Energia, la crisi del fronte anti-nucleare  in California, Germania e Giappone

Energia, la crisi del fronte anti-nucleare  in California, Germania e Giappone

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Lo Choc energetico globale sta mettendo in crisi il fronte anti-nucleare, in almeno tre luoghi chiave: California, Giappone, Germania. Mentre Putin tenta lo «scippo» di un’intera centrale nucleare, con le prove generali per staccare Zaporizhzhia dalla rete elettrica ucraina e così togliere corrente a Kiev, nel resto del mondo il dibattito sul nucleare si è riaperto e in certi casi i ripensamenti sono clamorosi.

Il più vicino a un autentico dietrofront è lo Stato della California, che è al tempo stesso il più ricco e il più ambientalista degli Stati Uniti. Il suo governatore, il democratico Gavin Newsom, è lo stesso che ha deciso la messa al bando delle vendite di auto a benzina e diesel e il passaggio al «tutto elettrico» a partire dal 2035. Il problema è che non basta usare solo auto elettriche per abolire le emissioni carboniche: una parte del parco centrali che generano la corrente in California sono ancora alimentate a carbone. Se io mi sposto in Tesla, ma quando ricarico la sua batteria sto attingendo a una centrale a carbone, ho solo spostato geograficamente l’inquinamento un po’ più in là. Non esce dal tubo di scappamento della mia macchina ma dalle ciminiere dela centrale. Né è realistico parlare di una transizione a centrali tutte alimentate da fonti rinnovabili perché – nonostante la California sia sempre stata all’avanguardia su eolico e solare – anche su quel fronte ci sono problemi tecnici e contraddizioni geopolitiche.

L’energia idroelettrica è soggetta al rischio delle siccità, che riducono il funzionamento delle turbine nelle dighe. Eolico e solare soffrono per mancanza di componenti essenziali, la cui fabbricazione è ostaggio della Cina. Inoltre allo stato attuale delle tecnologie, ogni centrale eolica o solare va affiancata da una centrale di altro tipo che la sostituisca quando il vento non soffia e il sole non brilla. Ecco perché Newsom sta pensando di prolungare la vita della centrale nucleare Diablo Canyon, gestita dalla utility locale Pacific Gas & Electricity (PG&E). Con 2.250 megawatt, i reattori di Diablo Canyon generano l’8% di tutta l’elettricità della California, che non è poco. Fino a pochi mesi fa quella centrale era destinata alla chiusura, ora il governatore e l’assemblea legislativa di Sacramento discutono se finanziare il rinnovo della licenza all’operatore. Rimangono delle resistenze nel mondo ambientalista: da chi contesta la sicurezza (Diablo Canyon, come gran parte della costa californiana, è in zona sismica) a chi si preoccupa degli effetti sulla fauna marina provocati dal ciclo di acque per il raffreddamento. Ma un pezzo del movimento ambientalista americano ormai ammette apertamente che l’opposizione al nucleare è stata un grave errore di cui oggi si pagano le conseguenze.

Una svolta altrettanto clamorosa potrebbe maturare in un paese simbolo delle campagne anti-nucleari: il Giappone. L’ipersensibilità nipponica sul tema della sicurezza ha delle spiegazioni storiche evidenti. Anzitutto è l’unico paese al mondo ad aver subito bombardamenti atomici; anche se l’amalgama tra nucleare bellico ed energia atomica civile è una forzatura, questa confusione ha sempre fatto presa su una parte dell’opinione pubblica. Poi c’è il ricordo, ben più recente, dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima provocato nel marzo 2011 da uno tsunami. Eppure anche Tokyo ha deciso di riaprire un dossier che sembrava chiuso dopo Fukushima. Il premier Fumio Kishida ha nominato una commissione di esperti che consegnerà al governo le sue conclusioni e le sue raccomandazioni, indicherà cioè se sia opportuno riprendere la costruzione di nuove centrali nucleari dopo un decennio di chiusura. «Le rinnovabili incluso il nucleare – ha dichiarato il premier – sono fonti essenziali di energia non carbonica se vogliamo procedere nella trasformazione verde». Il ministero nipponico dell’Economia ha già un piano per la costruzione di centrali. Quelle più grandi potrebbero cominciare a produrre elettricità nel prossimo decennio; altre centrali di piccole dimensioni, che userebbero reattori di nuova generazione, sarebbero operative poco dopo il 2040.

La Germania è il paese dove la battaglia sul nucleare sembra ancora aperta e spacca la coalizione di governo formata da socialdemocratici (Spd), Verdi, liberali (Fdp). In gioco c’è il prolungamento di attività oppure la chiusura di tre centrali: Isar 2, Emsland, Neckarwestheim 2. Il ministro dell’Economia nonché vicecancelliere, il Verde Robert Habeck, è contrario. L’argomento che usa non è tanto centrato sulla sicurezza quanto sull’utilità: Habeck sottolinea che queste tre centrali atomiche forniscono solo il 6% dell’elettricità tedesca e quindi tenerle aperte non risolve la crisi provocata dai tagli di forniture di gas russo. L’ambientalismo viene messo da parte, in questo caso, visto che nel breve e medio termine la Germania torna a usare centrali a carbone, con effetti tremendi sull’ambiente, mentre i reattori nucleari hanno zero emissioni. I liberali sono favorevoli al prolungamento della vita delle centrali atomiche. Il cancelliere Olaf Scholz per ora rinvia una decisione affidandosi allo «stress test» in corso, un esame approfondito su tutti i dettagli tecnici della crisi energetica tedesca. Intanto la Baviera sta facendo sentire la sua voce, questa regione che è una roccaforte industriale punta i piedi per mantenere aperte le centrali atomiche.

E’ interessante osservare come gli argomenti anti-nucleari sono cambiati nel tempo. Oggi il fronte contrario parla soprattutto dei costi eccessivi, che sono una realtà. Un esempio classico è quello della centrale Hinkley Point C, la cui costruzione è quasi ultimata sulla costa di Bristol, nella parte occidentale del Regno Unito. Quando nel 2013 il governo di Londra firmò il contratto con la utility francese Edf per questa centrale, il megawatt-ora prodotto con i reattori di Hinkley Point doveva costare 92 sterline. E a quel tempo un megawatt-ora prodotto da pale eoliche costava 125 sterline. Oggi, fra ritardi di costruzione e aumenti di costi, l’elettricità nucleare di Hinkley costerà sicuramente di più di quanto preventivato nove anni fa; intanto quella eolica è scesa a 50 sterline.

Quella solare può costare ancora meno. Gli avversari del nucleare che in passato prevedevano un’Apocalisse in caso di incidente, oggi parlano il linguaggio della convenienza economica: sole e vento costano meno. Non è un caso se l’argomento della sicurezza è scivolato nelle retrovie: quell’argomento non regge. Includendo i due più gravi incidenti nucleari della storia – i quattromila morti di Cernobyl e le 570 vittime «indirette» che vengono attribuite a Fukushima – l’energia atomica resta tra le più sicure che abbiamo, è alla pari con vento e sole. La mortalità misurata in proporzione all’energia generata, vede in testa il carbone con 24,6 decessi per terawatt-ora (soprattutto malattie da inquinamento), seguito da petrolio, biomasse, gas naturale, idroelettrico. Il numero di vittime del nucleare per terawatt-ora è 0,03 cioè paragonabile a eolico e solare. L’insicurezza del nucleare fa presa sull’immaginario collettivo ma non è fondata sui fatti. Forse anche per questo i suoi nemici hanno cambiato argomenti. L’obiezione nuova, quella sui costi, è contestabile. Il nucleare costa troppo perché abbiamo smesso di investire, quindi sono venute meno le economie di scala (i guadagni di produttività e di efficienza derivanti dall’aumento di costruzioni di nuovi reattori) ed è stato rallentato il progresso tecnologico.

Non a caso sono diventati più competitivi i reattori nucleari fabbricati dalla Cina e dalla Russia, due paesi che hanno continuato a scommettere su questa energia. Peccato che la congiuntura geopolitica ci impedisca di continuare a commissionare reattori nucleari dai cinesi e dai russi come alcuni paesi europei (ancora il Regno Unito) stavano facendo fino a pochi mesi fa. La penuria di gas russo costringe a rivedere tanti dogmi, ma non tutti sono pronti a rimettere in discussione le proprie certezze. L’anti-nucleare è una religione, non una scienza. A riprova che chi investe in questa tecnologia fa progressi anche sul versante della sicurezza, la Finlandia pur di non dipendere dal gas russo ha continuato a scommettere sul nucleare, e ha messo a punto soluzioni di avanguardia anche per il seppellimento delle scorie.

– modifica il 25 agosto 2022 | 20:53

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, 2022-08-26 05:18:00, Il dietrofront del governatore democratico Gavin Newsom, la svolta giapponese, il derby nel governo tedesco. La guerra in Ucraina e Zaporizhzhia hanno aperto un dibattito globale , Federico Rampini

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