Elezioni in Ungheria, i primi risultati: 60% al partito di Orbán, 29% al rivale

Elezioni in Ungheria, i primi risultati: 60% al partito di Orbán, 29% al rivale

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di Irene Soave e Danilo Taino

I primi risultati sul 35% dei seggi scrutinati: le urne si sono chiuse alle 19. È il primo voto europeo dall’inizio della guerra. Lo sfidante Marki-Zay avanza già dubbi sulla correttezza del voto

In queste ore in Ungheria 8,2 milioni di elettori sono chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento e per un referendum. I seggi hanno chiuso alle 19 (locali, e italiane) e l’affluenza è stata circa del 70%. In Ungheria non ci sono exit poll ufficiali, ma i primi risultati, al 34,9% delle sezioni scrutinate, vedono il partito di governo Fidesz in testa in 89 collegi, mentre la coalizione di opposizione è in testa in 17. Il 60% circa dei voti, cioè, vanno alla coalizione del presidente in carica Viktor Orbán, mentre al ticket di sei partiti che ha candidato il suo sfidante, Peter Marki-Zay, va il 29%.

I 199 membri dell’Assemblea nazionale devono essere eletti con due modalità. Mentre 106 saranno eletti in collegi uninominali con votazione first past-the-post, i restanti 93 saranno eletti da un unico collegio elettorale nazionale principalmente mediante rappresentanza proporzionale attraverso un sistema parzialmente compensativo. Un sistema complicato, che non permetterà subito di capire chi ha vinto. «Nel frattempo», ha detto già lo sfidante del presidente in carica Viktor Orbán, Peter Marki-Zay, «il comitato elettorale ha affermato di non poter controllare la purezza dei voti transfrontalieri». Lo sfidante, nel post, parla anche di «voti distrutti dell’opposizione». E ancora: «Ci auguriamo che la nostra vittoria non dipenda da questi voti, perché potrebbero causare una crisi costituzionale in Ungheria».

Perché è importante il voto di oggi

Il voto di oggi è ritenuto importante per un duplice motivo: da un lato Viktor Orbán e la sua coalizione sovranista tentano di acciuffare il quarto mandato di governo. Dall’altro l’Ungheria è il primo Paese europeo a recarsi alle urne dall’inizio della guerra ucraina (la prossima settimana toccherà alla Francia). Si tratta dunque di un test per l’intera Ue che si svolge per giunta nella nazione che ha avuto l’atteggiamento più filo-putiniano dell’intero continente.

La sfida a Orbán e la scommessa di Marki-Zay

Il quadro di partenza, rispetto alle precedenti tornate elettorali che hanno visto la facile affermazione di Orbán, appare stavolta mutato. Il presidente uscente guida una coalizione di cui «magna pars» è il partito di destra Fidesz. A differenza che in passato i suoi oppositori sono riusciti a fare fronte comune con un cartello in realtà molto eterogeneo (è composto da sei partiti) e guidato da Peter Marki-Zay, sindaco di un piccolo centro del sud ungherese.

Molto dipenderà dall’affluenza al voto dal risultato dei partiti minori e dal meccanismo elettorale che in Ungheria – paese suddiviso in tanti piccoli collegi – assegna il 75% dei seggi con il maggioritario secco.

Orban «ottimista» si smarca dalla Ue (ma non del tutto)

Dopo aver votato nel suo seggio, il premier ungherese Viktor Orban ha detto alla stampa che soltanto lui rappresenta «la pace e la sicurezza» per la gente, quando la guerra è un pericolo per tutti. «Tutti i comunisti sono andati a votare, bisogna che lo facciamo anche noi», ha aggiunto. Peter Marki-Zay, che lo sfida guidando l’alleanza di tutti gli altri partiti, ha votato nella sua città, Hodemezovasarhely. «Smentisco un’altra grande menzogna della propaganda governativa: noi, nel caso di un cambio di governo, non chiuderemo il rubinetto del gas russo che continuerà ad arrivare finché non troveremo un’alternativa», ha detto ai giornalisti.

Il leader di Budapest affronta questo nuovo esame senza sconfessare nulla della sua politica nazionalista, anti immigranti e punitiva per le minoranze. Non a caso il 15 marzo scorso ha ricevuto l’endorsement via Twitter dell’ex presidente Usa Donald Trump. In più, il voto per il Parlamento sarà affiancato da un referendum sulla contestata legge Lgbt (divieto assoluto di parlare di orientamento sessuale a scuola) che ha messo Budapest in rotta di collisione con Bruxelles. Ma stavolta, in più c’è il tema della guerra tra Russia e Ucraina, cioè alle porte della frontiera magiara. Orbán tra tutti i leader europei è stato quello che si è più di tutti smarcato dalla linea concordata tra i 27: ha detto no al passaggio sul suo territorio di armi destinate a Kiev, ha detto no all’estensione delle sanzioni al gas. Non solo: il governo ha affidato alla russa Rusatom la costruzione di due nuovi reattori nucleari. Insomma, per Budapest allontana l’ipotesi di tagliare i ponti con Mosca. «Non è la nostra guerra, non abbiamo nulla da guadagnarci» ha tagliato corto Orbán nei giorni scorsi. La sua linea ha però subito un duro colpo da parte di Volodymyr Zelensky. Il 24 marzo scorso il presidente ucraino, parlando in videoconferenza con tutti i leader Ue ha ringraziato a uno a uno 26 suoi interlocutori. Arrivato al ventisettesimo – Viktor Orbán, appunto – ha cambiato tono: «Decidi da che parte stare, non c’è più tempo per esitare». Anche per questo il voto di domenica sarà un banco di prova per l’intera politica Ue verso il Cremlino.

3 aprile 2022 (modifica il 3 aprile 2022 | 21:25)

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, 2022-04-03 19:58:00, I primi risultati sul 35% dei seggi scrutinati: le urne si sono chiuse alle 19. È il primo voto europeo dall’inizio della guerra. Lo sfidante Marki-Zay avanza già dubbi sulla correttezza del voto , Irene Soave e Danilo Taino

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