Anche oggi le cronache ci raccontano la sortita di un noto personaggio pubblico che parla di educazione affettiva: l’influencer Chiara Ferragni ha ripreso l’ultimo monologo di Luciana Littizzetto per ribadire che l’educazione affettiva e sessuale devono essere materia obbligatoria in tutte le scuole.
Qualche giorno fa anche l’attrice-regista Paola Cortellesi si era espressa con parole analoghe aggiungendo persino che il voto in educazione affettiva deve fare media con quello delle altre materie.
Con il dovuto rispetto per i personaggi pubblici citati va detto che si tratta di opinioni che, seppure suggestive, non hanno il minimo fondamento pedagogico e scientifico, anzi sono – a parere di chi scrive – autentiche sciocchezze.
Anche un insegnante alle prime armi sa benissimo che l’educazione all’affettività non è una “materia” e non lo è per il semplicissimo motivo che non ha un suo “statuto epistemologico” come hanno invece discipline quali la fisica, la storia, la matematica o la musica.
L’educazione all’affettività non può essere definita in termine di competenze e di conoscenze e quindi, anche volendo, è impossibile “dare un voto” al termine del percorso.
Cosa diversa, ovviamente è se si volesse in “valutare” in che misura i comportamenti emotivi ed affettivi degli alunni sono congruenti con gli obiettivi educativi che ci si propone: ma questa è tutt’altra questione.
Ma queste sono cose che i docenti sanno bene e pertanto non è neppure il caso di soffermarvici troppo. Siamo convinti che di docenti che pensino di “dare il voto” di educazione affettiva agli alunni, come vorrebbero Cortellesi e altri, non ce ne siano proprio.
Se è così, verrebbe da dire, non c’è da preoccuparsi.
Il rischio: la deresponsabilizzazione delle famiglie
In realtà non è così, anzi c’è da preoccuparsi molto perché il rischio che l’opinione pubblica e soprattutto i genitori siano troppo peso a queste “esternazioni” incrementando così la confusione che purtroppo già c’è sui temi della scuola e dell’educazione.
In particolare credo che il rischio sia che le famiglie si sentano ulteriormente deresponsabilizzate e possano tendere ad “addebitare” alla scuola le carenze emotive ed affettive dei figli.
Ora, è evidente che sarebbe sbagliato valutare negativamente uno studente che non sa nulla su Galileo e sulla nascita del metodo sperimentale se nessun insegnante gliene ha mai parlato.
Ma si potrebbe dire la stessa cosa se uno studente ha problemi nel relazionarsi con gli altri o nel gestire le proprie emozioni?
Ovviamente no, ma se nei programmi scolastici venisse introdotta la materia “educazione alle relazioni” con tanto di voto e di giudizio più o meno descrittivo i genitori potrebbero essere indotti a pensare che le difficoltà del figlio sono legate a carenze di insegnamento, con tutto ciò che ne consegue.
La nostra è solo una riflessione marginale ma crediamo che varrebbe la pena soffermarsi un po’ di più sulla questione.
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