difficili: mansioni umili, stipendi bassi, contratti precari, a volte nero e sfruttamento. Date queste premesse facile capire come, per i circa due milioni e mezzo di cittadine straniere che vivono in Italia, trovare e mantenere un’occupazione sia una scommessa complicata. Che riguarda spesso anche chi, dopo un’esperienza migratoria personale o famigliare, ormai cittadina italiana.

Eppure, anche in quadro cos complesso, ci sono organizzazioni che provano a migliorare le cose. Sulle possibilit lavorative delle donne migranti – dice Emanuela Bonini di Ismu – esistono stereotipi molto forti. Come l’idea che chi ha lasciato il suo Paese si accontenti di qualsiasi mansione o come la convinzione che, soprattutto le donne di certe nazionalit, siano inevitabilmente destinate ai lavori di cura. Bonini responsabile del progetto europeo Grase, che ha come obiettivo superare proprio questi stereotipi, tanto radicati da agire anche senza che le persone se ne rendano conto. Secondo la ricercatrice questi preconcetti riguardano sia le donne appena arrivate sia chi qui da tempo e, a volte, anche chi italiana perch ha acquisito la cittadinanza o perch nata nel nostro Paese. E hanno forti conseguenze: Queste donne faticano a farsi riconoscere le qualifiche, devono dimostrare di avere competenze elevate anche quando il posto non lo richiederebbe oppure, a parit di Cv con una concorrente italiana – esemplifica – semplicemente non vengono scelte.

Cercare un posto di lavoro, quindi, difficile. Ma lo anche riuscire a mantenerlo. Per diverse ragioni, due in particolare. Una la precariet. Per esempio, riprende Tronchin, le donne straniere hanno risentito della pandemia molto di pi di tutte le altre categorie. Nel 2020 le lavoratrici non italiane sono diminuite in misura pi alta rispetto sia agli immigrati uomini (-10 per cento a fronte di -3,5) sia alle donne italiane (-1,6 per cento). Molto dipeso dai settori: commercio e turismo hanno numerose impiegate straniere e hanno sofferto fortemente le chiusure anti Covid. Molto per anche dai tipi di contratti, poco tutelati e tutelanti, spesso temporanei, che sono stati i primi a saltare nel momento di difficolt. E che sono rimasti molto diffusi anche quando l’economia tornata a crescere. Un’altra ragione sono le condizioni di lavoro. Ronke Oluwadare una psicologa del lavoro italiana di origine nigeriana e spiega che molte donne straniere non hanno la possibilit di lasciare il loro posto, anche se evidente che quella occupazione le fa stare male. Secondo l’esperienza di Oluwadare, queste donne mantengono i figli, a volte i mariti, altre volte i parenti nel loro Paese di origine, ma lo fanno con un malessere incredibile: vivono in un costante stato di ansia che non si vede sul lavoro fino a che la corda si spezza.

Un quadro di questo tipo ha parecchie conseguenze negative. Da un lato le donne straniere o con background migratorio finiscono per ritrovarsi a lavorare in quei settori che il pregiudizio sceglie per loro, con un notevole spreco di talento e risorse umane. Pensiamo alle donne straniere relegate nei servizi, come domestiche o badanti, ma in realt ci sono anche operaie e artigiane. Altre professioni esistono e sono in crescita, riflette Tronchin. Dall’altro lato, chi pu, se ne va, come spiega Bonini: Si spostano in altri Paesi, dove ci sono maggiori possibilit. Chi rimane ha meno risorse e finisce davvero per accontentarsi, per accettare anche il nero o lo sfruttamento. un circolo vizioso, un meccanismo perverso che, secondo Bonini, va rotto attraverso la formazione, quella di Grase. Il progetto di Ismu ha coinvolto professionisti dei servizi di consulenza e orientamento professionale per costruire dei kit di domande e risposte. Sono strumenti pratici che questi professionisti possono usare quando si trovano davanti una donna migrante per verificare se stanno effettivamente superando oppure no i loro stereotipi, continua Bonini.

Un problema tanto complesso, ovviamente, non ha una sola soluzione. Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza post pandemia, stanzia per esempio importanti risorse per l’occupazione femminile e questo, secondo Tronchin, potrebbe avere ricadute positive anche sulle donne straniere. Servono per anche interventi ad hoc, come il riconoscimento dei titoli di studio o percorsi di accompagnamento per quelle comunit che fanno pi fatica, per questioni linguistiche o culturali, spiega la ricercatrice di Fondazione Moressa. Oluwadare, per, torna sull’importanza della formazione e della preparazione necessarie per creare ambienti di lavoro sani non solo per donne straniere o con background migratorio, ma per tutte e tutti. Formarsi necessario. Ci che serve – conclude – una selezione del personale priva di pregiudizi. una questione tecnica. Di persone straniere o con background migratorio che sanno fare cose ce ne sono tantissime. tempo di guardarle con gli occhi giusti.

25 febbraio 2023 (modifica il 26 febbraio 2023 | 02:35)

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