«Ecco la città lamiera». Un film-denuncia sull’inferno dei braccianti

di Marta Ghezzi

Nelle sale il lavoro del regista Olmo Parenti. La vita a Borgo Mezzanone, nel Foggiano. Le porte in faccia e poi il Premio Cipputi

La voce fuori campo, in inglese, chiede diretta, «da quanto tempo non stai con una donna?». Un sorriso quasi impercettibile, poi il ragazzo risponde, «molto, molto tempo». È sera, fuori è buio, la sua casa non ha elettricità e allora per illuminare lui usa una pila frontale. L’inquadratura è spiazzante, è semisdraiato, circondato da abiti e scarpe e con quel faro acceso sopra agli occhi che continua a ballare. Non c’è un tavolo, un divano, un armadio: la casa è un’auto con i sedili reclinati. «Anche se trovassi una ragazza come farei, vivo dentro questa macchina», aggiunge. Più avanti, lo si vedrà farsi una doccia.

All’aria aperta, in una tenda improvvisata, lui che si insapona incurante della temperatura, ogni giorno l’acqua scrosta la terra e rimuove fatica e umiliazioni. « Se sei pulito la gente ti viene vicino, se sei sporco si allontana, con la distanza non costruisci il futuro», dice sicuro. Intanto il presente è una città di lamiera, ignobile, dove si dorme e si mangia in ricoveri di fortuna. «It’s hell, è l’inferno», dice chi ci abita. «Non è l’Italia», pensa lo spettatore. E invece lo è: Borgo Mezzanone, provincia di Foggia, quattromila migranti, senegalesi, ghanesi, nigeriani, tutti giovani, ventenni, trentenni. Il lungometraggio «One Day One Day», girato nella baraccopoli più grande del nostro Paese, non è un’inchiesta sul caporalato ma un racconto senza filtri sulla vita dei braccianti agricoli, «è lo sguardo in soggettiva su chi rimane invisibile alla società» dichiara il regista Olmo Parenti.

Under 30

Anche lui è giovane, come i componenti del collettivo «A thing by» co-produttori insieme a Will Studio del documentario, Parenti che compirà 29 anni a fine dicembre è il maggiore d’età. Il progetto è nato durante la manifestazione per George Floyd, l’afroamericano ucciso a Minneapolis nel 2020 dalla polizia. «Mi è scattato qualcosa dentro», rivela Parenti, «il documentario sulla vita dei migranti che ci fanno arrivare la verdura tutti i giorni sulla tavola è la mia forma di attivismo». Le riprese in Puglia sono durate un anno, terminate a giugno del 2021.

Giusto un paio di mesi per montare e «One day One Day» in autunno era pronto per la distribuzione. «Non era il nostro primo lavoro, sapevamo come muoverci, abbiamo fatto il classico giro, tv, piattaforme, festival, produzioni cinematografiche», sottolinea Parenti. «La risposta? Univoca: “bravi, lavoro notevole, non ci interessa”». Sei mesi di porte in faccia, poi la scelta di non tenerlo nel cassetto ma farlo girare nelle scuole, «mostrarlo a chi non ha ancora imparato a voltare lo sguardo, cinquecento richieste in pochi giorni, causa budget abbiamo presenziato solo nei primi quindici istituti, poi proiezioni via zoom».

A quel punto, però, la voce si era sparsa. «Dopo aver tastato il terreno via social, dodicimila risposte positive, abbiamo lanciato una richiesta, fare pressione sui cinema di quartiere, solo così avremmo potuto ovviare alla mancanza di un distributore». E finalmente il film che descrive la vita durissima nel ghetto foggiano, «l’unica che puoi permetterti se non hai i documenti e non puoi affittare, aprire un conto, avere accesso ai servizi e per forza di cose finisci nel solo posto pronto ad accoglierti, una vergogna che resiste da venti anni», è uscito nelle sale. Il lungometraggio, che si è aggiudicato il Premio Cipputi, è in tour fino ai primi di ottobre. «Poi ci prendiamo una pausa», dichiara il regista. «Dobbiamo decidere: continuare a girare e a proporre dibattiti dopo la visione, oppure farlo circolare su una piattaforma, ora c’è interesse, che assicurerebbe un pubblico più ampio».

27 settembre 2022 (modifica il 27 settembre 2022 | 16:12)

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, 2022-09-28 04:36:00, Nelle sale il lavoro del regista Olmo Parenti. La vita a Borgo Mezzanone, nel Foggiano. Le porte in faccia e poi il Premio Cipputi, Marta Ghezzi

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