Economia: Pensioni, calcolo contributivo: un brutto colpo ai giovani. La guida in edicola gratis il 14 febbraio

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di Domenico e Leonardo Comegna12 feb 2022

Una guida scritta con un linguaggio semplice e che analizza i requisiti e le regole previste per i principali trattamenti previdenziali erogati dall’Inps: pensione anticipata, ex anzianità, vecchiaia, reversibilità. Lunedì 14 febbraio, in edicola gratis con il Corriere, arriva la seconda puntata del vademecum Andare in pensione (come e con quanto), con un focus speciale dedicato ai giovani e il loro destino pensionistico.

Chi andrà in pensione nel 2022

Chi va in pensione dal 2022 deve accontentarsi di un assegno più leggero per la quota contributiva rispetto a chi ci è andato negli anni precedenti. Nel 2021, infatti, sono scattati i nuovi coefficienti di trasformazione del capitale accumulato nel corso della vita lavorativa, i moltiplicatori che servono per calcolare l’importo della rendita determinata con il «metodo contributivo». Rispetto ai valori utilizzati sino al 31 dicembre 2020, i nuovi coefficienti, validi anche per tutto il 2022, hanno fatto registrare una riduzione che a seconda dell’età di accesso al pensionamento, varia da un minimo 0,33% a un massimo dello 0,72%. Un calo tutto sommato modesto, considerato che rispetto a quelli originari della riforma Dini del 1995, sono calati complessivamente di oltre il 12% ed è questo calo, evidentemente, che produce il taglio delle rendite. Soltanto restando al lavoro qualche anno in più si realizzano performance migliori in termini di pensione più consistente. Il governo, ha detto il premier Draghi, è pronto ad avviare un «cantiere» per discutere di una possibile riforma. Purché non sia messo in discussione il «metodo contributivo», che costituisce la sostenibilità del sistema nel medio e nel lungo periodo e all’interno del contesto europeo.

La riforma Dini

Il sistema contributivo di calcolo della pensione è il perno su cui ruota la famosa riforma Dini del 1995. In questo regime, la pensione cui si ha diritto è strettamente collegata alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa, e non agli stipendi dell’ultimo periodo come avviene con il sistema retributivo. Dato che gli ultimi stipendi sono, in genere, i più elevati è facile intuire come il criterio contributivo risulti assai meno conveniente. Lo scopo di questo meccanismo di calcolo è stato introdotto proprio per riequilibrare, una volta entrato a pieno regime, la spesa previdenziale, che nell’ultimo ventennio ha raggiunto livelli insostenibili.

Come funziona

Il sistema contributivo funziona, grosso modo, come un libretto di risparmio. Il lavoratore provvede, con il concorso dell’azienda, ad accantonare annualmente il 33% del proprio stipendio (i lavoratori autonomi il 24% del reddito). Il capitale versato produce una sorta di interesse composto, a un tasso legato alla dinamica quinquennale del Pil (il Prodotto interno lordo) e all’inflazione. Si può dire, quindi, che più cresce l’Azienda Italia, maggiori saranno le rendite su cui si potrà contare.

C’è anche il massimale

Il sistema contributivo si differenzia da quello retributivo anche su un altro punto fondamentale: l’esistenza di un tetto contributivo-pensionabile. In pratica, un limite oltre il quale non sono dovuti i contributi. Allo stesso tempo, la quota di retribuzione che eccede il tetto non darà alcun beneficio in termini di pensione. Il massimale viene annualmente rivalutato sulla base dell’indice Istat dei prezzi al consumo. Il valore utile per l’anno 2022 è pari a 105.014 euro. Questo significa, ad esempio, che la quota pensionistica di accantonamento annuo nel 2022 non può superare 34.655 euro per i dipendenti e i 25.204 euro per gli artigiani e commercianti, rispettivamente il 33% ed il 24% del tetto.

Il coefficiente di conversione

Alla data del pensionamento al montante contributivo, ossia la somma rivalutata dei versamenti effettuati, si applica un «coefficiente di conversione» che cresce con l’aumentare dell’età. Il coefficiente, ad esempio, è pari al 4,186%, per chi chiede la rendita a 57 anni (perché divenuto invalido, ad esempio), sale al 4,770% per chi resiste al lavoro fino a 62 anni e al 5,575% se si decide di arrivare fino a 67 anni.

L’ultimo giro di vite

Si tratta della quinta revisione e tutte sono state negative. Un esempio per capire. Per un lavoratore che lascia a 65 anni d’età con 100 mila euro di contributi accumulati (il tesoretto, appunto), la pensione si è abbassata in questi anni di oltre 900 euro: mentre nel 2009 è stata di 6.136 euro, nel 2021 è stata di 5.245 euro e nel 2022 è di 5.220 euro.

Colpiti soprattutto i giovani

La questione interessa da vicino i giovani. Ossia coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, caratterizzati da carriere discontinue, con conseguenti vuoti contributivi. Non a caso si parla di «pensione di garanzia», ossia il trattamento minimo che con l’attuale normativa non è previsto.

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