Fareed Zakaria: «La crisi  è una chance. Per l’Europa finisce l’era della sicurezza gratis dall’America»

Fareed Zakaria: «La crisi  è una chance. Per l’Europa finisce l’era della sicurezza gratis dall’America»

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di Paolo Valentino

L’esperto di geopolitica e relazioni internazionali spiega: «Questa guerra cambia gli equilibri mondiali più dell’11 settembre. La Cina? Dalle azioni russe più costi che benefici. L’appoggio a Putin sarà limitato»

«L’invasione russa dell’Ucraina è l’evento globale più importante
dalla caduta del Muro di Berlino, poiché segna la fine della globalizzazione come l’abbiamo vissuta negli ultimi 30 anni e la rinascita di una competizione tra diverse potenze. La garanzia di sicurezza americana come condizione dell’ordine mondiale non c’è più. Neppure l’11 settembre cambiò la natura del sistema internazionale. Le azioni della Russia e di Putin invece lo stanno facendo, forzando per esempio la Cina a difendere Mosca e mettendola in rotta di collisione con l’Europa, con cui Pechino ha cercato di stabilire legami molto stretti».

Americano di origini indiane, analista della Cnn, Fareed Zakaria è uno dei più qualificati esperti al mondo di geopolitica e relazioni internazionali.

L’immagine di una nuova Guerra Fredda è abusata, ma corretta.


«In verità l’unica analogia che viene in mente è proprio quella, ma con la differenza che la Russia è molto più debole dell’Unione Sovietica, economicamente e politicamente. Non è quindi uno scontro strategico tra due Superpotenze. Quella che torna è piuttosto la mentalità da Guerra Fredda, dove la politica prevale sull’economia. Negli ultimi 30 anni, la maggior parte dei Paesi ha agito seguendo una sola stella polare: la crescita. Commercio, tecnologia, riforme interne, tutto era mirato a produrre più crescita. Era un mondo dove la sicurezza nazionale veniva considerata scontata. Non più. Oggi tutti o quasi, dal Canada alla Germania, dal Giappone alla neutrale Svezia pensano alla propria difesa e postura strategica».

Ma questo non è vero da oggi. Da Brexit all’America First di Trump, molte scelte sono state dettate più dal populismo nazionalista che non dall’economia di mercato.


«È vero, la tendenza è iniziata da qualche anno: le nazioni cercano più sicurezza nelle loro filiere, l’autosufficienza fa premio sull’efficienza. Ma la guerra in Ucraina è una svolta: una parte del mondo ora è separata. Pensi al giro d’affari che McDonald’s aveva costruito in Russia in 30 anni con oltre 800 ristoranti, una vasta rete di produttori locali e milioni di clienti. Tutto finito in pochi giorni. Oppure ad Aeroflot che potrebbe dover smettere di volare perché Airbus e Boeing non forniranno più assistenza e ricambi per via delle sanzioni».

Lei definisce questa nuova era post-americana.


«La Pax Americana è finita. Gli Usa non sono più la sola potenza globale, pur rimanendo ancora quella dominante. I segnali vengono da ogni parte: i leader di Emirati Arabi e Arabia Saudita non hanno voluto neppure parlare al telefono con Joe Biden e si rifiutano di aumentare la produzione di petrolio. L’India, il Pakistan e perfino Israele non hanno condannato l’invasione russa e dicono di voler continuare i loro affari con Mosca. Si sentono abbastanza sicuri di sé da smarcarsi. Washington dovrà cambiare la sua politica nel contesto di questa nuova realtà. Non è più il 1945, quando gli Usa avevano il 50 per cento del Pil mondiale e potevano lanciare il Marshall Plan, la Nato, la ricostruzione del Giappone. Ma hanno ancora molti asset. Come il fatto di essere i maggiori produttori di idrocarburi».

In questa nuova era secondo lei l’Europa ha la sua più grande opportunità strategica. Perché?


«C’è un grande vuoto nell’attuale sistema internazionale: il 25 per cento del Pil mondiale e una gran parte delle spese per la difesa vengono fatte in Europa. L’Ue è decisiva in molte dimensioni: regole, standard, concorrenza, commercio. Ma nella politica estera l’Europa non c’è. Tutte quelle risorse spese separatamente dagli Stati nazionali per la difesa non hanno focus strategico. Questa nuova crisi è una grande chance, per tradurre questo potenziale in potere strategico globale. Ci sono segnali importanti e incoraggianti che gli europei siano pronti a chiudere con l’era della sicurezza gratis garantita dagli Usa, aumentare gli investimenti per la difesa e dedicarsi a rendere sicuri i confini orientali. La svolta in Germania è un passo incoraggiante. Se l’Europa diventasse global player, sarebbe il più grande cambiamento geopolitico emerso dalla crisi ucraina. Insieme agli Stati Uniti darebbe vita a una super-alleanza in difesa dei valori liberali, anche più importante della Nato. Ma la condizione è che l’Occidente si assuma costi e rischi per non far prevalere Putin in Ucraina».

Dove resta la Cina in tutto questo? Pechino al momento sembra seduta sulla staccionata: è con Mosca, ma teme per i suoi rapporti con l’Europa e l’Occidente.


«Dopo la fine degli anni di Trump, la Cina ha pensato che Biden avrebbe ristabilito una working relationship. Invece la nuova Amministrazione non ha cambiato nulla. Anche per questa ragione Pechino si è avvicinata alla Russia. Ma la crisi Ucraina è problematica: viola il principio di sovranità di uno Stato cui Pechino tiene molto, danneggia i suoi rapporti con l’Europa. Penso che l’appoggio cinese a Putin sarà limitato e condizionato. Quello tra Mosca e Pechino è un rapporto di vassallaggio, l’economia cinese è dieci volte più grande di quella russa, la cosa più importante per la Cina è il mercato europeo. Credo che per Xi Jinping sia una situazione complicata. Fra l’altro la sua politica estera non ha avuto molto successo: si è alienato Australia, India, Giappone. Pensiamo sempre che i cinesi si muovano in modo intelligente, saggio, giochino sui tempi lunghi, ma in politica estera hanno fatto molti errori e la loro attuale situazione con la Russia sembra un altro errore di calcolo: sono legati a un partner che porta più costi che benefici».

18 marzo 2022 (modifica il 18 marzo 2022 | 22:29)

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, 2022-03-18 23:20:00, L’esperto di geopolitica e relazioni internazionali spiega: «Questa guerra cambia gli equilibri mondiali più dell’11 settembre. La Cina? Dalle azioni russe più costi che benefici. L’appoggio a Putin sarà limitato», Paolo Valentino

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