Enrico Bartolini, lo chef più stellato d’Italia: «La mia forza? I ragazzi. E il mio guru, un dietologo di Piacenza»

Enrico Bartolini, lo chef più stellato d’Italia: «La mia forza? I ragazzi. E il mio guru, un dietologo di Piacenza»

Spread the love

il personaggio

di Chiara Amati

Dodici stelle Michelin su otto ristoranti. L’ultima, assegnata l’8 novembre scorso, ne fa il miglior Chef Mentor 2023. «Ringrazio i miei tre figli. E Carlo Carlini, amico e dietologo: il mio guru. Sono ossessivo e generoso. Se so staccare? Adesso sì, mi concedo anche delle mezzore…»

«Ho esaurito le parole. Oggi vivo una felicità che è difficile da tenere in bocca: lascio che sia il cuore a parlare. Vedere questi ragazzi così giovani e disciplinati realizzare, piano piano, le loro ambizioni mi fa sentire meno enfant prodige, più uomo maturo».

Classe 1979, originario di Castelmartini, frazione del comune di Larciano, nelle campagne pistoiesi, Enrico Bartolini, per tutti ufficialmente «lo chef dei record», non trattiene la commozione. E dire che dovrebbe essere temprato: di stelle Michelin, nella sua giovane età, ne ha vinte già molte. Eppure quella dell’8 novembre scorso, la dodicesima su otto ristoranti — più una verde per l’esattezza — ha un sapore un po’ diverso. Secondo la Rossa, infatti, è lui lo Chef Mentor 2023, «l’amico-consigliere», per dirla alla Omero, che aiuta i ragazzi a capire quali siano i loro bisogni, i limiti e i punti di forza. Da autentico talent scout, li scopre, li rende consapevoli e li fa crescere. Prima di lui Gualtiero Marchesi, il Maestro della cucina italiana, colui che grazie all’insegnamento ha aperto strade inimmaginabili. C’è chi in Bartolini vede un erede, anzi, l’erede. Lui nega con l’umiltà dei grandi: «Sarebbe folle anche solo pensarlo». Ma intanto mentore è diventato. E ha soltanto 43 anni (il 24 novembre prossimo).

Chef, come ci si sente in questa nuova veste?

«Sincero? Quando stavano per annunciare il nome, Heinz Beck, seduto accanto a me, mi ha guardato e ha detto: “Sei tu per forza. E chi sennò?”. Ho riso. “Troppo giovane”, gli ho risposto. Poi mi sono sentito nominare: non me l’aspettavo, mi hanno spiazzato. Con il senno del dopo, trovo che ci sia coerenza».

In che senso?

«Prima di me hanno ricevuto la stella tre miei ragazzi: Gabriele Boffa, chef resident della Locanda del Sant’Uffizio di Penango, in Monferrato, Asti, che oltretutto raddoppia. Poi Michele Cobuzzi, Ristorante Anima, all’interno dell’Hotel Milano Verticale|UNA Esperienze al quale va il primo macaron, e Alessandro Menditto, a fianco dello chef patron Luigi Bergeretto ne Il Fuoco Sacro del Petra Segreta, Relais&Chateaux a San Pantaleo (Ss) in Sardegna.

Giovani professionisti con i quali condivido l’attaccamento al lavoro, il senso di responsabilità, l’amore per la cultura e la curiosità. È un piacere fare squadra insieme».

Come sceglie questi ragazzi?

«La competenza è importante. A determinare la differenza, però, è anche il sacro fuoco. Le faccio un esempio. Non credo che prima di mettere piede a Venezia, Donato Ascani, chef al Glam, il ristorante all’interno di Palazzo Venart, immaginasse di diventare il solo due stelle Michelin della Serenissima. Ha lavorato sodo, con intelligenza. E si farà ancora perché l’attenzione alla ricerca delle materie prime è sistematica e contagiosa. Lui mi ha fatto conoscere le verdure e i germogli delle isole tutt’intorno, la cacciagione della laguna del Nord, i prodotti eccellenti del mercato di Rialto dove i blitz sono repentini e giornalieri. A Juan Quintero, de Il Poggio Rosso, a Borgo San felice, devo invece la conoscenza delle mille sfumature del Chianti di cui è un esperto appassionato. Marco Galtarossa, del Ristorante Casual di Bergamo Alta, è un faro in fatto di sapori delle valli orobiche, mentre Bruno Cossio nel cuore della Maremma toscana sta facendo un lavoro strepitoso nel celebrare l’unicità di un territorio a metà tra la campagna e il mare. Non mi immagino senza anche uno solo di loro: non sarei lo stesso. Non saremmo gli stessi».

Una leadership, la sua, che valorizza ed è ripagata da un gran lavoro di squadra.

«Esatto. C’è la squadra, ma c’è anche il singolo. Da me, ognuno è libero di esprimersi secondo la propria personalità e in maniera creativa. In cucina non esistono formule identiche per tutti. Un buon mentore lascia che ognuno si affini con uno stile proprio, spesso contaminato dal territorio in cui lavora. Il pensiero gastronomico, la tradizione, l’eleganza, l’arte dell’accoglienza, poi, si condividono in uno scambio che è continuo. Un buon mentore, infine, sa anche imparare. E, talvolta, dispiacersi».

Che cosa intende dire?

«Mi spiace a volte di non poter rendere il giusto merito a tutti. Così provo imbarazzo. È accaduto anche la sera della assegnazione delle stelle».

Ci spieghi.

«Sul palco mi sono sentito a disagio. Ero solo. Fisicamente. Avrei voluto almeno una dozzina di persone accanto a me».

Chi?

«Monica Biella, la general manager del Gruppo, che è al mio fianco da undici anni e segue e condivide ogni mia idea da quando nasce a che prende corpo. Poi Davide Boglioli che conduce la cucina del Mudec, a Milano, con delega totale quando io non ci sono, gestendo la brigata in maniera impeccabile. E Sebastien Ferrara che, dal 2015, è protagonista e maestro di sala con me ancor prima che il Mudec fosse. Avrei voluto averli lassù, al mio fianco, perché tutti sapessero quanto irrinunciabili sono nel mio quotidiano».

Lei è un uomo generoso.

«Della generosità ho fatto un tratto distintivo. Chiunque lavori con me deve averla nel proprio genoma: è indispensabile. Puoi anche preparare il menu migliore al mondo, ma se non ci metti quanto basta di prossimità e ottimismo il cliente se lo ricorderà. D’altra parte, la cucina è donare il meglio di sé agli altri. Anche per questo io sono ossessivo. Per me la performance deve essere perfetta e costante: dal momento dell’accoglienza alla sistemazione di un centrotavola, dalla mise en place ai saluti finali. Tutto, anche il più piccolo dettaglio, in un arco temporale che è ristretto — il tempo di un pranzo o di una cena — influenza l’emotività del cliente».

Condizionamento da stelle o piuttosto un atteggiamento?

«Una forma mentis. E in questo le stelle non sono un traguardo, né un record, ma lo stimolo a offrire il massimo ogni giorno affinché chi entra in uno dei nostri ristoranti possa trovare nell’esperienza che cerca una conferma delle proprie aspettative».

Lei è al secondo posto nella classifica mondiale degli chef più stellati, dietro ad Alain Ducasse, a pari merito con Pierre Gagnaire e Martín Berasategui. Si sente arrivato?

«Mai. Sono molto severo con me stesso. Quando ottengo un riconoscimento, ne sono felice, certo, ma penso sempre a come possa andare oltre per migliorarmi. E così voglio che facciano tutti i miei ragazzi».

In questa ascesa a chi sente di dire grazie?

«Ai miei figli: Tommaso, 14 anni, Giovanni, 9, e la principessa Vittoria, 6. Sono meravigliosi, educati, responsabili. Ne vado orgoglioso. Sa, quand’ero ragazzo, pensavo che me ne sarei stato per il resto della vita tra i borghi e le colline del Montalbano, in Toscana. Poi, grazie al mio mestiere, ho cominciato a viaggiare. Milano mi ha accolto come un figlio: ci sto bene. Ed è un ottimo punto di partenza per molte mete italiane ed estere. Viaggiando ho capito che la destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose. E di essere. Ecco, i miei figli stanno imparando questo. Non mi importa se da grandi non faranno il mio mestiere. Mi piacerebbe però che lo apprezzassero perché è cultura. Avrei un altro grazie…».

A chi?

«A Carlo Carlini, amico e dietologo di Piacenza. La mia persona, il mio guru. Colui che nel dirti ciò che pensa, anche quando quel che pensa non è ciò che vorresti sentire, lo fa con così tanto garbo, eleganza, sensibile fermezza da tirare fuori sempre il meglio. Lui sa. Voglio, però, che lo sappiano tutti».

Chef, lei stacca mai?

«Certo. Un tempo pensavo che anche solo un minuto di stop fosse un minuto perso. Ora mi concedo persino le mezzore: serve a ripartire più tonici e propositivi. È rigenerante».

Riformulo la domanda: stacca mai per piacere?

«Lo farò presto: una mezza giornata a Santa Lucia e a Natale. Poi qualche frazione di ora nei giorni dei compleanni dei miei figli: la torta la voglio preparare io. Nessuna deroga».

(©) RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-10 11:33:00, Dodici stelle Michelin su otto ristoranti. L’ultima, assegnata l’8 novembre scorso, ne fa il miglior Chef Mentor 2023. «Ringrazio i miei tre figli. E Carlo Carlini, amico e dietologo: il mio guru. Sono ossessivo e generoso. Se so staccare? Adesso sì, mi concedo anche delle mezzore…», Chiara Amati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.