Esame maturità Spadafora da rifare:  davvero lamore per gli alunni può giustificare atti contrari alle leggi?

Esame maturità Spadafora da rifare: davvero lamore per gli alunni può giustificare atti contrari alle leggi?

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La vicenda del liceo di Spadafora, dove sono stati ripetuti gli esami di Stato a causa di gravi irregolarità verificatesi (e accertate) nel corso della sessione di luglio, dovrebbe indurci a qualche riflessione.

I commenti che si leggono nei social sono i più variegati e, tutto sommato, anche abbastanza scontati: si va dal “così fan tutti”, al “è evidente che la studentessa che ha denunciato è solamente invidiosa dei buoni risultati dei compagni” fino al consueto “i problemi della scuola sono ben altri” (frase che ovviamente si può utilizzare in qualsiasi circostanza, per commentare ogni avvenimento).

Qui, vorrei però soffermarmi sulle dichiarazioni rese da un collega della docente che avrebbe inviato agli studenti i messaggini incriminati con la segnalazione dell’argomento con cui si sarebbe aperta la prova orale.
In sostanza il collega afferma che la docente avrebbe agito per amore nei confronti degli studenti; ma poi si spinge oltre e aggiunge che più di 2mila anni fa ci fu qualcuno che per amore degli altri fu addirittura crocifisso.
Ora, a parte il paragone abnorme fra Gesù Cristo e la professoressa di Spadafora, vale forse la pena soffermarsi su due questioni: ma davvero l’amore può essere considerato una giustificazione per atti e comportamenti contrari alle leggi? ma davvero far conoscere in anticipo l’argomento dell’esame è un “gesto d’amore”?
Mi pare che non ci sia bisogno di chiamare in causa l’imperativo categorico di Kant per rispondere “no” ad entrambe le domande.
Se bastasse l’amore a rendere lecito un comportamento, tutto (o quasi) diventerebbe accettabile.
Senza trascurare il fatto che bisogna poi chiedersi anche se “amare i propri studenti” voglia dire dargli qualche “aiutino” in occasione degli esami o se al contrario sia necessario renderli consapevoli delle difficoltà dello studio (e della vita) anche a costo di metterli di fronte ad un possibile “insuccesso” o comunque ad un risultato non all’altezza delle aspettative.
Mi sembra che l’intera vicenda metta in luce un altro elemento su cui vale la pena riflettere: ormai sempre più spesso si tende a confondere la necessità di “comprendere” le ragioni di un fatto con la volontà di “giustificare” fatti e avvenimenti che meriterebbero di essere valutati per quello che sono e cioè atti “illeciti”.
Comprendere è sempre necessario, se non altro per capire le ragioni di un evento e per evitare errori futuri: bisogna certamente “comprendere” perché un ragazzo “fa il bullo” per individuare le strategie di “cura”, senza però arrivare a giustificare gli atti di bullismo.
Altrimenti arriviamo al paradosso di considerare “marachelle” o poco più tanti comportamenti non propriamente edificanti (si va dai gattini presi a sassate dalla piccola banda di ragazzini fino alla scuola incendiata); per arrivare a definire “bravate” episodi di violenza nei confronti di un insegnante e altro.
Quanto infine al paragone fra la professoressa di Spadafora e Gesù Cristo, c’è un punto dirimente che ci fa dire che si tratta di un parallelismo del tutto inaccettabile: Gesù Cristo sapeva benissimo fin dall’inizio che sarebbe stato crocifisso, mentre la professoressa era quasi certamente convinta che nessuno si sarebbe accorto del suo grande “gesto d’amore” e si aspettava quindi non di essere crocifissa ma piuttosto ringraziata.

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