di Fiorenza Sarzanini
L’anticipazione di «Affamati d’amore» di Fiorenza Sarzanini. Un’inchiesta sui disturbi alimentari. «Racconto la mia storia e gli adolescenti di oggi»
Esce oggi nelle librerie per Solferino «Affamati d’amore». Il libro, del quale pubblichiamo qui uno stralcio, è scritto da Fiorenza Sarzanini, vicedirettrice del «Corriere della Sera». L’autrice racconta il disturbo alimentare di cui ha sofferto quando aveva 23 anni e come ne è uscita. Sarzanini — insieme con la giornalista Francesca Milano — raccoglie anche le confessioni di ragazzi malati, lo sfogo dei genitori, l’impegno dei medici che ogni giorno combattono contro quella che è una vera e propria malattia del nostro tempo. Il libro sarà presentato mercoledì 23 marzo alle 18 alla Feltrinelli di Roma in Galleria Alberto Sordi con la ministra per le Pari opportunità e per la Famiglia Elena Bone
tti e con il vicedirettore del «Corriere» Aldo Cazzullo. Il 7 aprile alle 18.30 la presentazione a Milano alla Feltrinelli di piazza Piemonte.
***
«Sono io, è vero. Sono proprio io. Ma come posso essere arrivata a questo punto? Mi specchio dieci volte al giorno, controllo sempre le gambe, le braccia, la pancia. Non mi sono mai accorta di essere così magra, mi sento bene. Mi vedo bene».
«Quando sei malata non lo capisci. Arrivi al fondo dell’abisso e non te ne rendi conto. L’immagine che vedi riflessa nello specchio è un’altra. Una te che non corrisponde alla realtà. Si chiama «dispercezione», adesso lo so. All’epoca non ne avevo idea. In realtà trent’anni fa i disturbi alimentari erano quasi sconosciuti. Non se ne parlava, non si affrontava il problema. E allora ognuno doveva cercare una strada per uscirne, per guarire. Nei casi più gravi scattava il ricovero in ospedale, per gli altri non si parlava di cure, di assistenza. Dovevi smetterla, quasi fosse un capriccio, una debolezza. A me è successo proprio così. All’improvviso, dopo circa un anno, tutto mi è apparso chiaro. È bastata quella foto, quell’immagine di un’altra me che non ho riconosciuto. Ma arrivarci è stato difficile e anche la risalita è stata faticosa. Perché è vero che ti senti invincibile, sembri fragile ma sei fortissima, sembri stremata ma sei combattiva. E quando decidi di guarire sei costretta a fare i conti con quello che è successo, a ricostruire ogni dettaglio, ogni pezzetto della tua giornata, della tua vita, per metterli insieme e ricominciare. Perché la chiave giusta è una sola: decidere di guarire».
(…)
«Avevo ventitré anni e facevo già la giornalista. Dopo quattro anni di lavoro precario ero riuscita ad avere un contratto da praticante al «Messaggero» e certo, essendo così giovane, lavorare nel più grande quotidiano di Roma, la mia città, era uno dei motivi per essere orgogliosa di quello che avevo fatto, fiera per quello che avrei potuto continuare a fare. La mia vita era piena di soddisfazioni, di amici, di affetto. Avevo realizzato il sogno coltivato fin da bambina: diventare giornalista. Per me è sempre stato il traguardo da raggiungere. Nessuna alternativa, nessun’altra opzione. Giornalista come mio papà. All’epoca ero soltanto una principiante, ma aver ottenuto quel posto era una soddisfazione immensa. Non avevo problemi economici o esistenziali, non ero assillata da pensieri negativi o ansie. Giocavo a tennis, sciavo, nuotavo, ero sportiva. Ero felice. E allora perché mangiavo poco e vomitavo tutto? Perché continuavo a dimagrire e pensavo di essere grassa? Perché facevo finta di stare bene ma il mio pensiero fisso era quello di svuotare il mio corpo dal cibo? Tante volte, ancora oggi, ripenso a quei dodici mesi, a quello che facevo, a come riuscivo a essere in realtà due persone diverse. Sdoppiata, ero così. Tante volte, quando parlo con le adolescenti che soffrono di anoressia o di bulimia, quando vedo queste ragazze che potrebbero essere spensierate e invece diventano tristi, cupe, ossessionate, torno a quei mesi. Metto in fila i ricordi delle mie giornate. Provo a capire che cosa si fosse rotto dentro di me. Non c’è un inizio, non lo ricordo e non ho mai fatto niente per trovarlo. Non c’è stata una causa scatenante. È successo e basta, e io non sono riuscita a comprendere che il disturbo si era impossessato della mia testa».
(…)
Ci sono famiglie sconvolte da questa «pandemia nella pandemia», numeri impressionanti, oltre tre milioni di persone malate e almeno quattromila vittime, persone che questa battaglia non riescono a vincerla. Ecco perché bisogna impegnarsi, trattare questo fenomeno come si tratta una vera emergenza.
(…)
Sembra strano, ma ci sono parole che non andrebbero mai pronunciate, domande che non dovrebbero mai essere poste. Dire «mangia» a una persona che ha un disturbo alimentare suona come una presa in giro. Chiedere «quanto pesi?» a chi soffre di anoressia ha l’effetto di un insulto. Cercare di sapere se chi soffre di bulimia fa le abbuffate di giorno o di notte, quante calorie ingerisce, se preferisce il dolce o il salato, diventa curiosità perversa. E poi ci sono gli sguardi, i sorrisi ironici, gli apprezzamenti pesanti. Ci sono i giudizi apparentemente innocui che invece in un attimo possono farti ripiombare nell’incubo. Ecco perché bisogna stare attenti, misurare ogni gesto.
16 marzo 2022 (modifica il 16 marzo 2022 | 23:18)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, 2022-03-16 22:23:00, L’anticipazione di «Affamati d’amore» di Fiorenza Sarzanini. Un’inchiesta sui disturbi alimentari. «Racconto la mia storia e gli adolescenti di oggi», Fiorenza Sarzanini
Powered by the Echo RSS Plugin by CodeRevolution.