Emanuela Orlandi e il giallo del bambino investito in pineta: morto Carlos Garramon, il padre di Josè

di Fabrizio Peronaci

Il funzionario delle Nazioni Unite nel 1983 si costituì parte civile nel processo contro l’investitore, Marco Accetti, che in seguito si è autoaccusato dei sequestri Orlandi-Gregori. Chi portò a Castel Fusano il piccolo?

Per quasi 40 anni ha vissuto il suo dolore in maniera riservata, all’altro capo del mondo, senza apparire. Ha preferito che fosse sua moglie Maria Laura, nota in Italia per le apparizioni televisive di qualche anno fa, a battersi con vigore nella ricerca della verità, pur senza farle mai mancare il suo sostegno. Ma alla fine Carlos Juan Garramon, 76 anni, ha perso la sua lunga battaglia personale: il padre di Josè, il 12enne travolto e ucciso a fine 1983 nella pineta di Castel Fusano, è morto in Uruguay al termine di una lunga malattia, lo scorso 13 luglio a Montevideo, e la notizia è trapelata solo negli ultimi giorni. L’ex alto funzionario dell’Ifad, l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata in progetti agricoli, fu protagonista come parte civile del processo per l’omicidio stradale del suo ragazzo più piccolo, avvenuto nel periodo in cui la famiglia si era trasferita a Roma. Un episodio tuttora avvolto nel mistero.

Era la sera del 20 dicembre 1983, pochi mesi dopo la scomparsa della quindicenne Emanuela Orlandi (qui la ricostruzione completa) e della coetanea Mirella Gregori, quando Josè fu trovato morto nella pineta tra Roma e Ostia. Ad accorgersi del corpo sul ciglio della strada fu un autista di bus. Poche ore dopo, l’uomo al volante del furgone Ford Transit che aveva investito Josè fu arrestato: si trattava di Marco Accetti, all’epoca 28enne, figlio di Aldo (massone della Loggia mediterranea), fresco sposa di una ventenne dalla quale si era già separato, arrestato l’anno precedente per il possesso di una pistola e citato per nome e cognome nella famosa lista degli estremisti neri redatta da Valerio Verbano. Sarà lo stesso Accetti (poi condannato a 2 anni e 2 mesi per omicidio colposo e omissione di soccorso di Garramon) ad autoaccusarsi 30 anni dopo, nel 2013, del sequestro Orlandi-Gregori. E ancora Accetti, nel 2015, a riferire che la bara di Katy Skerl (17enne uccisa nel gennaio 1984 a Grottaferrata) era stata trafugata dal cimitero Verano: una circostanza anticipata dal Corriere con un sopralluogo sul posto (qui il video) e poi riscontrata dalla Procura di Roma nel luglio 2022, allorché la tomba è stata aperta e trovata vuota.

Carlos Garramon, ai tempi del processo in Corte d’assise (1984-1986) nel quale gli avvocati di Accetti riuscirono a far derubricare l’accusa da omicidio volontario a colposo, evidenziò il suo punto di vista a più riprese, soprattutto sul punto cruciale: come ci era finito Josè in un posto tanto sperduto, se non a bordo del furgone di Accetti, visto che neanche un’ora prima era all’Eur, a quasi 20 chilometri di distanza? «È mio desiderio ribadirle – scrisse Carlo Garramon al presidente della Corte, Umberto Feliciangeli – che mio figlio non ha mai causato problemi di condotta durante i suoi brevi anni di vita. Mia moglie e io non abbiamo mai avuto da lui una bugia e siamo sempre stati tenuti al corrente, con scrupolosa precisione, dei suoi impegni, delle persone con cui usciva. Fu proprio questo suo carattere che ci ha posto in allarme, il giorno della sua scomparsa, inducendoci a iniziare una disperata ricerca dopo meno di un’ora dall’orario di chiusura del negozio del barbiere dove si era recato. Confido che la sua alta capacità professionale, per il bene di questa società e allo scopo di alleviare il nostro dolore, saprà trovare la ragione che spieghi una così grande e immeritata ingiustizia».

Desiderio vano, purtroppo. Al di là della condanna dell’investitore a una pena esigua (e della scomparsa di alcuni verbali di interrogatorio dal fascicolo, come denunciato dalla famiglia), la ricostruzione dell’accaduto non è mai stata soddisfacente. Marco Accetti disse di non aver visto nulla a causa del buio e di non essersi neanche accorto di aver travolto un persona («Pensai a dei sassi lanciati contro il parabrezza»). Solo dopo essere sceso e aver constatato i danni al Ford Transit, aggiunse, avvistai il corpo del piccolo.

Oggi Maria Laura Bulanti (più volte ricevuta da papa Francesco) conferma le accuse che nel 2015 portarono a una temporanea e improduttiva riapertura delle indagini (un ex poliziotto della Squadra mobile ha anche ipotizzato un ruolo della banda della Magliana) e si limita a dichiarare: «Accetti era un depravato. La situazione gli è sfuggita di mano e ha finito per ucciderlo, perché Josè era estremamente intelligente e quando ha visto il pericolo è scappato. A metà febbraio sarò in Italia con un figlio e due miei nipoti – annuncia la donna al Corriere – e avremo modo di parlarne e di approfondire. Io non mollo, voglio tutta la verità sul mio sventurato e meraviglioso bambino». (fperonaci@rcs.it)

12 novembre 2022 (modifica il 12 novembre 2022 | 19:52)

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, 2022-11-12 18:53:00, Il funzionario delle Nazioni Unite nel 1983 si costituì parte civile nel processo contro l’investitore, Marco Accetti, che in seguito si è autoaccusato dei sequestri Orlandi-Gregori. Chi portò a Castel Fusano il piccolo? , Fabrizio Peronaci

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