Energia, come cambia la geopolitica dellUnione europea

Energia, come cambia la geopolitica dellUnione europea

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di Federico Fubini

Il prezzo del gas cala, ma l’emergenza non finita. L’anno prossimo l’approvvigionamento scatener una competizione globale feroce. Putin conosce bene le fragilit dell’Occidente e cos minaccia altri tagli alla produzione. E i prezzi sono a rischio

impossibile capire dove andiamo, in questa guerra dell’energia aperta da Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina, se non ci volgiamo indietro a vedere da dove veniamo.
Veniamo da un mondo vicino nel tempo, eppure straordinariamente lontano sul piano psicologico. Non sono passati neanche vent’anni da quando, nell’aprile del 2005, alla fiera commerciale di Hannover il cancelliere Gerhard Schrder accoglieva Vladimir Putin. Il giovane presidente russo tornava in Germania, dove aveva lavorato come agente del Kgb, per la firma di un accordo storico fra Gazprom e Basf. Il monopolio russo del gas assumeva il 50% (meno un’azione) in una societ della distribuzione dell’energia in milioni di case tedesche, mentre il colosso tedesco della chimica diventava la prima impresa estera ad aver mai conquistato la propriet pro-quota — un sostanzioso 35% — in un giacimento russo di gas: quello di Yuzhno-Russkoye, nel nord della Siberia occidentale.
Quel giorno a Hannover, si sarebbe detto che Putin avesse preso in prestito il ghost writer di Tony Blair. Met dell’economia fatta di psicologia e nell’era della globalizzazione questo ancora pi vero — disse —. Sono le relazioni di fiducia a determinare il successo. Ormai la costruzione di uno spazio economico comune fra la Russia e l’Unione europea a un livello concreto. Nell’aprile dell’anno dopo a Tomsk, in Siberia, sarebbe stata Angela Merkel a suggellare l’avvio di quella che Putin chiam la compenetrazione economica fra Russia e Germania. I toni e il body language erano pi freddi rispetto ai tempi di Schrder, ma la sostanza non cambiava: si decise che per collegare alla Germania il giacimento di Yuzhno-Russkoye sarebbe stato costruito il gasdotto Nord Stream 1 e poi il suo raddoppio. Per la prima volta la Russia non sarebbe pi stata costretta a passare dall’Ucraina per vendere con piena forza il suo metano in Europa. Per la prima volta l’Ucraina, vista da Mosca, diventava liquidabile. Non un caso se le interruzioni del flusso di Gazprom dall’Ucraina iniziano alla fine del 2006, per poi ripetersi nel 2009 e nel 2014. Il miraggio di un’integrazione economica pacificatrice con la Russia putiniana, apoteosi della fine della storia, stava generando il suo opposto: lo stritolamento dell’Ucraina stessa.
Da allora il mondo diventato irriconoscibile. A settembre Basf ha dovuto riconoscere una perdita colossale, 7,3 miliardi di euro, per l’espropriazione delle sue attivit in Russia. Nello stesso mese una serie di esplosioni sul fondale del Baltico ha distrutto tre delle quattro condotte di Nord Stream, lasciando aperta solo la pi recente: il messaggio a Berlino era di metterla in funzione, prima di perdere anche l’ultima opportunit di accedere al gas russo a basso costo.

Una crisi sociale

Per ora per Putin sta perdendo la sua scommessa. Il dittatore contava sul fatto che l’Europa avrebbe abbandonato l’Ucraina al suo destino, pur di non rischiare una crisi sociale con l’esplosione dei prezzi o il razionamento del gas. Ma due ragioni fanno s che questa strategia non abbia funzionato: i governi europei hanno preferito rischiare un’emergenza energetica gravissima, pur di non piegarsi al ricatto; e almeno per ora sono riusciti a sostituire il metano di Gazprom con approvvigionamenti da altre fonti, senza dover imporre tagli drastici. La Germania ha bloccato la licenza per l’apertura di Nord Stream 2 all’inizio della guerra e non ha fatto marcia indietro neanche dopo i sabotaggi del Baltico. Le sanzioni europee o forniture di armi a Kiev non sono mai parse condizionate dal timore di un taglio delle forniture. E nel frattempo Gazprom, secondo l’aggregatore di dati Entsog, scesa dal 29% delle consegne totali in Europa nel 2021 al 5% del mese scorso (in quest’ultimo caso, in gran parte per le spedizioni all’Ungheria e alla Serbia). Eppure gli stoccaggi in Europa sono quasi pieni, mentre Germania e Olanda hanno gi fatto entrare in funzione nuovi rigassificatori galleggianti per forniture dal Qatar e dagli Stati Uniti. Anche l’Italia spera di avviare l’impianto di Piombino a maggio, dopo aver attivato spedizioni via tubo dall’Algeria che coprono quasi per intero il flusso interrotto dalla Russia. Cos in pochi mesi il Cremlino ha distrutto cinquant’anni di diplomazia energetica con cui si era legato all’Europa. lo sconcertante suicidio di Putin sul gas, secondo la definizione di Thane Gustafson, politologo della Georgetown University e storico della Russia.
Niente di tutto questo significa per che per l’Unione europea e l’Italia i problemi energetici siano alle spalle. Anzi, la parte pi difficile deve ancora iniziare. L’anno scorso la quota di forniture di Gazprom al continente europeo ha raggiunto il 19% del totale, secondo Entsog, e nella prima met dell’anno una molecola di metano su quattro trasportata verso l’Europa veniva ancora dai campi siberiani. anche cos che Italia e Germania hanno potuto affrontare l’inverno con stoccaggi quasi pieni, per queste certezze l’anno prossimo verranno meno. Il gas russo sparir e gli stoccaggi saranno da riempire da capo. Perci Sergey Vakulenko, un ex top manager di Gazprom Neft oggi esule in Austria, convinto che questa non sia la crisi di un solo anno. Entro il prossimo inverno l’Unione europea dovr sostituire, in gran parte con gas liquefatto, almeno 115 miliardi di metri cubi di metano via tubo che dalla Russia non arriveranno pi. E non sar una passeggiata, perch la produzione mondiale di gas liquefatto almeno fino al 2025 bloccata a circa 500 miliardi di metri cubi, per i quali la competizione degli europei con la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e l’India diventer feroce. La minaccia di rincari e razionamenti dunque affatto ancora sparita.

Petroliere fantasma

Anche pi ambigue, se possibile, le prospettive sul petrolio russo. Dopo aver bloccato l’import di tutto il greggio via mare, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno decretato il tetto a 60 dollari al barile al prezzo delle variet spedite verso Paesi che non applicano le sanzioni. L’obiettivo era ridurre le entrate di Putin, ufficialmente nell’idea che i russi avrebbero esportato meno barili anche nel resto del mondo: gran parte delle coperture bancarie, assicurative e delle stesse petroliere del business dell’export di greggio erano di aziende occidentali, che non le forniscono pi.
Ma qui successo qualcosa di sorprendente. In poche settimane sono spuntate a Dubai banche e assicurazioni pronte a sostituire quelle di Londra o dell’Olanda, chiss con quale reale capacit finanziaria. E qualcuno negli ultimi mesi ha comprato un centinaio di petroliere-ombra, di propriet e nazionalit opaca, a volte anche vecchie di mezzo secolo e disposte a viaggiare con il transponder spento per non essere individuate dai radar. Cos Cina e India hanno aumentato l’acquisto di greggio russo, forse anche violando il tetto a 60 dollari. Hanno potuto farlo perch la Casa Bianca non ha mai voluto veramente falcidiare l’export di petrolio di Mosca — pari a un decimo del mercato mondiale — nel timore di un boom dei prezzi del carburante in vista delle presidenziali americane del 2024.
Putin ha annusato questa vulnerabilit e ora minaccia un taglio di produzione russa per 500 mila barili al giorno, lo 0,5% dell’export mondiale. Ancora una volta, gioca con il rischio di far esplodere i prezzi. Dopo un anno, anche la guerra economica resta ancora tutta da combattere.

Nella foto, un ragazzino posa davanti ai resti di un elicottero russo abbattuto nel villaggio di Malaya Rohan, nei pressi di Kharkiv Maxim Dondyuk

15 febbraio 2023 (modifica il 24 febbraio 2023 | 08:17)

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