L’epoca vivace del Rinascimento: la primavera luminosa con il «Corriere»

L’epoca vivace del Rinascimento: la primavera luminosa con il «Corriere»

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di PIER LUIGI VERCESI

Il 27 ottobre in edicola con il quotidiano il saggio di Michele Ciliberto «Pensare per contrari», il secondo della serie curata da Franco Cardini e dedicata alla culla della modernità

Rinascimento: bella definizione. Nell’immaginario collettivo evoca un’epoca irripetibile di risveglio alla bellezza e alla conoscenza, come se una luce erompesse da secoli di buio. Tutte immagini positive stampate nella nostra mente. Tra gli studiosi circola una storiella «romantica» su come si giunse a circoscrivere un periodo storico con quell’espressione; qualcosa più di un pettegolezzo, perché avallata dall’ideatore stesso della parola: Jules Michelet.

Negli anni Quaranta dell’Ottocento, lo storico francese, magnifico divulgatore, dopo essersi dedicato alla stesura di una monumentale Storia della Francia, giunto al XV secolo, depresso per la perdita della prima moglie, si sentì rinascere. Cinquantenne, ritrovò vigore incrociando sulla sua strada la giovanissima Atenaide Mialaret: immaginiamo Jules incantato davanti al capolavoro di Sandro Botticelli vagheggiando una nuova Primavera. Non ne faceva mistero. All’amica madame Dumesnil adombrò la decisione di fare appello a «le mot Renaissance» per accomunare un’intuizione intellettuale alla sua particolare condizione sentimentale: «Non ho potuto interpretare anche il più modesto fatto sociale senza chiamare in mio aiuto tutto — religione, arte, diritto, poesia — accorgendomi sempre di più che le nostre classificazioni sono generalmente poco serie… Non è un semplice cambiamento di procedimento e di metodo, e una vita nuova, una vita in cui tento di organizzare il mondo e che non è, né più né meno, che la mia vita stessa».

Nell’epoca romantica per antonomasia, quell’amore allo stato nascente portò Michelet ad archiviare il Medioevo alla stregua del suo lutto, specchio del suo passato recente, un’epoca buia, dove i tentativi di spalancare le finestre e lasciar entrare aria nuova, con personaggi come Abelardo per fare un esempio, non fecero presa nel milieu intellettuale incistato sulla dottrina Scolastica.

Naturalmente lo sciovinismo gallico orientò l’autorevole storico verso le glorie di casa propria, trascurando la culla di tanta rinnovata meraviglia, vale a dire l’Italia. A ricordare che tutto era fiorito in una città mercantile e litigiosa tra l’Appennino e il mare, doveva provvedere, di lì a tre lustri, Jacob Burckhardt, protestante svizzero-tedesco amico di Friedrich Nietzsche. Innamorato dell’arte, e di Raffaello in particolare, anche lui contribuì a idealizzare il Rinascimento a discapito dei secoli precedenti, sottovalutando l’Umanesimo letterario che aveva radici antiche passando per Dante, Petrarca e Boccaccio. I classici greci e latini non riemersero per incanto: uscirono dallo sgabuzzino della storia dopo un’appassionata ricerca durata secoli; il Rinascimento semplicemente ne coglieva i frutti.

Ci vollero molti studi per ammettere che quel periodo aureo aveva origini lontane e che il Medioevo, più che un soffocante tunnel, era stato un incubatore, la neve sotto la quale era maturato il seme. A quel punto si scatenarono infuocati dibattiti che non riuscirono a scalfire la magnificenza del Rinascimento. Così l’epoca dei roghi, delle streghe, della magia, delle guerre di religione, delle sopraffazioni, delle disuguaglianze crescenti restò l’evo barbaro, anche se, nella realtà, Quattro e Cinquecento furono i secoli di quelle inumane derive. Ma è comprensibile: le meraviglie che ci rimangono nell’universo dell’arte, della letteratura e del pensiero fioriti allora sono lì da vedere.

Sforzandoci di uscire dagli stereotipi, è molto più interessante osservare quel periodo come la colonna portante della modernità. L’invenzione della stampa a caratteri mobili è all’origine della circolazione del pensiero che ha cambiato il mondo; le nuove tecniche di navigazione, con la scoperta dell’America, incalzata dalla conquista ottomana di Costantinopoli, è l’avvio della globalizzazione; il rovesciamento dei paradigmi dell’economia, per cui non è più la necessità di sopravvivenza dell’uomo a dettare la produzione di beni, ma quest’ultima a stabilire quanto e cosa si deve consumare, è l’affermazione del capitalismo. Volessimo esagerare, potremmo rinvenire nella passione per la mnemotecnica che sedusse le migliori menti dell’epoca la scintilla del bisogno attuale di racchiudere tutto il sapere nella Rete.

Se il Rinascimento è all’origine della modernità, il Medioevo è l’adolescenza di quei due straordinari secoli di risveglio. Sarebbe ingrato sostenere che il Rinascimento sia stato semplicemente un ritorno all’aureo passato classico greco e romano. Fu invece l’aguzzarsi dell’ingegno dettato dalla necessità. Non ultima la peste nera di metà Trecento, che prostrò l’Europa e mise in moto nuove energie.

Nella sua millenaria storia, l’uomo ha sempre trovato la forza di rialzare la testa dopo che qualcosa o qualcuno gliel’aveva schiacciata nel fango. Come, purtroppo, accade ancora oggi.

Il nuovo volume

Esce il 27 ottobre in edicola con il «Corriere della Sera» il saggio di Michele Ciliberto Pensare per contrari. Disincanto e utopia nel Rinascimento, al costo di euro 8,90 più il prezzo del quotidiano. Si tratta del secondo volume della collana «Rinascimento», a cura di Franco Cardini. Il terzo, in uscita il 3 novembre, è Il Rinascimento europeo di Peter Burke.

26 ottobre 2022 (modifica il 26 ottobre 2022 | 21:14)

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, 2022-10-26 19:49:00, Il 27 ottobre in edicola con il quotidiano il saggio di Michele Ciliberto «Pensare per contrari», il secondo della serie curata da Franco Cardini e dedicata alla culla della modernità, PIER LUIGI VERCESI

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